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Finanza / Opinioni

Tavares-Elkann, ovvero il culto del dividendo che ha portato alla distruzione di Stellantis

L'ex amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, e di spalle il presidente di Stellantis, John Elkann © Blondet Eliot/ABACA / ipa-agency.net / Fotogramma

Il disastro del gruppo ha numerose ragioni industriali ma la crescente predilezione per i dividendi finanziari, per i rendimenti a brevissimo termine garantiti dalle azioni, a cui dare linfa con continue delocalizzazioni e con riduzione degli organici, ha avuto un peso non trascurabile. Ecco perché accusare oggi le politiche ambientali europee o l’arrivo delle auto cinesi è un impacciato diversivo. L’analisi di Alessandro Volpi

L’amministratore delegato di Stellantis, Carlos Tavares, si è dimesso, con la lauta liquidazione di 100 milioni di euro, e ha lasciato la società in mano a John Elkann, in questo momento invischiato nel processo ginevrino per l’eredità familiare.

Il titolo intanto crolla, travolto dalla presenza della Exor, la società di famiglia con sede in Olanda, e, in Italia sono a rischio oltre 40mila posti di lavoro diretti e molti di più nella filiera.

Il disastro ha tante ragioni industriali, ma la crescente predilezione per i dividendi finanziari, per i rendimenti a brevissimo termine garantiti dalle azioni, a cui dare linfa con continue delocalizzazioni e con riduzione degli organici, ha avuto un peso certo non trascurabile.

Con l’elusione fiscale, con il culto del dividendo trimestrale, con la ricerca del salario più basso non si genera valore industriale; certo le politiche europee, sia in termini di automotive sia in termini di impoverimento generale, non hanno aiutato ma la passione finanziaria di Stellantis è stata davvero eccessiva e ora la speculazione ribassista presenta il conto.

Tavares ha distribuito, in quattro anni, 23 miliardi di euro di dividendi ai famelici azionisti, tra cui Exor degli Elkann che ha ottenuto tre miliardi di euro. È interessante notare a riguardo che Stellantis ha distribuito dividendi per quasi sette miliardi di dollari soltanto nel primo semestre del 2024 mentre era in corso il rapido sgonfiamento della capitalizzazione della società, dimezzata da circa 85 miliardi di dollari a 45 miliardi.

Naturalmente per tenere alto il valore delle azioni non sono mancati i buy back, che nel periodo 2022-2024 hanno raggiunto un valore di 5,4 miliardi di euro.

In sintesi, Stellantis ha agito come un pirata finanziario, senza alcun interesse all’innovazione e con una continua ricerca, da parte di Exor, di altri “affari”, a partire dalla sanità privata.

Nonostante tutto ciò, John Elkann chiama in causa le politiche ambientali europee e l’arrivo delle auto cinesi che avrebbero distorto il mercato. Ma quale mercato?

La definitiva scomparsa della Torino industriale si è consumata attraverso tre tappe. La prima è stata costituita dal processo di “diversificazione” dell’attività di Fiat rispetto alla centralità dell’auto, con una prima attenzione alla finanza e al terziario. Ciò ha significato la fine della ricerca e dell’innovazione dei modelli. In quella fase il capitalismo familiare italiano ha dato la peggiore prova di sé mostrando la totale incapacità di stare sui mercati.

In questa fase è iniziata la delocalizzazione, lo spostamento delle fabbriche in zone dove il costo della manodopera era molto basso nell’intento di recuperare competitività solo sul versante dell’abbattimento dei salari, a cui si accompagnavano, in maniera paradossale, i sussidi pubblici.

La seconda fase ha preso corpo con l’osannata “ideologia” Marchionne, che aveva già fin dall’origine la prospettiva del trasferimento ulteriore delle fabbriche italiane fuori dall’Italia con l’approdo negli Stati Uniti, a cui avrebbe fatto seguito una profonda trasformazione societaria.

La terza fase si chiama, appunto, Stellantis ed è chiaramente improntata a una logica, come accennato, tutta finanziaria, per cui la resa dei titoli e i dividendi valgono più della produzione stessa.

Certo, questa crisi non è stata raccontata da una parte della stampa italiana. Exor, infatti, tramite il gruppo Gedi, è anche proprietaria di una fetta importante dell’informazione italiana; possiede la Repubblica, La Stampa, Il Secolo XIX, Radio Capital, Radio Deejay, e si occupa persino di geopolitica, con Limes. Sempre nel campo dell’informazione, Exor è azionista di riferimento dell‘Economist.

In sintesi, e semplificando molto, la stessa società che ha sede fiscale in Olanda, che sta contribuendo all’impoverimento produttivo italiano controlla una parte rilevante dei media e dei suoi contenuti, dall’economia alla geopolitica.

Per fotografare il modus operandi di Stellantis, del resto, può essere utile ricordare un episodio molto eloquente. Nel 2019 l’allora Fca, in pratica la Fiat, vendeva per 5,8 miliardi di euro l’azienda storica Magneti Marelli alla giapponese Calsonic Kansei, ora di proprietà del fondo finanziario onnipresente in Italia Kkr (ne abbiamo scritto a proposito della rete Tim, ndr). Da allora, i dipendenti italiani della Magneti Marelli si sono ridotti a meno di 7mila, di cui circa 250 in “licenziamento” congelato.

Nel frattempo il gruppo in questione ha raggiunto i 50mila dipendenti in giro per il mondo. Nel 2020, quando l’accordo di vendita si completò, Stellantis che era subentrata a Fca ottenne dallo Stato italiano 6,2 miliardi di incentivi attraverso un prestito con la garanzia pubblica di Sace, egli azionisti di Fca, Exor in primis, maturarono da quell’operazione di vendita 1,5 miliardi di euro di dividendi.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento. Il suo ultimo libro è “Nelle mani dei fondi” (Altreconomia, 2024)

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