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Diritti / Intervista

Uno scrittore nell’inferno degli allevamenti intensivi

Munir Hachemi è nato a Madrid nel 1989. La sua famiglia ha origini algerine. “Cose vive” (2018) è il suo esordio. Nel 2023 ha pubblicato il romanzo “El árbol viene”

Nel libro “Cose vive” l’autore spagnolo Munir Hachemi racconta un periodo di lavoro come interinale presso uno stabilimento dedicato ai polli in Francia, dove lo sfruttamento riguarda umani e animali. Ed è una questione di classe

Tratto da Altreconomia 273 — Settembre 2024

“Cose vive” di Munir Hachemi è un libro che parla “del sistema di produzione capitalista, che tende allo sfruttamento in ogni ambito”, come spiega l’autore, incluso nel 2021 nella selezione dei 25 migliori giovani narratori in lingua spagnola della rivista Granta. Lo scrittore Andrés Neuman ha definito il suo lavoro “letteratura viva”, riassumendo in modo puntuale il valore di un testo che smuove profondamente il lettore a partire dal racconto di una storia vissuta dall’autore, che alla fine del suo percorso universitario, insieme a tre amici, decide di passare un periodo in Francia, lavorando come raccoglitore stagionale per la vendemmia.

“Era il 2012 o il 2013 -spiega Hachemi, che è nato a Madrid nel 1989- e dopo quell’intervallo noi saremmo tornati a frequentare un master universitario a Granada, ma ciò che abbiamo vissuto quell’estate ci ha segnato, tanto che prima di scrivere ‘Cose vive’ sono passati alcuni anni, necessari a rielaborare l’esperienza”.

Quell’anno, a causa delle condizioni climatiche avverse, non ci fu alcuna vendemmia ad Aire-sur-l’Adour, un Comune del Sud-Ovest della Francia, circa seimila abitanti a 150 chilometri da Bordeaux.

Per questo Munir e i suoi amici -G., Ernesto e Alex- si trovano a lavorare tramite un’agenzia interinale in alcuni stabilimenti per l’allevamento intensivo di polli: “Cose vive”, pubblicato in Italia da La Nuova Frontiera, è un racconto dell’inferno dall’interno, che descrive l’abbrutimento dell’uomo-macchina addetto alla movimentazione dei polli verso il macello, la violenza della relazione con gli animali, l’odore persistente delle deiezioni sugli abiti, ma anche la relazione di subordinazione assoluta e sfruttamento di fronte al datore di lavoro.

“Prima di quel viaggio vedevo il vegetarianesimo come qualcosa di eccentrico, mentre oggi percepisco con forza quant’è politica la lotta per i diritti degli animali”

“Sono uno scrittore e ho scelto di raccontare una storia. Sono anche una persona politicizzata, ma nonostante questo non mi ritengo preparato per affrontare il tema degli allevamenti intensivi in modo ampio. Mi sento in imbarazzo quando mi chiedono che cosa ne penso, com’è successo alla radio per ‘Carne cruda’, dov’ero insieme al fotografo autore di un’inchiesta sui maiali all’interno dei mattatoi (si chiama Aitor Garmendia, e il suo lavoro è ‘Factoría (la explotación industrial de cerdos)’, ndr): il mio è un lavoro letterario. Però, prima di quel viaggio vedevo il vegetarianesimo come qualcosa di eccentrico, mentre oggi percepisco con forza quant’è politica la lotta per i diritti degli animali e quanto sia legata all’ecologismo. Oggi posso dire che questo tipo di allevamento non dovrebbe esistere. A cambiare la mia percezione è stata l’esperienza del dolore. Credo che a differenziare le rivendicazioni della sinistra e quelle della destra è che le prime nascono dal dolore”.

Nel libro, Munir (il protagonista) diventa improvvisamente vegano dopo aver partecipato a una sessione di lavoro definita la vaccination, paradossalmente descritta come il migliore dei compiti che danno all’agenzia interinale, anche perché permette di lavorare per sette ore di fila. Munir (l’io narrante) la definisce tortura, consapevole che la sua condizione di giovane laureato gli permetterà di uscirne. Il libro di Hachemi è uscito in spagnolo nel 2018, almeno cinque anni dopo gli eventi a cui fa riferimento.

“Era importante per me che il lettore si ponesse di fronte a qualcosa che è parte della società in cui viviamo. Il diario che accompagna la narrazione è falso, l’ho scritto al momento della stesura del libro, ricercando i testi delle mail che avevo scritto durante il mese trascorso in Francia, gli appunti sui miei quaderni. L’ho scritto durante una residenza letteraria in Cina, c’è voluto tempo per capire veramente che cosa avevamo attraversato, per tenere quell’esperienza dentro la narrazione della nostra vita. Ne ho parlato con G. (che si chiama Gonzalo) e Alex (che in realtà è Alvaro) e abbiamo deciso che aveva senso scrivere qualcosa. A differenza dei miei primi due romanzi, che mi ero autoprodotto, con l’idea di voler controllare l’opera, questa volta ho desiderato che avesse ampia diffusione, perché ne ho percepito la forza politica. E non si tratta di raccontare -continua Hachemi- ciò che non ho visto, quello che accade poi nei mattatoi, ma di affrontare ciò che ho vissuto come una questione di classe”.

Munir Hachemi, “Cose vive”, La Nuova Frontiera, 2024, 144 pagine, 16,90 euro

Quando, dopo l’episodio delle vaccinazioni, Munir e i suoi amici decidono di non poter più continuare con gli allevamenti intensivi, finiscono grazie alla stessa agenzia interinale a lavorare in un ipertecnologica azienda che, nei pressi della fabbrica di polli, coltiva mais transgenico, chiamata Synngate. “Uso questo espediente per mostrare le relazioni all’interno di uno stesso modello di produzione, inserendo anche un personaggio, Guillaume detto Hank Scorpio, che è il padre di Elodie, la ragazza che gestisce il lavoro interinale. Volevo mostrare le connessioni all’interno di un sistema che schiaccia i lavoratori. Cose vive sono gli operai, i polli e anche il mais. E se Munir diventa vegano, nella realtà io in quel momento ho smesso di mangiare carne di produzione intensiva e solo in seguito sono diventato vegano, ma è stato terrificante anche lavorare all’interno dei campi di mais. So che non è un argomento facile, ma il problema è il sistema di produzione capitalista”.

L’editore presenta il libro come un eco-thriller. Tra i lavoratori sfruttati come Munir e i suoi amici ci sono infatti anche alcuni morti. La soluzione del caso non richiede l’acume di investigatori privati. “Sono morti da sovrasfruttamento, all’interno di contesti che fingiamo di non riconoscere, anche qui in Spagna, dove ad Almeria, a Murcia, a Huelva c’è gente schiava che vive nelle tende, lavorando a raccogliere fragole e pomodori a 45 gradi. Eppure, si fa come se non esistesse”.

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