Diritti / Attualità
A sei mesi dal naufragio di Pylos le indagini giudiziarie sono ancora in alto mare
Human rights watch e Amnesty international denunciano la lentezza nell’avanzamento delle inchieste giudiziarie che devono accertare le responsabilità per la morte di oltre 600 persone in Grecia. Tra errori procedurali e il “muro di gomma” alzato dalla Guardia costiera, accusata di aver causato il capovolgimento dell’imbarcazione
A sei mesi dal naufragio di Pylos, in Grecia, le indagini per accertare le responsabilità per la morte di oltre 600 persone hanno fatto pochi progressi. Lo denunciano Amnesty international e Human rights watch (Hrw) preoccupate che non si arrivi a una ricostruzione scrupolosa di quanto successo con il rischio che le accuse rivolte alla Guardia costiera greca non non vengano vagliate approfonditamente. “Pylos rischia di essere un altro tragico esempio di abdicazione delle autorità greche alla responsabilità di salvare vite in mare”, spiega Judith Sunderland, direttrice per l’Europa e l’Asia centrale di Hrw.
Secondo quanto ricostruito dalle due organizzazioni, la Guardia costiera greca non avrebbe mobilitato adeguate risorse per il salvataggio dell’imbarcazione Adriana, naufragata con più di 700 persone a bordo la mattina del 14 giugno 2023, nonostante i chiari segnali di pericolo in cui versava la nave. Il sovraffollamento, da un lato, e l’assenza di cibo e acqua a sufficienza dall’altro. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti -in 21 hanno risposto alle domande dei ricercatori delle due organizzazioni- le autorità greche erano infatti a conoscenza della condizione dei migranti a bordo così come della presenza di cadaveri e delle reiterate richieste di soccorso. Ma non solo: una motovedetta della Guardia costiera, così come ricostruito anche da diverse inchieste giornalistiche (ne abbiamo scritto qui) avrebbe tentato di trainare l’Adriana verso le acque internazionali, attaccando una corda all’imbarcazione, causando il capovolgimento dell’imbarcazione. Secondo le testimonianze dei naufraghi, a questo punto, le autorità non avrebbero garantito un salvataggio celere tardando nell’intervento.
A fronte di questo tragico quadro, le organizzazioni sottolineano come lo stallo delle indagini giudiziarie in corso “sollevi preoccupazioni sulle prospettive di responsabilità per il naufragio”. Nove sopravvissuti, attualmente in stato di arresto, stanno affrontando gravi accuse davanti al Tribunale penale di Kalamata, in Grecia, proprio con l’accusa di aver causato la morte di oltre 600 persone. Parallelamente, a giugno, il Tribunale navale ha invece aperto un’indagine sostenendo che la responsabilità è delle autorità greche. “Non è chiaro come una sentenza di un tribunale possa influenzare l’altro”, osservano Hrw e Amnesty che mostrano preoccupazione anche per le “potenziali gravi carenze procedurali” che potrebbero influire sull’esito delle indagini: l’immediata confisca dei telefoni dei sopravvissuti e il ritardo con cui il Tribunale ha sequestrato i telefoni degli ufficiali della Guardia costiera ellenica arrivati sul tavolo dei giudici solo a fine settembre. Al 13 dicembre solo 13 dei superstiti sono stati auditi dalla corte.
La Guardia costiera ha rifiutato di rispondere alle domande delle organizzazioni e alle conclusioni del loro report. A novembre 2023, tra l’altro, proprio il rifiuto del corpo della capitaneria di porto ellenica ad aprire un’indagine disciplinare interna ha spinto il difensore civico greco ad avviare un’ulteriore inchiesta sul ruolo dei guardacoste. Un comportamento preoccupante: Amnesty e Hrw ricordano infatti “fallimenti” a cui si è già assistito, in passato, in Grecia con riferimento ai processi penali riguardanti i naufragi. Nel 2022, la Corte europea dei diritti umani ha condannato il Paese per le carenze nei soccorsi e nelle successive indagini sul naufragio di Farmakonisi del 2014, in cui morirono 11 persone.
“A quasi dieci anni dal mortale naufragio di Farmakonisi -denuncia Adriana Tidona, ricercatrice sulle migrazioni di Amnesty international- la risposta delle autorità greche alla tragedia di Pylos è un banco di prova cruciale per verificare la loro volontà di indagare sulle violazioni dei diritti umani contro le persone razzializzate al confine del Paese. La Grecia deve garantire che i sopravvissuti e le famiglie delle centinaia di persone che hanno perso la vita possano partecipare in modo sicuro ed efficace ai procedimenti ai massimi livelli”.
A completare il quadro c’è poi l’indagine del Mediatore europeo che vuole far luce sul ruolo di Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere europee, che tramite il suo aereo che sorvola il Mediterraneo ha avvistato l’imbarcazione. Secondo le organizzazioni avrebbe dovuto continuare a monitorare l’Adriana e lanciare una richiesta di soccorso. Frontex ha risposto alle organizzazioni che “è responsabilità delle autorità nazionali coordinare le operazioni di ricerca e salvataggio e che non ha lanciato un allarme di mayday perché non ha valutato un ‘rischio imminente per la vita umana’”. “Un resoconto dettagliato di quanto accaduto -conclude Judith Sunderland di Hrw- è fondamentale per assicurare verità e giustizia ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime”.
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