Diritti / Opinioni
Un “diritto speciale” per internare i migranti in Albania
l Parlamento sta esaminando il disegno di legge attuativo del Protocollo con Tirana. La finalità ultima è azzerare garanzie e diritti fondamentali. La rubrica di Gianfranco Schiavone
Da inizio gennaio il Parlamento sta esaminando, con procedura d’urgenza voluta dal governo, il disegno di legge “AC 1620”, attuativo del Protocollo d’intesa tra l’Italia e l’Albania per la gestione dei flussi migratori. All’articolo 3 afferma che possono esservi condotte “esclusivamente persone imbarcate su mezzi delle autorità italiane all’esterno del mare territoriale della Repubblica o di altri Stati membri dell’Unione europea, anche a seguito di operazioni di soccorso”.
Sempre all’articolo 3, il disegno di legge afferma che “le aree (nelle quali trattenere, in Albania, gli stranieri soccorsi in mare, ndr) sono equiparate alle zone di frontiera o di transito” al fine di applicarvi la cosiddetta procedura accelerata di frontiera di esame delle domande di protezione internazionale. Il testo prosegue affermando che in tale procedura “si applicano, in quanto compatibili” (articolo 4) le normative europee in materia d’asilo.
I problemi di legittimità giuridica di tali proposte sono enormi in quanto il diritto europeo in materia ha un’esclusiva applicazione nel territorio degli Stati membri o alle loro frontiere. Una norma interna che preveda il rispetto all’estero dell’intero sistema delle garanzie previste dal diritto comunitario o l’applicazione di norme più favorevoli non sarebbe contraria al diritto dell’Unione: ciò che deve essere esclusa, però, è la possibilità di un’applicazione “selettiva” del diritto dell’Unione, che permetta agli Stati di ridurre, comprimere o persino eliminare garanzie fondamentali, come hanno ben spiegato Chiara Favilli dell’Università di Firenze e Paolo Bonetti dell’Università Bicocca di Milano durante un’audizione alla Camera lo scorso 8 gennaio.
Diversamente dalla Gran Bretagna (dove il 18 gennaio il Parlamento ha approvato il Safety of Rwanda Bill) che punta a liberarsi dei richiedenti asilo trasferendo la propria giurisdizione a un Paese terzo (il Ruanda), nel tentativo del Governo Meloni viene mantenuta la giurisdizione italiana sulle persone che verrebbero internate in Albania, attuando una sorta di de-territorializzazione del diritto d’asilo. Contro il divieto, previsto dal diritto Ue, del trattenimento generalizzato dei richiedenti asilo si intende detenere chiunque venga trasportato in Albania.
Ma soprattutto si finge che una detenzione in Italia sia analoga a una sull’altra sponda dell’Adriatico. Che poter incontrare o meno associazioni di tutela non abbia rilievo, che scegliere e incontrare di persona un avvocato con cui impostare la difesa sia un inutile lusso: deve bastare un legale sconosciuto assegnato d’ufficio e intravisto sullo schermo sfocato di un pc. Lo stesso schermo su cui apparirà fugacemente il giudice chiamato a decidere della sorte del richiedente.
Le persone migranti sbarcate in Italia nel corso del 2023 secondo i dati del ministero dell’Interno sono state 155.754. I primi tre Paesi di provenienza sono Guinea, Tunisia e Costa d’Avorio.
Il modello che l’Italia vuole inseguire assomiglia maggiormente al modello australiano. Un paragone che può sembrare ardito, considerate le garanzie giuridiche al cui rispetto il nostro Paese è ancora vincolato, ma bisogna andare oltre la superficie per guardare le finalità ultime: se l’obiettivo di internare in uno Stato terzo chi chiede protezione all’Italia venisse raggiunto, allungare i tempi dell’internamento fino a renderli senza limiti, o abnormi, sarebbe solo uno sviluppo del medesimo approccio, non un cambio di paradigma. Si potrebbe poi procedere all’allargamento delle categorie degli internati. Perché non portare in queste novelle colonie penali extraterritoriali anche gli stranieri espulsi? E perché, costi permettendo, farlo solo con la vicina Albania, e non con qualunque Paese che si renda disponibile a concludere l’affare dietro adeguato compenso? Rendere possibile una forma estrema di “diritto speciale” dello straniero riducendone le garanzie e i diritti fondamentali a un pallido simulacro formale, è il terribile obiettivo che è sul tavolo e che va compreso in tutta la sua gravità.
Gianfranco Schiavone è studioso di migrazioni. Già componente del direttivo dell’Asgi, è presidente del Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati onlus di Trieste
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