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Diritti / Approfondimento

“Invisibili ed escluse”. A Udine centinaia di persone sono tagliate fuori dall’accoglienza

© Rete Diritti accoglienza e solidarietà internazionale Fvg

Dai monitoraggi della Rete Dasi risulta che almeno 150 migranti dormirebbero ammassati e privi di servizi di base all’interno della ex caserma Cavarzerani, senza tuttavia essere ospiti regolarmente registrati e pur essendo già stati fotosegnalati. Una situazione disumana. Il Friuli-Venezia Giulia è un laboratorio nazionale di non gestione dei flussi e di creazione di marginalità

A Udine sono almeno 150 le persone migranti escluse dai canali ufficiali dell’accoglienza, anche dopo esser state sottoposte al fotosegnalamento, procedura preliminare alla formalizzazione della domanda d’asilo. A mettere in luce questo stato di abbandono, che ricorda quello per cui è già tristemente famoso il capoluogo del Friuli-Venezia Giulia, il rapporto redatto dalla Rete Diritti accoglienza e solidarietà internazionale (Dasi) Fvg, un coordinamento delle associazioni che in Regione sono impegnate nella difesa dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo, nella cooperazione internazionale e nella solidarietà tra popoli.

Nell’estate del 2023 la Rete Dasi ha iniziato a raccogliere le testimonianze di giovani uomini richiedenti asilo all’esterno dell’ex caserma Cavarzerani della città, un Centro di accoglienza straordinaria (Cas) gestito, sotto l’autorità della prefettura, dalla cooperativa sociale Medihospes. Da dicembre 2023 ad aprile 2024 le associazioni si sono recate, con cadenza settimanale, a distribuire beni di prima necessità e materiale informativo e a parlare con le persone.

I colloqui hanno evidenziato una situazione di crisi: decine di migranti hanno riportato di dormire all’interno della ex caserma Cavarzerani senza tuttavia essere ospiti regolarmente registrati nel Cas, pur avendo il diritto di usufruire delle misure di accoglienza. Le 150 persone censite dalle organizzazioni sostano quotidianamente in un luogo denominato “la moschea”, una grande stanza che si trova in un’area dismessa della struttura, dove sono state ammassate decine di brande, in una situazione di sovraffollamento che pare non rispettare le norme di sicurezza o garantire vie di fuga in caso di incendio. A dormire in questo spazio giovani -con un’età prevalente tra i venti e i trent’anni- provenienti principalmente dal Bangladesh, insieme a un numero minore di cittadini marocchini, anch’essi giunti in Italia dai Balcani. È invece limitato il numero di persone originarie del Pakistan o dell’Afghanistan.

Non essendo inserite nei canali ufficiali di accoglienza, le persone non hanno così diritto ad alcun servizio tra quelli normalmente garantiti ai richiedenti asilo: non hanno né assistenza medico-sanitaria e legale, né supporto psicologico, né tanto meno pocket-money (2,50 euro al giorno) o vestiario e pasti. Molti usufruiscono della mensa gestita dalla Caritas in centro città; talvolta Medihospes lascerebbe loro il cibo avanzato dai padiglioni ufficiali (che al momento ospitano 550 persone, il massimo previsto). Chi può permetterselo, acquista un fornelletto da campo e generi alimentari che poi cucina nello stesso spazio in cui dorme, in una situazione in cui il rischio di incendio è altissimo, a causa della presenza di materiali infiammabili. Anche l’accesso ai servizi igienici è problematico: nel Cas ci sono in totale 52 bagni -di cui 38 alla turca- che, tra ospiti ufficiali e no, devono servire 700 persone.

Ma come si può uscire da questo limbo? Secondo le testimonianze, alcune persone possono venire spostate nei container ufficiali quando si liberano dei posti nelle zone dedicate ai richiedenti asilo regolarmente accolti, per esempio per un allontanamento volontario dal Cas, per il trasferimento a un progetto Sai (Sistema accoglienza integrazione) di chi ha ottenuto il riconoscimento di una forma di protezione internazionale o speciale o a seguito di trasferimenti in altri Cas, anche se questa misura viene raramente attuata.

I dormitori di bassa soglia della città, che potrebbero invece offrire un letto alle persone in transito, hanno un numero di posti molto limitato (basti pensare che solo 23 sono permanenti, nella struttura “Il Fogolar”, in gestione alla Caritas).

Un quadro drammatico, quindi, che conferma una situazione di estrema difficoltà in una Regione che, pur essendo punto di ingresso in Italia delle cosiddette rotte balcaniche, appare del tutto inadeguata nella gestione dei flussi migratori. Basti pensare che la quasi totalità dell’accoglienza (cioè il 92% dei posti nel 2023) viene convogliata in quella che dovrebbe essere la misura emergenziale dei Cas, mentre la rete Sai è molto poco diffusa (i posti messi a disposizione dai progetti Sai, alla fine di febbraio 2024, sono infatti appena 218, colloca il Friuli-Venezia Giulia all’ultimo posto in Italia). Per questo il rapporto della Rete Dasi si conclude con un’esortazione alla politica, a “esprimere coraggio, lungimiranza e capacità di progetto traducendo sul piano pratico i valori di solidarietà e giustizia sociale, dando sostegno alle persone più fragili e svantaggiate, troppo spesso condannate all’invisibilità e alla marginalità”.

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