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Il futuro del biologico, tra grande distribuzione e negozi specializzati

Le vendite dei prodotti a marchio bio crescono nei supermercati, mentre i negozi ad hoc faticano a tenere il passo pur mantenendo un valore aggiunto culturale. Il “Focus” di Bio Bank fa il punto della situazione nel Paese, mettendo a confronto i due canali distributivi. Dai prezzi alle relazioni con i produttori

“Il biologico, quello vero, sano, etico, giusto, locale, di stagione… saprà resistere alla pressione della grande distribuzione?”. La domanda viene dalla webzine indipendente bioaddict.fr ed è stata ripresa da Bio Bank, “la banca dati del bio”, in occasione della recente pubblicazione del “Focus Bio Bank – Supermercati & Specializzati 2018”. La risposta provano a darla le 78 pagine del report -realizzato a partire dai censimenti annuali di Bio Bank- nelle quali si mettono a confronto due canali distributivi del biologico: “Quello storico dei negozi bio e quello emergente dei supermercati”, come si legge nell’introduzione. È la seconda edizione di questo tipo fatta da Bio Bank, ma la prima a censire anche la cosmesi bio.

“Dal 2016, le vendite di prodotti bio nei supermercati sono cresciute a due cifre (+36%) rispetto ai negozi (+3%)”, sottolinea Rosa Maria Bertino, co-fondatrice e autrice di Bio Bank. I supermercati, che nel 2007 avevano fatturato 400 milioni di euro dal bio, sono arrivati a 1.200 milioni di euro nel 2016; mentre i negozi -che oggi coprono il 29% delle vendite di settore- da 550 milioni di vendite nel 2007 sono arrivati a 900 milioni nel 2016, con un trend in calo dal 2014. “Il fatturato complessivo del settore cresce, ma a beneficiare di questa crescita è soprattutto la grande distribuzione organizzata -spiega Bertino-. E il rischio è che questa forbice continui ad allargarsi nei prossimi anni”.

Fonte: Focus Bio Bank – Supermercati & Specializzati 2018 – http://issuu.com/biobank

Le referenze bio a marchio dei supermercati, infatti, sono quintuplicate in 16 anni, “passando dalle 644 del primo censimento Bio Bank del 2001 alle 3.529 del 2017, registrano un +448%”.  Sono 22 le catene della grande distribuzione con un loro marchio bio (le così dette private label): il 144% in più dal 2001 (quando erano nove) e il 47% in più dal 2013. In media hanno 160 referenze ciascuna (erano 136 nel 2015): Coop è stata la prima, nel 1992, a vendere ortofrutta bio e oggi è in testa con 604 prodotti a marchio, seguita da Iper con 371 e Carrefour con 308.
Il report analizza anche le private label equosolidali della grande distribuzione: si trovano in sei catene, per un totale di 62 referenze, con una media di 10 l’una. La cosmesi naturale e bio è invece presente in otto catene con un marchio dedicato, per un totale di 135 referenze, 17 in media.

© Bio Bank
Fonte: Focus Bio Bank – Supermercati & Specializzati 2018 – http://issuu.com/biobank

L’altro fronte è quello dei negozi bio specializzati. Oggi sono 1.437, con una lenta crescita del 13% negli ultimi quattro anni. I negozi bio si concentrano nel Nord Italia: il primo negozio bio, “Il girasole”, aprì nel 1974 a Milano e la Lombardia è oggi la prima Regione, con 276 punti vendita, seguita da Veneto (160) e Piemonte (148). Al Sud si trova solo il 17% dei negozi.
“La partita tra supermercati e negozi non si può giocare sul prezzo -dice Bertino-. I prezzi della grande distribuzione, infatti, sono competitivi e i negozi su questo devono avere un’attenzione in più: non hanno più il monopolio delle vendite del settore e quindi devono contenere i prezzi”. Ma, al di là del tema della spesa, quello che consentirà ai negozi specializzati di vivere è “la capacità di valorizzare le loro peculiarità, che i clienti non possono trovare nei supermercati”. L’ampia gamma di prodotti di alta qualità, per esempio, i prodotti sfusi e quelli freschi, la consulenza che possono dare al consumatore e, soprattutto, la proposta culturale: “Ogni negozio dovrebbe proporre incontri con i produttori, presentazioni e degustazioni -suggerisce Bertino-. Questo è un compito insostituibile dei negozi, che possono raccontare delle storie a partire dai loro prodotti, per trasmettere dei valori. I supermercati non possono competere su questo piano”.
Ad avere successo oggi sono anche nuovi format che abbinano, per esempio, negozio e ristorante: sono solo il 10% del totale, come si legge nel report, ma “consentono una sinergia nella gestione e meno sprechi -osserva Bertino-. Inoltre chi consuma un pasto e si incuriosisce può acquistare direttamente gli ingredienti nella bottega accanto”.

Un’altra chance per sopravvivere la danno le aggregazioni, che sono il 63% del totale dei negozi specializzati. NaturaSì aprì il suo primo punto vendita a Verona nel 1993 e oggi -dopo la fusione con Ecor e la nascita di EcorNaturaSì spa nel 2009- si contano in Italia 228 negozi “Cuorebio” e 245 “NaturaSì”. Ma sono numerosi i gruppi bio, per un totale di 912 negozi che hanno, mediamente, una superficie di 230 metri quadri (sono 100 i metri quadri dei negozi indipendenti, in media).
Il report osserva infine le tendenze europee, un “cantiere aperto” nel quale aprono “nuovi punti vendita specializzati nel bio”. In Francia, sono 15 i negozi Carrefour Bio; “Auchan prima ha aperto i due punti vendita pilota Cœur de Nature e poi ha inaugurato il primo Auchan Bio e “Leclerc annuncia una grande offensiva sul bio nel 2018, con l’apertura di ben 200 specializzati”, si legge nel report. E in Germania, “Rewe chiude con gli specializzati bio Temma e punta diritto sulla marca Rewe-Bio che conta già 600 referenze”.

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