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Nel limbo di irregolarità e ricattabilità per mano dei decreti flussi

© Tim Mossholder - Unsplash

Accedere all’unico canale di ingresso regolare nel nostro Paese può arrivare a costare tra i 10 e i 13mila euro. Agenzie e intermediari reclutano candidati alla migrazione inconsapevoli dei meccanismi astrusi o dei requisiti. Una volta arrivati rischiano di non trovare il datore di lavoro e quindi ottenere il permesso di soggiorno. Come non funziona il sistema e chi ne trae profitto

“Apri Instagram e cerca: decreto flussi”. A metà aprile Luca Oliviero, operatore della Cooperativa Dedalus, mostrava una serie di video in lingue orientali o dialetti nordafricani dell’arabo che sponsorizzano l’opportunità di raggiungere l’Italia. All’espletamento della documentazione necessaria ci pensano loro, convinti e convincenti faccendieri: basta contattarli. “Sapete nel 2022 alla prefettura di Napoli quanti contratti di lavoro sono stati siglati su 11.695 nullaosta d’ingresso? Sei”, cadenzava lentamente. E i restanti 11.689? “Buona parte di quelle persone sono nelle campagne a Nord di Napoli o nel casertano a lavorare la terra in condizioni di schiavitù, o nell’edilizia, costretti a ripagare un debito contratto per poter venire qui”.

A inizio giugno, poche ore prima della chiusura della campagna elettorale per il Parlamento europeo, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha denunciato alla procura nazionale antimafia le anomalie nella procedura denominata “decreto flussi” sostenendo che la “criminalità organizzata si sia infiltrata nella gestione delle domande” per l’ingresso in Italia di lavoratori stranieri.

“Il messaggio trapelato faceva passare i migranti come corresponsabili della truffa subìta -commenta Alberto Guariso, avvocato dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi)-, è un grosso errore pensarlo”.

“Abbiamo informazioni parziali dai racconti delle persone intercettate dai nostri servizi, storie diverse che variano dai contesti e dalle risorse di cui il lavoratore migrante dispone, sia in termini di informazioni e reti sociali che di denaro da investire nella ‘scommessa’ dell’immigrazione -racconta Oliviero alla fine della riunione di ‘Buon lavoro’, un progetto di contrasto al caporalato sul territorio campano finanziato da Fondazione Con il Sud-. Esistono agenzie e intermediari che si sono specializzati nel promuovere le opportunità offerte dalle quote del decreto flussi per reclutare potenziali candidati alle migrazioni. Ai lavoratori viene chiesto un anticipo per avviare la procedura che si completa con l’ottenimento di un visto per lavoro (subordinato o stagionale) che consente di entrare legalmente in Italia”.

Accedere in questo modo all’unico canale di ingresso regolare nel nostro Paese costa tra i 10 e i 13mila euro. In alcuni casi i migranti vengono convinti dall’intermediario che fornisce dettagli sul lavoro che svolgeranno, sullo stipendio e sull’alloggio. Quasi sempre le persone non hanno alcun tipo di consapevolezza e informazione sui meccanismi del decreto flussi e sui requisiti per lavorare regolarmente qui, oltre a non aver alcun contatto con il datore di lavoro che dovrebbe assumerle. “Sono completamente in balìa degli intermediari che mantengono stretti contatti con i propri contesti di origine ma risiedono qui -racconta Oliviero-, dove rappresentano il nodo di una rete che coinvolge consulenti del lavoro, commercialisti e altri professionisti in grado di districarsi nella normativa, oltre a un datore di lavoro che fornisce i documenti necessari per la domanda”.

E una volta arrivati in Italia? “Non trovano il datore di lavoro quindi non possono ottenere un permesso di soggiorno. Gli intermediari diventano irreperibili, facendo capire che, differentemente dagli accordi presi, il loro compito è terminato con l’arrivo in Italia -dice ancora Oliviero, spiegando come queste persone cadano in un limbo-. In alcuni casi, gli intermediari avanzano ulteriori richieste di denaro, dai 3mila ai 5mila euro, lucrando ancora sulla speranza di ottenere un permesso di soggiorno. I lavoratori maturano così la consapevolezza di essere truffati e di essere irregolari. Spesso contraggono debiti a tassi usurai, che finiscono per diventare uno strumento di assoggettamento”. Gli sbocchi più immediati sono le terre di lavoro, distretti agrari ad alta richiesta di manodopera: che sia qualificata non importa, che sia sottopagata è necessario.

Una forte presenza di lavoratori indiani e bengalesi caratterizza ad esempio l’area pontina. “Anche una serie di inefficienze del sistema fanno sì che si possa lucrare su queste pratiche. È il sistema informatico che oggi permette a un unico datore di lavoro di richiedere cento persone con un’unica domanda. Ovviamente c’è l’azienda seria ma anche quella che prova a lucrare su questo sistema -spiega Laura Hardeep Kaur, segretaria generale Flai Cgil Frosinone Latina-. Il problema è che poi, in un secondo step i dati non vengono incrociati, non viene chiesto ad esempio alle aziende che continuano a chiamare lavoratori dall’estero che fine abbiano fatto le persone per le quali era già stato rilasciato il nullaosta: è paradossale che non ci sia questo tipo di controllo. La criminalità organizzata si infiltra lì dove manca lo Stato. Non si può gestire il flusso migratorio sul buon cuore dell’imprenditore”.

“Il decreto Semplificazioni, che è stato una risposta alle organizzazioni datoriali, ha fatto sì che con il solo rilascio del nullaosta il lavoratore possa lavorare già dal giorno dopo che arriva in Italia anche se non si conclude il contratto di soggiorno -continua Kaur-. Abbiamo risolto il problema della manodopera ma non quello della persona”. Persone che arrivano in Italia con le carte in regola, sicure di poter lavorare ma ad attenderle c’è il nulla: un limbo di irregolarità ed estrema ricattabilità. I numeri sono impressionanti e raccontano quanto la misura sia stata un flop: le domande per entrare in Italia sono state più del triplo, nel 2022, e sei volte più numerose rispetto alle quote fissate nel 2023, mentre negli ultimi due anni solo il 30% delle domande accolte si è conclusa effettivamente con un contratto di lavoro e un permesso di soggiorno.

L’avvocato Guariso sottolinea come il decreto flussi sia fatto male perché non prende in considerazione eventualità assolutamente probabili. “Ci sono situazioni fisiologiche per chi arriva un anno dopo la chiamata, quando non c’è più necessità ed è normale che non venga stipulato il contratto. E questa è una casistica marginale, la quasi totalità dei migranti sono vittime di tratta costretti a pagare il trafficante, prima, durante e dopo: hanno pieno diritto alla protezione, vanno tutelati nell’interesse della collettività; se il nullaosta lo danno le aziende che non hanno i requisiti la responsabilità è dello Stato”.

Inoltre con il cosiddetto decreto Cutro di inizio 2023, la produzione della documentazione per il nullaosta è stata esternalizzata ai consulenti del lavoro e non più agli ispettorati del lavoro, spiega ancora il giurista. “Questo scaricabarile apre una vasta probabilità di frodi. Un’altra responsabilità del governo è non aver messo mano al sistema di ingresso consentendo qui in loco la ricerca di occupazione per permettere l’effettivo incrocio tra domanda e offerta”. Che il rapporto di lavoro debba nascere prima dell’ingresso dello straniero è “una presunzione che espone a grandi responsabilità -concldue Oliviero-, una vera e propria patologia del sistema di accoglienza. Dopo oltre vent’anni della Bossi Fini possiamo prendere atto che non funziona”.

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