Diritti / Reportage
A guardarlo da vicino il Quarticciolo è un modello popolare da imitare, non commissariare

L’associazione Quarticciolo Ribelle e i comitati del quartiere di Roma Est non si rassegnano alla visione securitaria e agli interventi “calati dall’alto” come il “Decreto Caivano bis”. Si oppongono a una narrazione che non va oltre il “degrado e il disagio giovanile” e mettono in campo pratiche di riqualificazione pensate e agite da chi vive e conosce il territorio. A partire dalla palestra e dal doposcuola nella ex questura
Le grandi manifestazioni di piazza di questi mesi al Quarticciolo hanno portato il quartiere della periferia Est di Roma alla ribalta. Il 23 dicembre scorso il Quarticciolo si è trovato infatti inserito tra i sette luoghi interessati dal cosiddetto “Decreto Caivano bis” in quanto area “ad alta vulnerabilità sociale” in cui “fronteggiare le situazioni di degrado e disagio giovanile” attraverso “un piano straordinario di interventi infrastrutturali e di progetti di riqualificazione sociale e ambientale”.
Altri casi sono quelli di Rozzano (MI), Scampia (NA) , il borgo agricolo di San Ferdinando (RC), Orta Nova (FG), i quartieri San Cristoforo a Catania, e Borgo Nuovo a Palermo. Il modello che il Governo Meloni vuole seguire è quello adottato per Caivano, con una spesa prevista di 180 milioni di euro fino al 2027. E una regia affidata a poteri commissariali, quelli del commissario straordinario Fabio Ciciliano, che potrà prendere decisioni senza un confronto con i cittadini e le realtà sociali che vivono nei territori. In attesa della prossima scadenza per presentare i piani di inizio aprile, ancora non si conoscono le misure in programma.
Restando al Quarticciolo, qualcosa è filtrato, come l’intenzione di sgomberare lo stabile dell’ex questura, di proprietà dell’Ater, l’azienda territoriale per l’edilizia residenziale pubblica, dove dal 1997 vivono una quarantina di persone e ha sede il comitato Quarticciolo Ribelle, insieme ad alcuni progetti sociali di mutualismo dal basso come il doposcuola popolare, il birrificio, la micro-stamperia. Le prime avvisaglie fanno quindi temere una serie di interventi “calati dall’alto”, in nome di una certa idea di “sicurezza” e di “legalità” che poco incidono sulle problematiche profonde del territorio.
Se le cronache infatti parlano di un quartiere centrale per lo spaccio, ostaggio di una vera e propria “epidemia di crack”, continue retate delle forze dell’ordine e case popolari liberate da occupanti abusivi, raccontano meno di come a occupare siano spesso persone aventi diritto a edifici di edilizia residenziale pubblica che non hanno mai visto assegnarsi il proprio alloggio. O dell’abbandono dell’unica scuola dell’infanzia, quella di via Locorotondo, del dimensionamento dell’Istituto comprensivo “Via P.R. Pirotta”, di una piscina comunale chiusa nel 2016, di edifici Ater che cadono a pezzi per mancanza di manutenzione straordinaria.
Mentre altri, come le palazzine di via Ugento, sono oggetto di una ristrutturazione finanziata con oltre tre milioni di euro spesi per un solo edificio, peraltro ancora incompleto.
Basta però camminare per queste strade per trovare anche un Quarticciolo inaspettato, almeno per chi non lo frequenta, dove un comitato di quartiere si fa carico da anni di fornire agli abitanti delle alternative e quei servizi essenziali che spesso latitano, non ultime un ambulatorio e una palestra popolare, avviando un percorso di rivendicazione e confronto con le istituzioni locali. A guardarlo da vicino, assomiglia più a un modello da imitare che a qualcosa da commissariare e ricostruire da zero.
Tutto è iniziato nel 2015 con la palestra popolare, nata all’interno di uno spazio caldaie di proprietà dell’Ater abbandonato da oltre vent’anni, per proseguire oggi nei locali dell’ex bocciofila, presso il Centro anziani di via Ugento, con circa centocinquanta iscritti solo per il pugilato a cui si affiancano altre attività come il cerchio aereo e la core stability.
Una palestra aperta “per garantire l’accessibilità allo sport per tutti nella borgata tenendo conto del valore che ha nella crescita dei ragazzi in un contesto come quello del Quarticciolo -racconta ad Altreconomia Emanuele Agati, trentaquattrenne tecnico della nazionale italiana di pugilato e tra i fondatori del progetto-. Oggi la palestra riesce anche ad avere un livello qualitativo sopra la media, stiamo pian piano raccogliendo i risultati di questi otto anni di lavoro, quest’anno due campioni regionali hanno partecipato ai campionati italiani. Cominciamo ad affermarci, e anche questo ha la sua importanza”.
Non solo sport, perché la palestra è nata anche “con la volontà di costruire una comunità, cosa che abbiamo fatto negli anni, dando vita a un comitato di quartiere e nuovi progetti”. Divenendo un vero e proprio gruppo di aiuto sociale: “Chi viene qui trova un posto sicuro in cui sfogarsi e aprirsi rispetto alle difficoltà personali. Noi possiamo indirizzarlo all’ambulatorio o al doposcuola, nati dall’ascolto delle esigenze del quartiere -conclude Emanuele-. Io mi preoccuperei piuttosto di valorizzare le esperienze positive che ci sono piuttosto che attaccare delle realtà solo perché occupate”.
Tra queste, l’Ambulatorio Popolare Roma Est, ospitato da gennaio proprio nei vecchi locali della palestra, ormai dati in concessione, una risposta concreta e di qualità all’assenza di presidi sanitari che affligge tutto il quartiere. A reggerlo sono una trentina tra medici e psicologi, a impegno variabile, oltre a diverse altre figure su base volontaria, e il risultato è quello di offrire un servizio che va dalla medicina di base a quella pediatrica, oltre a dare una risposta a disagi più profondi grazie a uno sportello nutrizionale e uno di ascolto psicologico. Evidenziando una carenza che non affligge solo le periferie, ma l’intero Paese, e un’altra strada da seguire per affrontare i problemi reali delle persone.
“Dall’inizio il discorso sul quartiere è stato: a Quarticciolo c’è il deserto, ma è una menzogna”, racconta Maria Egarda Marcucci del comitato Quarticciolo Ribelle. “Qui c’è una comunità piuttosto viva, penso che in questi mesi l’abbiano dimostrato, ci siamo organizzati insieme con il doposcuola, la palestra, la parrocchia, la biblioteca, il teatro. Chiunque abbia un interesse reale per questo quartiere -prosegue l’attivista romana- ha detto una cosa molto chiara, ascoltateci, noi sappiamo di cosa c’è bisogno”.
Tutto meno che una indiscriminata stretta securitaria, “l’idea che la militarizzazione sia la soluzione è qualcosa che abbiamo respinto in maniera abbastanza compatta, anche a fronte di una situazione che nessuno nega essere veramente difficile. Che cosa vuol dire sicurezza? Di certo non rendere le strade un deserto o costruire un mega impianto sportivo quando ci sono persone a cui piove in casa e un’emergenza abitativa strutturale che è andata solo peggiorando”.
Mentre parla si aprono le porte del doposcuola al piano basso del grande palazzo della ex questura che troneggia al centro di “piazza del Quarticciolo”, in via Ostuni. Dentro, tre giorni a settimana, bambine e bambini della borgata e dintorni, dall’età prescolare fino alle superiori, trovano uno spazio sicuro in cui avere un supporto nel proprio percorso educativo, dalla preparazione alla scuola per i più piccoli all’aiuto compiti e la possibilità di investire sulla formazione anche partendo da condizioni disagiate. Parte di una “comunità educante”, come la definiscono i fondatori, che fa anche da filtro con la scuola, aiutando a superare problemi di stigma sociale o razziale.
“È assurdo pensare di risollevare il quartiere attaccando uno dei pochissimi presidi che combatte la dispersione scolastica, tenere insieme un discorso di criminalità organizzata e spaccio che invade le periferie con un’occupazione come quella dell’ex questura che di fatto è stata un argine a tutti i problemi reali del quartiere”.
Non si tratta di difendere lo status quo, anzi, secondo Maria Edgarda “se ci sono delle risorse da investire, bene, ma capire come indirizzare quei fondi deve necessariamente essere una pratica guidata da chi il territorio lo conosce e cerca, nonostante tutte le difficoltà di farlo vivere ogni giorno. Noi abbiamo un piano, l’abbiamo scritto nero su bianco nel 2022 e aggiornato negli anni, discusso con il quartiere in un processo che ha coinvolto tutta la comunità. Adesso aspettiamo risposte chiare”.
Un piano cui ha contribuito anche il laboratorio di Urbanistica dell’Università La Sapienza stilando una mappa di interventi precisi, che chiamava in causa il Comune di Roma, la Regione Lazio e l’Ater, ma che oggi rischia di essere cancellato dal “Caivano bis”.
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