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L’Università italiana sotto scacco

Manifestazioni, cortei, a volte scontri. L’iconografia della protesta universitaria non cambia mai di molto e, soprattutto, la sua narrazione sparisce in fretta dai giornali e -se mai vi è apparsa- dalle televisioni. Dovremmo essere preoccupati per lo stato del nostro…

Tratto da Altreconomia 121 — Novembre 2010

Manifestazioni, cortei, a volte scontri. L’iconografia della protesta universitaria non cambia mai di molto e, soprattutto, la sua narrazione sparisce in fretta dai giornali e -se mai vi è apparsa- dalle televisioni.
Dovremmo essere preoccupati per lo stato del nostro sistema universitario tanto quanto lo siamo per quello scolastico.
Non serve una laurea per capire che se le facoltà funzionano male si minano la preparazione e le competenze delle generazioni future, e con esse la loro capacità di garantire stabilità e benessere per se stessi e le proprie famiglie.
E quindi per il Paese.
“In questi ultimi due anni stiamo assistendo a una campagna denigratoria, sempre più intensa e aggressiva, nei riguardi dell’Università italiana e di tutto coloro che onestamente vi operano”. Non è un volantino di rivendicazione di studenti o ricercatori precari: è l’inizio della lettera che il rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, ha inviato ai propri iscritti e alle loro famiglie.
L’ateneo milanese è noto in tutto in mondo per la sua autorevolezza e prestigio. Non è certo un’istituzione “rivoluzionaria”.
Eppure a ottobre, chi accedeva all’home page del sito www.polimi.it leggeva frasi del tipo “Il Rettore, il Senato accademico e il Consiglio di Amministrazione esprimono profonda preoccupazione per il declino scientifico, tecnologico e culturale del nostro Paese, che rischia di aggravarsi in questa fase”.
Col puntiglio tipico degli ingegneri -nessuno si offenda…- quelli del “Poli” di Milano poi sciorinano le cifre: “In una recentissima indagine Ocse condotta su 33 nazioni -si legge sempre sul sito-, l’Italia si colloca al terz’ultimo posto per spesa in formazione universitaria, misurata come percentuale del Pil; l’Italia dedica solo lo 0,9% del Pil contro una media europea dell’1,3%”. Tradotto: il contributo statale per uno studente del Politecnico di Milano è circa sette volte inferiore all’analogo messo a disposizione per uno studente svizzero.
E ancora: “In questo momento di crisi e incertezze, Usa, Germania e Francia stanno comunque aumentando le risorse destinate al settore della conoscenza. In Italia la diminuzione dei fondi 2010 è di circa il 4% rispetto al 2009, ma nel 2011 e 2012 è prevista un’ulteriore diminuzione del 18-19%”.
La riforma del sistema universitario è necessaria, ma il disegno di legge approvato a luglio va modificato significativamente, per garantire autonomia, finanziamenti, trasparenza e responsabilità agli Atenei, valorizzando il merito (di studenti e professori) e non le consuete logiche e favoritismi.
Se ne riparlerà a fine novembre, forse, ma i rischi sono ben visibili anche oggi.
Facciamo quindi nostre le parole del Rettore Ballio: “Appare legittimo il dubbio che vi sia il desiderio di sostituire l’università pubblica con un sistema privato, devastando le aspettative di più di un milione e mezzo di famiglie italiane”. E questo è un costo che davvero non ci possiamo permettere.

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