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Verso una nuova finanza. Pubblica e sociale
Oltre trecento persone hanno risposto sabato 2 febbraio all’appello di Attac Italia, Centro nuovo modello di sviluppo, Re:Common, Rivolta il Debito, Smonta il Debito. L’obiettivo è favorire la nascita di una rete che lavori su due temi: audit sul debito pubblico (anche quello degli enti locali) e ri-pubblicizzazione di Cassa depositi e prestiti
"La finanza è come un aspiratore, che può funzionare in maniera reversibile al 100%, violando il principio dell’entropia. Puoi usarlo per estrarre ricchezza dalla collettività, per destinarla ai mercati. Oppure, girando la leva, puoi scegliere di estrarre ricchezza dei mercati, per realizzare l’interesse della maggioranza. Per questo, la finanza pubblica è uno strumento importante. Ed è per questo che noi dobbiamo lavorare per ri-appropriarcene, con un approccio trasformativo". Antonio Tricarico, di Re:Common, ha introdotto così, a Roma, la prima assemblea nazionale della nascente rete "Per una nuova finanza pubblica e sociale".
Al Teatro Valle Occupato, convocati da Attac Italia, Centro nuovo modello di sviluppo, Re:Common, Rivolta il Debito, Smonta il Debito, sabato 2 febbraio oltre 300 persone hanno risposto all’appello: "METTIAMOLI IN CRISI! PER UNA NUOVA FINANZA PUBBLICA".
"Il nostro obiettivo è arrivare a costruire un Forum per una nuovo finanza pubblica -ha spiegato Marco Bersani, di Attac Italia, tra gli animatori del Forum italiano dei movimenti per l’acqua-. È un percorso complicato, ma interessante e -soprattutto- necessario. Perché in questo Paese -ha aggiunto Bersani- viviamo numerose conflittualità che hanno tutte almeno un significato in comune: cercano di de-mercificare alcuni beni. A questi conflitti, affianchiamo un percorso per de-finanziarizzare la società. Perché non solo re-immettere ricchezza nella società. Tra i beni che, a mio avviso, devono star fuori dal mercato c’è anche il credito.
Per questo -ha spiegato Bersani- proporremmo due percorsi: una riguarda il debito, l’altro Cassa depositi e presiti", quest’ultimo divenuta nel corso dell’ultimo anno e mezzo una sorta di "fondo sovrano", una banca d’investimenti privata forte della capacità d’investire il risparmio postale di 12 milioni di famiglie italiane.
"Questa campagna è necessaria per rompere la nuova ideologia, quella che dice ‘privato è obbligatorio’. Oggi che il debito è un problema fondamentale, e ogni volta che un gruppo di persone avanza una rivendicazione la risposta che viene data è che non ci sono soldi a disposizione. Per questo, i movimenti devono risalire a monte. Per il momento siamo intervenuti sugli effetti, ma non basta più: bisogna intervenire sulle cause".
Per questo è essenziale ri-appropriarsi della finanza, e in particolare di quella pubblica. "Ciò significherebbe, tra l’altro, togliere linfa vitale ai mercati finanziari -come ha spiegato Tricarico-. Quei mercato che sono, oggi, gli espropriatori della ricchezza collettiva, i soggetti che si servono dell’aspirapolvere.
La due aree di lavoro su finanza degli enti locali e Cassa depositi e presiti sono centrali -secondo l’esponente di Re:Common-, perché sono gli ambiti in cui si assiste alla riconfigurazione del potere del capitalismo italiano".
Secondo Tricarico "i soldi ci sono, e sono fin troppi". Cdp -infatti- ha una liquidità di oltre 120 miliardi di euro. Per questo, è opportuno "organizzare i risparmiatori postali", spesso ignari di finanziare la Cassa. "Gli italiani devono arrivare a dire ‘non con i nostri soldi’, parlando al plurale, pensandosi come collettività" spiega Tricarico, che per Re:Common si occupa del programma "Nuova finanza pubblica". Che insiste: "La riappropriazione della finanza è una risposta alla crisi. Prevede una traiettoria lunga. Intorno a Cdp, per quanto sia importante, c’è un silenzio assordante. È passato nell’ombra il deciso regalo fatto nelle ultime settimane alle fondazioni bancarie, azioniste fino ad oggi al 30%, per restare in Cassa. E non c’è nessuno, nell’arco costituzionale, che dica ‘le vogliamo buttare fuori’".
All’assemblea di Roma è intervenuto, tra gli altri, Gigi Malabarba, in rappresenza di "Ri-Maflow", ovvero del gruppo di persone che nel milanese ha occupato "una fabbrica chiusa nelle scorse settimane, dopo un ciclo di lotte, dopo un’occupazione durante la fase di amministrazione straordinaria".
Al "termine del periodo di cassa integrazione -ha raccontato Malabarba- un gruppo di operai, che non hanno trovato che lavori al nero, hanno deciso di ri-appropriarsi di quel luogo e anche dei macchinari. La Maflow lavorava nel ciclo dell’auto. Ovviamente non abbiamo intenzione di restare in quell’ambito, e proponiamo una riconversione in senso ecologico". Il suffiso "Ri", davanti a Maflow significa "riuso, riciclo, riappropriazione, rivolta il debito, rivoluzione". "Vorremmo poter lavorare in funzione delle esigenze sociali, portando un beneficio alla collettività -racconta Malabarba-. La forma giuridica sarà quella di una cooperativa, e il modello quello di un’autogestione: perché c’interessa una nuova finanza pubblica? Perché è l’unica che potrebbe dar gambe a un progetto che punta a garantire produzione e reddito. È la finanza che ci serve, a sostegno di un progetto di autogestione operaia".