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Una Puglia biodiversa
Adatte a una coltivazione biologica ed emblema di un’agricoltura capace di contrastare i cambiamenti climatici. Sono 19 le varietà a rischio estinzione che l’università di Bari vuole tutelare. Tra queste, le carote viola di Giuseppe Giuliacci—
Giuseppe Oronzo Giuliacci ha 78 anni e continua, come ha sempre fatto da quand’era bambino, ad andare in campagna a raccogliere carote. Che a Polignano a Mare, in provincia di Bari, sono viola, gialle e arancioni. “Questo è un seme di famiglia, che conservo e riproduco -racconta ad Ae-. Prendo le carote che mi piacciono di più, e pianto nuovamente le radici, da cui ‘esce’ il fiore, da cui traggo il seme”. Il signor Giuseppe coltiva le carote colorate in un terreno agricolo nei pressi dell’Abbazia benedettina di San Vito, una frazione di Polignano, a poche centinaia di metri dal mare. “Non uso concimi, e da gennaio raccogliamo per quattro, cinque mesi” spiega.
Una porzione del suo campo è affidata alle cure dei ricercatori del Dipartimento di Scienze agro-ambientali e territoriali (DiSAAT) dell’Università di Bari, che nell’ambito del progetto “BiodiverSO” (Biodiversità delle specie orticole della Puglia, www.biodiversitapuglia.it) accompagna gli agricoltori e promuove la valorizzazione di 19 varietà “a rischio di estinzione” -dalla batata leccese al pomodorino di Manduria, in ordine alfabetico-.
“Queste varietà sono frutto di una selezione naturale, hanno saputo adattarsi al clima, e di solito rispondono bene a bassi input energetici: sono adatte a una coltivazione biologica, e sono le più idonee immaginando un’agricoltura capace di contrastare i cambiamenti climatici” spiega Pietro Santamaria, ricercatore del DiSAAT e coordinatore del progetto “BiodiverSO”.
“Il nostro lavoro, però, è andato oltre: dopo aver ‘caratterizzato’ le varietà a rischio erosione, ne abbiamo definito le caratteristiche morfologiche”. Il gruppo di lavoro coordinato da Santamaria ha scoperto, così, che la carota viola di Polignano a Mare, quella che il signor Giuseppe mi mostra, appena raccolta e lucidata, fa anche bene: “La composizione degli zuccheri -spiega Santamaria- è completamente diversa rispetto a quella della carota tradizionale. C’è più fruttosio, e meno saccarosio: a un gusto maggiore corrisponde, cioè, un apporto calorico minore. Abbiamo verificato le caratteristiche nutrizionali della carota di Polignano, scoprendo che ha proprietà anti-ossidanti: coltivare biodiversità è salutare”, conclude Santamaria.
Tra le altre varietà analizzate, ci sono il carciofo centofoglie -ricco di inulina, un polisaccaride di riserva che non determina un aumento della glicemia, ed è quindi ideale per i diabetici- e il cavolo a foglia riccia -ricco di glucosinati, un gruppo di circa 200 composti attivi che hanno forte capacità di prevenire il cancro-.
La Regione Puglia ha destinato 2 milioni di euro al progetto “BiodiverSO”, uno dei cinque progetti integrati finanziati nell’ambito del Piano di sviluppo rurale: “Gli altri riguardano la vite, l’olivo, le piante da frutto e le leguminose e i cereali” racconta Santamaria, e l’obiettivo della Regione è recuperare la conoscenza sulla biodiversità delle coltura pugliesi, risanare le risorse, creare banche dati e promuovere la conservazione, in situ ed ex situ. Se la seconda è quella che si fa nelle “banche dei semi”, la prima prevede la coltivazione nelle aziende, “che -secondo Santamaria- è il modo migliore di conservare le risorse genetiche, migliorandole allo stesso tempo”.
La parte più significativa del progetto “BiodiverSO” è quella che ha portato i ricercatori dell’Università di Bari fuori dai laboratori, negli orti: “Spesso queste varietà vengono coltivate in appezzamenti esigui, da pensionati e hobbisti. Il recupero della biodiversità passa anche per un dialogo con queste persone, che serve a realizzare schede che raccolgano, ad esempio, anche le ricette e i modi d’uso delle varietà locali”. Da un approccio conservativo, a uno capace di valorizzare la ricchezza genetica dei campi pugliesi. Che si realizza (anche) usando strumenti innovativi, come i social network: “Riceviamo molte segnalazioni attraverso il sito e la pagina Facebook dedicata al progetto (www.facebook.com/BiodiverSO, ndr)” racconta Santamaria. Che insieme ad Angelo Signore -che lavora con lui al DiSAAT- e Francesco Serio dell’ISPA (l’Istituto di scienze delle produzioni alimentati del CNR) ha firmato un articolo dedicato a Wikipedia e alla agrobiodiversità (“Wikipedia As a Tool for Disseminating Knowledge of (Agro)Biodiversity”), che a febbraio 2014 è stato pubblicato da “HortTechnology”, una rivista dell’American Society for Horticultural Science. In pratica, il team di ricerca è intervenuto modificando (o creando ex novo) alcune voci all’interno dell’enciclopedia on line, relative alle varietà valorizzate nell’ambito del progetto “BiodiverSO”, misurando poi la capacità di fermare e amplificare la conoscenza.
In particolare, Angelo Signore ha dato carattere scientifico alla voce dedicata al carosello -meloni immaturi i cui frutti sono consumati come se fossero cetrioli- animando poi la discussione “wiki” –it.wikipedia.org/wiki/Carosello_(gastronomia)-. Sono strumenti, utili a portare la storia -le varietà antiche- nel futuro. Per cancellare (almeno) trent’anni di storia, gli ultimi, in cui l’agricoltura ha puntato solo sulla quantità. Nel suo ufficio all’Università di Bari Pietro Santamaria mi mostra un libro delle sementi. È datato 1984, e i frutti fotografati (e promessi) sono tutti “giganti”. —