Interni / Reportage
Una luce accesa a San Siro per chi perde il lavoro e fatica a “ripartire”
Il progetto “Work is progress” promosso dalla Fondazione Soleterre aiuta gli abitanti del quartiere di Milano a ritrovare un impiego. Le persone ricevono un’assistenza a 360 gradi: dal supporto psicologico all’assistenza legale
Naglaa ha sempre lavorato: per sette anni ha gestito una lavanderia a Milano. Poi, ha dovuto fermarsi. “Mia figlia Jasmine, che oggi frequenta la terza media, ha una grave disabilità. Per questo motivo quando è nata io e mio marito abbiamo preso la decisione di vendere la lavanderia perché ci servivano soldi e io dovevo essere più presente a casa per prendermi cura di lei”. Con il passare degli anni la bambina ha trovato le cure e l’assistenza di cui ha bisogno: “Abbiamo avuto la fortuna di incontrare una bravissima professionista e adesso c’è un po’ di spazio per me”.
Per Naglaa, elegante quarantasettenne di origine egiziana, c’è un solo modo per riempire quello spazio: tornare a lavorare. Ma conciliare un’occupazione con la cura dei cinque figli non è facile, nemmeno per chi, come lei, ha una laurea conseguita in Egitto, parla bene l’italiano, ha la patente e una solida esperienza lavorativa alle spalle. Per un po’ di tempo, racconta ad Altreconomia, ha trovato qualche lavoretto saltuario tramite un’associazione ma in realtà Naglaa era alla ricerca di un impiego stabile, che le garantisse un’entrata sicura e al tempo stesso la flessibilità necessaria per seguire i figli più piccoli. È stato il passaparola a portarla in un piccolo ufficio nel quartiere San Siro, periferia Ovest di Milano, dove ha sede il programma “Work is progress” della Fondazione Soleterre. Per prima cosa, Naglaa ha sostenuto un colloquio con una job councelor che l’ha aiutata a individuare il percorso di reinserimento lavorativo più adatto. “Ho deciso che la soluzione migliore per me era lavorare nelle mense scolastiche, perché hanno orari adatti alle mie esigenze, per conciliare il lavoro con la cura dei miei figli. Ho seguito un corso di formazione e subito dopo mi hanno chiamata per iniziare a lavorare: era maggio 2022. Poi a settembre mi hanno richiamato”, racconta.
“Work is progress” è un programma nato originariamente in Marocco più di dieci anni fa e che Soleterre ha poi esportato in altri Paesi esteri (El Salvador e Ucraina) e in Italia, con l’obiettivo di favorire i percorsi migratori e in particolare i ricongiungimenti familiari. “Il nostro approccio è sempre stato quello di una presa in carico da parte di un’équipe multidisciplinare -spiega Valentina Valfré, responsabile del programma internazionale della fondazione milanese-. Le persone venivano da noi per risolvere un problema burocratico, ma dall’ascolto della loro storia spesso emergevano anche altre necessità: dai problemi psicologici alle violenze familiari a cui noi cerchiamo di dare risposta”.
“Garantiamo a ciascuno una presa in carico personalizzata, che tiene conto delle esigenze e dei problemi specifici. Il lavoro non è l’unico obiettivo” – Roberta Chiodaroli
In Italia il focus del programma si è progressivamente concentrato sul tema dell’inclusione socio-lavorativa. Sarebbe però sbagliato pensare a “Work is progress” come a un semplice servizio di collocamento mirato. “I nostri sono piccoli numeri, incontriamo circa 300 persone all’anno. Questo ci permette di garantire a ciascuno una presa in carico altamente personalizzata, che tiene conto delle esigenze e dei problemi specifici -spiega Roberta Chiodaroli, coordinatrice del programma “Work is progress” in Italia-. L’obiettivo finale resta sempre quello di trovare un lavoro e aiutare la persona a mantenerlo, ma durante il percorso prestiamo attenzione anche a tutte le altre problematiche che ‘vengono a galla’ e ci attiviamo per trovare una soluzione”.
Come per Naglaa, tutti coloro che si rivolgono a Soleterre iniziano il loro percorso con un approfondito colloquio con un job councelor durante il quale vengono individuati non solo gli obiettivi e le aspettative, le competenze e la formazione pregressa, ma anche i possibili ostacoli alla ricerca di un lavoro: dalla scarsa conoscenza della lingua italiana alla mancanza della patente, dalla poca autonomia delle mamme alle situazioni di violenza familiare, dai problemi psicologici alla mancanza di competenze specifiche. A ciascuna di queste esigenze Soleterre risponde attivando le figure professionali interne all’équipe multidisciplinare del progetto (oltre al job councelor sono presenti un avvocato, una mediatrice e uno psicologo) oppure le associazioni del territorio con cui l’organizzazione ha costruito nel corso degli anni una solida rete di collaborazione.
“Una parte molto importante, propedeutica alla ricerca di un impiego, è quella dell’inclusione sociale -spiega Chiodaroli-. Qui a San Siro, ad esempio, lavoriamo frequentemente con le donne di origine straniera: sebbene siano arrivate da tempo, molte di loro non parlano ancora italiano, sono state escluse dal mercato del lavoro perché assorbite dalla cura dei figli e dal carico domestico. Quindi, ancora prima di iniziare a pensare alla formazione professionale, per loro organizziamo momenti di confronto e occasioni per conoscere il territorio”.
La decisione di Soleterre di aprire proprio a San Siro la sede del progetto “Work is progress” è arrivata quasi per caso: “Ma con il tempo ci siamo resi conto che questo quartiere aveva una serie di caratteristiche che lo rendevano adatto alla nostra attività e al nostro approccio di intervento -sottolinea ancora Valentina Valfrè-. Questo è il quartiere con il più elevato livello di disuguaglianza di Milano, con grandi complessi di case popolari a poca distanza da ville lussuose, quasi metà della popolazione è di origine straniera e ci sono qualcosa come 85 nazionalità diverse. Sebbene qui ci fosse una fitta rete associativa, quello che mancava era una realtà che si occupasse di inclusione socio-lavorativa”.
“San Siro è il quartiere con il più alto livello di disuguaglianza di Milano, con i grandi complessi di case popolari a poca distanza da ville lussuose” – Valentina Valfrè
Osservare Milano dal piccolo ufficio di “Work is progress” (uno spazio ricavato all’interno di un edificio Aler, assegnato con un bando del Comune nel 2019) permette di avere uno spaccato delle tante difficoltà che molti cittadini -italiani e stranieri- affrontano nell’accedere al mercato del lavoro. “C’è la questione dei trasporti -spiega ancora Roberta Chiodaroli- per molte delle persone che seguiamo quella per fare la patente è una spesa al di sopra delle proprie possibilità”. Chi non è autonomo negli spostamenti, ma deve fare affidamento solo su tram e metropolitana ha quindi grosse limitazioni nell’accettare offerte di lavoro che richiedono spostamenti in altre zone della città o nell’hinterland, oppure in orari poco coperti dal trasporto pubblico locale. “In questi mesi ci siamo resi conto che in alcuni settori c’è un’elevata domanda di manodopera. Le aziende cercano saldatori e tornitori specializzati, addetti alla logistica e alla ristorazione -aggiunge Valfré-. La mancanza di un mezzo di trasporto è uno dei fattori che impedisce a molti dei nostri utenti di accettare queste offerte”.
“In alcuni settori c’è un’elevata domanda di manodopera: saldatori, addetti alla logistica. La mancanza di un mezzo di trasporto è però un limite” – Roberta Chiodaroli
Un altro grande ostacolo è la difficoltà a frequentare corsi di formazione (in particolare quelli che richiedono un impegno full time per lunghi periodi di tempo) per quelle persone che al tempo stesso hanno la necessità di guadagnare qualcosa con cui mantenere sé stessi e la propria famiglia. “Noi cerchiamo il più possibile di spingerli a completare i percorsi formativi, a investire su una propria progettualità che permetta, nel lungo periodo, di trovare un lavoro stabile e meglio remunerato. Ma è difficile dire a una persona di rinunciare a un lavoretto, magari ben pagato, per seguire un corso di formazione -sottolinea Chiodaroli-. Quando c’è una linea di finanziamento che ce lo permette cerchiamo sempre di erogare una borsa di studio. In alternativa proviamo a sensibilizzare le aziende, per organizzare dei corsi di formazione più brevi ma con un follow-up un po’ più costante dopo l’assunzione”.
Dal 2020 l’équipe di San Siro di Soleterre affianca nella ricerca di un lavoro anche persone che hanno avuto un tumore e che, a causa della malattia, faticano a tornare a svolgere le mansioni precedenti o devono trovare una nuova occupazione. “Talvolta le aziende si aspettano dai loro dipendenti che hanno avuto un cancro lo stesso tipo di produttività, ma non è così: la malattia lascia segni fisici e mentali profondi -spiega Chiodaroli-. Inoltre chi ha avuto un tumore ha la possibilità di essere assunto attraverso la legge 68 del 1999, che tutela le persone con un’invalidità riconosciuta: il problema è che l’iter di accertamento è lungo e complesso. Spesso si inceppa o le persone non hanno le informazioni necessarie per completarlo. Oltre ad affiancare i nostri utenti in questo percorso, parte del nostro lavoro è anche quello di svolgere attività di advocacy nei confronti delle istituzioni per snellire le procedure”. Uno degli aspetti più importanti di questa specifica linea di intervento del progetto “Work is progress” è l’attenzione al recupero del benessere psicofisico delle persone, una condizione irrinunciabile anche per il successo del reinserimento lavorativo.
Evelina, quarantenne di origine peruviana, è arrivata a Milano nel 2017 per curare un tumore dalla prognosi terribile: “Mi avevano dato pochi mesi di vita, l’Italia mi ha salvato -racconta ad Altreconomia-. Mio marito lavorava in un’azienda petrolifera e io gestivo quattro ristoranti, abbiamo dovuto lasciare tutto”.
Dopo il primo intervento, nel febbraio 2020 Evelina ha avuto una ricaduta proprio mentre stava completando un percorso di formazione organizzato da Soleterre per tornare a lavorare in una mensa. “È stato un momento molto difficile: speravo di essere guarita, era scoppiata da poco la pandemia e mio marito non riusciva a trovare un lavoro regolare -ricorda-. Soleterre mi ha aiutato e mi ha messo in contatto con uno psicologo che per me è stato fondamentale in quel periodo per gestire l’ansia e le preoccupazioni”. Oggi Evelina sta meglio e ha ricominciato a progettare il proprio futuro: prima di lanciarsi nella ristorazione, in Perù aveva studiato amministrazione e finanza e lavorato in banca. Da queste basi, su indicazione delle job councelor, ha deciso di orientare la sua ricerca verso un impiego meno stancante rispetto alla ristorazione: “Purtroppo per via dell’intervento e dei farmaci che assumo non posso più fare un lavoro così, ma quando starò bene voglio poter tornare a lavorare. Potrei fare la cassiera”.
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