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Uno sguardo lento sull’Amazzonia: là dove un altro mondo è possibile

La penna di Angelo Ferracuti e le fotografie di Giovanni Marrozzini raccontano le lotte dei nativi minacciati da allevatori, cercatori d’oro, multinazionali del petrolio. Il libro “Viaggio sul fiume mondo” racchiude più di sei anni di viaggi e incontri

Tratto da Altreconomia 256 — Febbraio 2023
© Giovanni Marrozzini

C’è una ragazza indigena che si bagna nel fiume. Le si vede solo il volto incorniciato da capelli neri e lisci. Si copre metà del viso con una foglia: non si sa se sorrida mentre fissa l’obiettivo. Lo sguardo ricorda la bellezza inquietante di Remedios la bella, in “Cent’anni di solitudine” di Gabriel García Márquez. È una delle foto che apre il libro “Viaggio sul fiume mondo” (Mondadori, 2022) dello scrittore Angelo Ferracuti e del fotografo Giovanni Marrozzini. Il testo è il frutto di sei anni di viaggi nella regione amazzonica tra Perù, Bolivia, Brasile, Colombia e Venezuela. L’ultimo, i due, lo hanno fatto su l’Amalassunta, un battello bianco e azzurro di 17 metri a due piani che li ha accompagnati da Manaus (città di due milioni di abitanti nell’Amazzonia brasiliana) fino a San José del Guaviare, nella Colombia del narcotraffico e della guerriglia: duemila chilometri lungo il fiume Rio Negro per raccontare “i popoli guardiani che difendono l’Amazzonia” spiega Ferracuti ad Altreconomia.

Il testo ha un valore letterario, uno metodologico e uno civile. La scrittura è quella del reportage narrativo, un raro esempio in Italia di un “racconto” di esteri basato su un lungo periodo di ricerca sul campo. L’impianto infatti non è un elenco cronologico ma sovrappone viaggi svolti, in periodi diversi, dal 2016 al 2020. Allo scrittore riesce la sfida più difficile del reporter: far sentire al lettore gli odori, i rumori, vedere i paesaggi e i molti volti incontrati nel cammino. Per farlo ricorre a una scrittura fotografica che racconta gli interni delle cabine dell’Amalassunta o il terreno che calpestano per raggiungere i popoli incomunicanti. Costruisce liste vertiginose, come quando elenca le piaghe, le ferite infette su orecchie, spalle, schiena, causate dalla concentrazione di metalli pesanti nel fiume in Perù. “Avevo dei taccuini che usavo continuamente -racconta-. E mi ero comprato delle cuffie da carpentiere per scrivere e dormire, visto che il capitano teneva la musica a tutto volume per non addormentarsi durante la navigazione notturna”. 

L’Amazzonia, la foresta e il fiume, non è solo la protagonista del racconto. Entra prepotente nella scrittura: “C’è solo acqua, il cielo percorso da grandi nuvole bianche e l’impenetrabile muro verde ai lati. Rami che si intrecciano, liane resistenti che scendono dalle cime, tuffandosi nelle acque. Mi pare quasi di sentire la voce, i loro fiati umidi”, scrive Ferracuti. Il fiume curva le parole e gli stati d’animo dei protagonisti come “un labirinto, una geografia spaesante. A volte sembra di stare sempre nello stesso posto”, racconta nell’intervista l’autore, per cui uno degli stati d’animo ricorrenti è il timore: “È come se vivessi sempre sotto minaccia. Timore dell’anaconda, della pantera, del piranha. E poi il timore dell’uomo. Il capitano e il suo secondo provavano continuamente a fregarci: ci hanno rubato due terzi del carburante e le corde, vendevano tutto quando arrivavamo a terra”. 

“L’Amazzonia è un simbolo, un modello di sviluppo alternativo. È la nostra cattiva coscienza: Unicredit e Intesa sono legate alle imprese che contribuiscono alla deforestazione”

Il libro ha poi un valore per il metodo col quale è stato costruito: un lavoro lento, una scommessa contro i tempi dell’editoria italiana, una sfida ai ritmi narrativi di Twitter. Sei anni di viaggi costano biglietti aerei, hotel, rischi e imprevisti che i freelance devono mettere sul proprio conto. “Ma abbiamo seminato molto, il sito lab.greenandblue.it (dove si trovano foto e video del viaggio, e anche una mappa, purtroppo assente nel libro, ndr) ha fatto circolare la notizia. E poi siamo andati nelle scuole a raccontare il nostro viaggio. Speriamo di tradurre il libro anche all’estero”, dice soddisfatto Ferracuti. 

Il metodo narrativo che mescola parole e immagini, ci offre due racconti. La penna dello scrittore e la camera di Marrozzini lavorano assieme ma sono occhi diversi, perché il testo si può leggere senza guardare le foto e viceversa. “Io e Marrozzini siamo lontani ma complementari. Nessuno ha fatto la didascalia dell’altro: lui racconta l’Amazzonia magica e l’immaginario violato. Io la condizione umana. Il mio è un lavoro militante. Ho deciso di raccontare gli yanomami, i guerrieri guajajara, i popoli resistenti. Certo, sono più deboli rispetto alle minacce che ricevono, ma è una lotta che va combattuta in ogni caso”. 

Le foto pubblicate a corredo di questo articolo sono tratte da “Viaggio sul fiume mondo. Amazzonia” (Mondadori, 2022) dello scrittore Angelo Ferracuti e del fotografo Giovanni Marrozzini © Giovanni Marrozzini

È questo “lavoro militante” che conferisce un valore civile al libro, che si aggiunge all’impegno dei tanti che difendono l’Amazzonia. Come la Ong Survival e i cattolici di Missioni Consolata, che aprono il cammino ai due autori durante le loro esplorazioni. I quali, riconoscenti, alla fine del viaggio hanno deciso di regalare la loro barca alla Ong Piccolo Nazareno di Manaus, per farne una biblioteca galleggiante per i ragazzi di strada. 

Il libro è stato scritto nel 2018, poco prima dell’elezione di Jair Bolsonaro a presidente del Brasile. Durante il suo governo, la deforestazione dell’Amazzonia è cresciuta del 73% per far spazio ad attività economiche illegali. Molti di coloro che si sono opposti a queste aggressioni, sono stati uccisi. Come l’antropologo Bruno Pereira e il giornalista britannico Dom Phillips, assassinati a inizio giugno 2022 nella valle del fiume Javari. “Dopo l’elezione di Bolsonaro, i popoli indigeni hanno reagito e partecipato alle elezioni del 2022 con leader di primo piano”, racconta Ferracuti, che a settembre 2022 è stato nel Nord-Est del Brasile per seguire la campagna elettorale tra le comunità indigene. E oggi il Paese ha voltato pagina: il nuovo presidente Luiz Inácio Lula da Silva, all’ultima Cop27 sul clima, ha promesso “deforestazione zero” entro il 2030. 

I popoli indigeni hanno sostenuto la campagna elettorale di Lula per le elezioni presidenziali del 2022. Inoltre, 30 leader comunitari si sono candidati per il Congresso: sono state elette le attiviste Célia Xakriabá e Sonia Guajajara. Quest’ultima è stata nominata ministro dei Popoli indigeni

“In Amazzonia è in corso uno scontro di civiltà. Tra quella occidentale, il popolo delle merci, e le cosmovisioni indigene. Per loro i consumi sono sobri, non c’è accumulazione, si caccia e si pesca solo ciò che serve. Gli antenati vivono nelle acque del fiume, per questo va protetto”, spiega Ferracuti. L’autore non cade nell’agiografia del mondo indigeno, ne mostra anche le contraddizioni e i contrasti. Come l’alcolismo, la povertà in cui scivola chi lascia la foresta per andare in città e le fratture generazionali: “Alcuni giovani non girano nudi come i vecchi. Mi fa pensare alla nostra cultura contadina, la struttura familiare della casa colonica italiana somiglia alla maloca amazzonica, dove le famiglie di parenti vivono assieme. Noi avevamo i guaritori, loro gli sciamani. Le culture cambiano permanentemente”. 

E c’è una storia nella storia, che vale la pena essere raccontata: quella dell’Amalassunta. Il nome del battello è un omaggio al pittore Osvaldo Licini, che scriveva: “Amalassunta è la luna nostra bella, garantita d’argento per l’eternità, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco”. Ed è un viaggio da accompagnare quello di questi due marchigiani. Leggendo spesso ci si chiede: “Ma chi gliel’ha fatto fare?”. Chi gliel’ha fatto fare di avventurarsi nella selva in Venezuela alla ricerca dei garimpeiros, i cercatori d’oro illegali, o di far aprire il portellone di un aereo russo della Seconda guerra mondiale per scattare foto alla foresta sottostante? “Marrozzini è coraggioso, io solo un po’ incosciente. Raccontare questa storia è stata un’intuizione, l’Amazzonia è un simbolo, un’alternativa al modello di sviluppo occidentale. È la nostra cattiva coscienza. Anche del nostro Paese: Unicredit e Intesa Sanpaolo sono legate alle imprese agroalimentari che contribuiscono alla deforestazione. È un lavoro urgente”, conclude Ferracuti. 

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