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Equità fiscale e una moneta insieme. Le sfide dei governi latinoamericani

Andrés Arauz, 38 anni, politico ed economista ecuadoriano. Durante il governo di Rafael Correa è stato ministro per la Conoscenza e le risorse umane © flickr.com

Oggi molti Paesi sono guidati da esponenti progressisti che stanno lavorando per una maggiore integrazione regionale e una riforma del sistema di tassazione. Ne abbiamo parlato con l’economista ecuadoriano Andrés Arauz

Tratto da Altreconomia 258 — Aprile 2023

“È un momento emozionante per i progressisti in America Latina. C’è più maturità rispetto all’epoca della Marea rosa (il ciclo di governi progressisti che ha amministrato la regione tra il 2004 e il 2016, ndr): una delle lezioni apprese è che un Paese da solo non può superare la povertà o trasformare la sua economia. Non è un caso che il presidente brasiliano Lula abbia dichiarato l’integrazione latinoamericana come una priorità”, spiega ad Altreconomia Andrés Arauz, 38 anni, economista ecuadoriano ed ex ministro durante il governo di Rafael Correa, che ha guidato l’Ecuador tra il 2007 e il 2017. Arauz è una figura politica di primo piano nel suo Paese. Nel 2021, candidato per il movimento di sinistra Unes, ha sfiorato la presidenza della Repubblica, raggiungendo il 47,4% delle preferenze. È ricercatore presso il think tank Center for economic and policy research, dove si occupa di tecnologia e politiche monetarie. Unisce la passione politica agli studi in economia contribuendo alle proposte della Progressive international, organizzazione promossa, tra gli altri, dal senatore statunitense Bernie Sanders e dall’ex ministro greco dell’Economia, Gianīs Varoufakis.

Arauz guarda con favore alla ritrovata attenzione per l’integrazione regionale, tema centrale del settimo forum dei presidenti dell’America Latina e dei Caraibi (Celac), che si è svolto il 24 gennaio 2023 a Buenos Aires. Un’occasione che i governi progressisti -oggi maggioranza nella regione- hanno usato per rilanciare l’agenda di integrazione latinoamericana, rimasta lettera morta negli ultimi anni. Ed è con il ritorno di Lula alla guida del Paese più grande del continente che il progetto della “Patria grande” ha riacquisto forza. Con lui, il Brasile torna nella Celac, dopo il ritiro deciso nel 2020 dal predecessore Jair Bolsonaro. Durante il vertice sono state avanzate proposte concrete, come Sur: progetto di una moneta comune promosso da Lula assieme al presidente argentino, Alberto Fernández. “Sur non è come l’euro, accompagnato dalle rigide regole fiscali di Maastricht, ma una valuta complementare, da usare per gli scambi commerciali. Attualmente, le transazioni avvengono in dollari statunitensi e le imprese argentine, a causa della situazione economica del Paese, hanno difficoltà a reperirli. Questo ha ridotto il commercio tra Brasile e Argentina”, spiega Arauz. Che ricorda come nel passato recente vi siano stati altri tentativi, come il Sucre.

Arauz era stato nominato direttore della Banca centrale del suo Paese a soli 24 anni. Nel 2008, in piena Marea rosa, l’Ecuador guidato da Rafael Correa, adottò “la Costituzione del buen vivir, molto progressista, con una visione di futuro, nata da un processo di partecipazione popolare”, ricorda Arauz. Quella Carta stabilì che il Banco central non sarebbe stato indipendente dal governo, ma uno degli strumenti a disposizione dell’esecutivo. Si cercava così, spiega Arauz, di rafforzare la politica monetaria, molto limitata, dal momento che dal 2000 l’Ecuador aveva adottato come moneta il dollaro Usa.

Il 99% degli scambi commerciali che vengono effettuati in dollari in America Latina. Ridurre la dipendenza del continente da questa valuta è uno degli obiettivi della nuova moneta denominata Sur

Sucre, moneta comune tra Ecuador e i Paesi latinoamericani dell’Alianza Bolivariana para las Américas, è nato in quel contesto. Tra il 2009 e il 2016 si realizzarono alcuni scambi, ma tra scandali e diffidenze il progetto si spense.

Sur e Sucre nascono entrambi per rispondere alla stessa esigenza: “Ridurre la dipendenza dal dollaro. Il 99% degli scambi in America Latina avviene con questa valuta, che vincola i prezzi di case e automobili. Ma i dollari sono monete in conti bancari negli Usa: se da un lato garantiscono stabilità, dall’altro creano una fuga di capitali istituzionalizzata e limitano le nostre possibilità di sviluppo”, continua l’economista.

Un’altra proposta di integrazione regionale che sta facendo discutere è quella di José Antonio Ocampo, ministro delle Finanze colombiano. La sua piattaforma “Verso una tassazione globale inclusiva, sostenibile ed equa” punta a istituire un sistema di imposizione fiscale regionale per le multinazionali che oggi versano molto poco nelle casse dei governi locali, in modo da “consentire ai Paesi della regione, e in generale del Sud globale, di avere maggiore possibilità di finanziarsi, in uno scenario di ripresa con alta inflazione”, ha spiegato il ministro colombiano.

Il piano, che prevede l’integrazione dei sistemi fiscali latinoamericani, ha bisogno di uno “spazio ufficiale di confronto e coordinamento tra i Paesi”, dichiara Ocampo. Che nel suo discorso all’ultimo Forum economico mondiale di Davos ha fatto riferimento al report “Survival of the richest” dell’Ong britannica Oxfam. Un documento che mostra come, dall’inizio della pandemia da Covid-19, la disuguaglianza sia esplosa.

Il 12% del Prodotto interno lordo deriva dall’imposizione fiscale in Guatemala. In Germania le tasse pesano sul totale del Pil per il 38%

Nel biennio 2020-2021, per ogni cento euro di ricchezza creata, 63 sono finiti nelle tasche dell’1% più ricco della popolazione. Mentre il restante 90% ha beneficiato appena di dieci euro. “L’America Latina e i Carabi affrontano gli stessi problemi in ambito tributario, ma non condividono visioni né capacità tecniche per raggiungere soluzioni comuni. È ora di cambiare”, ha affermato Ocampo.

Colombia, Brasile e Cile hanno approvato o stanno lavorando a riforme fiscali in senso progressivo, puntando a raddrizzare una stortura antica dell’America Latina che è -al tempo stesso- la regione più diseguale al mondo e quella con le tasse più basse.

“Il livello di tassazione è di circa la metà rispetto a quello dei Paesi europei. In Guatemala contribuisce appena al 12% del Prodotto interno lordo (Pil), in Germania al 38%. Gli Stati latinoamericani hanno un livello di tassazione più basso anche rispetto a quelli con un Pil simile. Negli ultimi anni questo è cresciuto, ma soprattutto tramite imposte indirette, come l’Iva. Senza quindi tassare la ricchezza”, segnala Juan Pablo Jiménez, economista della Commissione economica delle Nazioni Unite per l’America Latina e i Caraibi (Cepal). Questo organismo è uno dei centri di pensiero economico più autorevoli e progressisti nella regione, che sottolinea l’urgenza di ottenere nuove risorse pubbliche e di riforme fiscali che combattano l’evasione e i flussi finanziari illeciti, per contrastare le disuguaglianze sociali.

Arauz, condivide la proposta di Ocampo e le iniziative di riforma fiscale, crede però che l’integrazione regionale “non possa limitarsi ai vertici governativi, ma vada costruita tra i popoli latinoamericani. È questa la nostra differenza rispetto ai conservatori: si dicono nazionalisti, ma sono scettici verso l’integrazione latinoamericana. Avete visto Bolsonaro sfoggiare la maglia della nazionale degli Stati Uniti? Ci sono molte persone che non hanno festeggiato la vittoria dell’Argentina al mondiale di calcio in Qatar. Dovrebbe essere un simbolo per tutta la nostra regione. Le élites latinoamericane hanno la testa e il portafogli in Florida. I conservatori hanno sempre inteso l’integrazione solo sul piano commerciale, come avvenuto con il Mercosur e l’Alianza del Pacifico”, spiega Arauz.

La foto ufficiale del settimo forum dei presidenti dell’America Latina e dei Caraibi che si è svolto in Argentina il 24 gennaio 2023 © flickr.com/photos/palaciodoplanalto

A proposito del “Mercato comune del Sud” (l’accordo di libero scambio tra Uruguay, Paraguay, Argentina e Brasile), il ritorno di Lula sembra possa rivitalizzare un progetto in crisi da tempo e di recente seriamente minacciato dall’annuncio di un accordo commerciale tra la Cina e l’Uruguay, guidato dal presidente di centro destra Luis Lacalle Pou.

Gli aderenti al Mercosur sono obbligati a negoziare tutti insieme accordi con Paesi terzi, mai da soli. Per questo, l’iniziativa uruguaiana mette in discussione la validità dell’accordo. Dal canto suo, Montevideo risponde che i ripetuti stalli lo hanno convinto a rompere gli indugi e avanzare in un accordo con Pechino. L’impasse più nota è quella dell’accordo con l’Unione europea, che sembra possa essere ratificato entro la fine del 2023.

“Dobbiamo andare oltre gli accordi commerciali. Oggi abbiamo bisogno di un’integrazione sociale e popolare. In una società che si muove con i tempi di WhatsApp, non possiamo accontentarci delle foto di rito tra i presidenti una volta l’anno. Dovremmo istituire un milione di borse di studio per un programma Erasmus latinoamericano; integrare i movimenti sociali, le imprese, la ricerca scientifica. E i sindacati. Perché, invece di averne 12 per un singolo settore economico, non averne uno solo a livello continentale con altrettante sezioni locali? Così come avviene con le imprese multinazionali. Penso poi agli acquisti pubblici. Durante la pandemia, abbiamo visto che quelli fatti tra gruppi di Paesi sono più efficienti ed economici. E penso, infine, anche ad un concorso pubblico tra i giovani per creare la bandiera di Latinoamérica. Dobbiamo fare in fretta, l’opportunità che ci si presenta adesso non durerà a lungo. E dobbiamo far sì che le nostre riforme siano irreversibili”, conclude Arauz.

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