Cultura e scienza / Opinioni
Una liberatrice raccolta di ossa
Il processo di decolonizzazione passa attraverso la destrutturazione del potere maschile. Le pagine meravigliose della scrittrice Maaza Mengiste. La rubrica di Tomaso Montanari
La mia università, quella per Stranieri di Siena, ha istituito la Cattedra Woolf, un ciclo annuale di lezioni affidato ogni anno a una figura capace di ispirare pensieri e metodi nuovi, ragionando, parlando e scrivendo intorno ai pensieri e ai metodi di Virginia Woolf (cui è dedicata l’aula magna dell’ateneo), e da lì partendo per rileggere, e riscrivere, il mondo. Non sarà necessariamente sempre una donna ma abbiamo voluto iniziare invitando una grande scrittrice, donna e nera: Maaza Mengiste.
Da maschio, bianco, non giovane e in posizione di (relativo) potere accademico so che sono le donne oggi, in tutto il mondo, ad avere le parole del cambiamento. Sono profondamente convinto che, attualmente, la questione femminile non sia riducibile a una tra le tante. È, invece, la questione delle questioni: perché va al cuore del meccanismo attraverso il quale il secolare dominio maschile ha strutturato la perpetuazione del potere nell’età della dittatura del mercato e della guerra che torna.
Sottomissione, mercificazione del corpo, negazione del valore della diversità, violenza al posto della politica: il processo di esclusione delle donne rappresenta, prepara e simboleggia ogni altra espropriazione di umanità. È lo stesso che viene usato per trasformare in inferiorità anche ogni altra diversità. Per trasformare in nemico ogni alterità.
La scrittura di Maaza Mengiste, con la sua straordinaria qualità, mostra come il cuore del processo di decolonizzazione sia la destrutturazione, culturale e politica, del dominio maschile. In quella stessa aula, pochi mesi prima, la comunità accademica aveva celebrato la dedica della nostra sala di studio a Michela Murgia, e pochi giorni prima vi si era tenuta, per l’inaugurazione dell’anno accademico una lezione di Igiaba Scego sulla decolonizzazione del patrimonio culturale italiano. Una linea culturale necessaria, mentre colonialismo e imperialismo occidentale si affiancano a un ritorno dei nazionalismi e a quello dei fascismi. Ha scritto Maaza Mengiste, nel Re ombra, che “memoria è raccogliere ossa”.
Sul filo delle parole di Virginia Woolf, le ossa che abbiamo raccolto nella sua lezione sono state quelle lasciate dal colonialismo italiano in Etiopia, e quelle oggi moltiplicate dal colonialismo di Israele in Palestina. Di fronte all’anticipazione dell’inizio di quella lezione su un giornale italiano, non è mancato chi si è stupito che una scrittrice di romanzi si occupi di una grande questione “politica”. Un’obiezione tanto inconsistente sul piano culturale, quanto diffusa nel discorso pubblico occidentale.
Vale allora la pena di rispondere con alcune delle parole che Edward Said ha dedicato al rapporto tra cultura e imperialismo: “le storie sono diventate anche lo strumento con cui i popoli colonizzati avrebbero affermato la loro identità e l’esistenza della propria storia. La battaglia principale dell’imperialismo ha riguardato naturalmente la terra; ma a chi apparteneva quella terra, chi aveva il diritto di insediarvisi e di lavorarla, chi continuava a farla fruttare, chi l’aveva riconquistata e chi ora ne decideva il futuro: tutto questo si commentava, si dibatteva e persino, in un certo periodo, si decideva nella letteratura. Come ha suggerito un eminente critico, le nazioni stesse sono narrazioni”. In una foucaultiana archeologia del presente, dunque, raccogliamo ossa per imparare a scrivere un futuro diverso. Un futuro di liberazione.
Tomaso Montanari è storico dell’arte e saggista. Dal 2021 è rettore presso l’Università per stranieri di Siena. Ha vinto il Premio Giorgio Bassani di Italia Nostra
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