Diritti / Reportage
“Tutte le mani sul palco”. Ripensare il teatro nelle carceri d’Europa
La compagnia del Teatro dei Venti di Modena sta coordinando il progetto europeo Ahos per reinventare il ruolo del teatro negli istituti di sei Paesi dell’Ue. Da Colonia ad Atene, tra risocializzazione e superamento dello stigma
Non sono mai stato a un concerto. Prima con i miei amici facevamo altro e non ci era mai venuto in mente di andare a un concerto. Adesso è una delle cose che vorrei fare appena esco. Adoro la musica, di qualsiasi genere, dal pop al rap al rock, ma ho imparato ad apprezzarla da quando sono qui perché ho iniziato ad ascoltare la radio per passare il tempo. Ho scoperto che mi piace proprio tanto”. Siamo seduti con Tom (nome di fantasia) sul palco del teatro nel carcere di Colonia, mentre mangiamo l’ottima pasta all’arrabbiata cucinata da lui: “L’ho fatta con amore, sapendo che oggi avremmo avuto ospiti italiani”.
I detenuti che fanno parte del gruppo di teatro hanno infatti la possibilità di cucinare per loro e per i loro invitati, sedersi a chiacchierare e dimenticarsi per qualche ora di essere dentro le mura di una delle carceri più grandi della Germania. Anche questo fa parte, insieme al teatro e alle altre pratiche artistiche, del piano di rieducazione e di reinserimento nella società. Stiamo girando diverse carceri in diversi Paesi, nell’ambito di Ahos, un progetto europeo sul reinserimento dei detenuti nelle professioni dello spettacolo, promosso dalla compagnia modenese Teatro dei Venti. Negli ultimi decenni la pratica del teatro nelle carceri si è molto sviluppata, soprattutto in Spagna e in Italia, dove secondo il rapporto di Antigone sono attivi oltre novanta progetti (a partire dal percorso della Compagnia della Fortezza di Armando Punzo a Volterra, attivo dal 1988), mentre in altri Paesi le esperienze non sono così diffuse.
Sono ormai numerosi gli studi che dimostrano come la pratica del teatro in carcere comporti numerosi benefici per i detenuti che partecipano, poiché sviluppa consapevolezza di sé e degli altri, educa al lavoro di gruppo, incrementa l’autostima, sviluppa aspirazioni e capacitazioni con positive ricadute sul personale e sull’ambiente carcerario e sul rapporto tra il carcere e la società. Le carceri sono sempre luoghi di angoscia e sofferenza. Ma ogni Paese, a partire dal proprio sistema giudiziario e penale, dalle caratteristiche della popolazione carceraria, ma anche dalle diversità culturali, ha misure restrittive e idee sulle azioni di risocializzazione differenti.
E se i principi di base a cui devono ispirarsi i sistemi dei vari Paesi sono gli stessi, la ricerca della Commissione europea per l’efficienza della giustizia (Cepej) ha dimostrato che le raccomandazioni del Consiglio d’Europa e gli strumenti per l’organizzazione della giustizia vengono applicati in misura diversa nei vari Paesi dell’Ue. Senza dimenticare che hanno un ruolo determinante l’atteggiamento delle direzioni dei singoli istituti di pena e l’atteggiamento del personale carcerario: in molti casi è stata la visione di un direttore, di un assistente sociale e di un supervisore delle guardie carcerarie a consentire la nascita di esperienze virtuose. Senza dimenticare che ogni istituto di pena può avere approcci diversi anche sulla base di esigenze specifiche.
Il progetto “All hands on stage – Theatre as a tool for professionalisation of inmates” coinvolge le associazioni culturali aufBruch di Berlino, Sommerblut Kulturfestival e.V. di Colonia, Fabrika Athens di Atene, Kolektyw Kobietostan di Wroclaw, Cri – Institut za performative umetnosti i socijalni rad di Belgrado
Nel carcere femminile di Tebe uno degli obiettivi è alzare il livello di scolarizzazione delle detenute, spesso gitane prive anche della quinta elementare. Nel carcere di Krzywaniec, nel cuore di una foresta in Polonia, è stata aperta una “zona artistica” in quello che era il complesso sportivo, per creare uno spazio in cui manifestare i propri sentimenti. In Germania i detenuti, per i quali il lavoro o lo studio sono obbligatori, vivono tutti in celle singole. Nelle carceri sia a Berlino sia a Colonia, il teatro dà l’opportunità di uscire dalle celle e di socializzare con gli altri detenuti.
Diventa sempre più evidente che l’attività teatrale non è solo un momento di intrattenimento e svago -insomma, di “evasione”-, ma ha la capacità di trasformare la vita delle persone, le loro relazioni e i luoghi che abitano. Quindi il teatro non viene considerato solo come momento di intrattenimento, per alleviare la noia della detenzione, ma come strumento di risocializzazione: le statistiche indicano che la recidiva, per chi si è immaginato “altro” in un laboratorio teatrale, diminuisce.
Ma solitamente per i detenuti il settore dello spettacolo e in generale quello della cultura non sembrano offrire uno sbocco lavorativo per il “dopo”, quando finalmente si uscirà dal carcere, nell’ottica del reinserimento sociale. La cultura e lo spettacolo non rientrano nell’orizzonte esperienziale della maggior parte dei detenuti, e al di là della visibilità esibizionistica degli attori faticano a immaginare che dietro uno spettacolo possano esserci molte altre professionalità, spesso assai richieste.
A partire da questa considerazione Stefano Tè, direttore del Teatro dei Venti, che opera nella Casa circondariale Sant’Anna di Modena e nella Casa di reclusione di Castelfranco Emilia dal 2006, ha lanciato Ahos. “All hands on stage – Theatre as a tool for professionalisation of inmates”, un progetto che coinvolge le associazioni culturali aufBruch di Berlino, Sommerblut Kulturfestival e.V. di Colonia, Fabrika Athens di Atene, Kolektyw Kobietostan di Wroclaw, Cri – Institut za performative umetnosti i socijalni rad di Belgrado.
Oltre alla formazione dei detenuti, Ahos ha anche l’obiettivo di verificare, attraverso momenti di confronto tra operatori culturali e del settore penitenziario nei diversi Paesi coinvolti nel progetto, le condizioni che consentono la realizzazione di questi percorsi, tenendo conto delle mille difficoltà imposte da norme e regolamenti
“All hands on deck” era il comando che chiamava in coperta tutti gli uomini a bordo di una nave per affrontare un’emergenza. Nella rotta che porta alla realizzazione di uno spettacolo, gli attori non bastano: servono scenografi, costumisti, tecnici per suono e luci, elettricisti. L’intuizione da cui nasce Ahos (sulla scia di altre esperienze, come quella della compagnia Puntozero nell’Ipm Beccaria di Milano) è che la realizzazione di uno spettacolo possa costituire anche un percorso di formazione e di accompagnamento per la professionalizzazione dei detenuti, per poi attivare stage con enti teatrali, culturali e artistici fuori dal carcere, per facilitare l’inserimento lavorativo e anche per aiutare a superare lo stigma sociale che colpisce gli ex detenuti, un elemento che accomuna Paesi e culture diverse. Questi obiettivi implicano una serie di azioni che coinvolgono l’intero sistema del teatro in carcere. Si tratta di valorizzare le competenze degli operatori professionali che già svolgono attività teatrali in carcere, di sviluppare un percorso di formazione per i detenuti all’interno delle carceri, di individuare e diffondere buone pratiche, di sensibilizzare le direzioni e il personale sull’importanza di questo percorso, e soprattutto di coinvolgere realtà esterne al carcere.
Il Teatro dei Venti ha per esempio stipulato un protocollo d’intesa con le direzioni delle carceri di Modena e Castelfranco Emilia, e con i maggiori teatri attivi nel territorio (Emilia-Romagna Teatro Fondazione, Ater Fondazione, Fondazione Teatro Comunale di Modena), che diventano così parte attiva nel processo di formazione professionale e inserimento lavorativo. Come il caso di F. M., detenuto del carcere di Castelfranco Emilia che ha collaborato con il Teatro dei Venti per la realizzazione dei bozzetti di scenografie e costumi dello spettacolo Amleto, che vede in scena anche gli attori dell’istituto, e dello spettacolo Don Chisciotte, una nuova produzione pensata per gli spazi urbani.
Ma al di là della formazione dei detenuti, Ahos ha anche l’obiettivo di verificare, attraverso momenti di confronto tra operatori culturali e del settore penitenziario nei diversi Paesi coinvolti nel progetto, le condizioni che consentono la realizzazione di questi percorsi, tenendo conto delle mille difficoltà imposte da norme e regolamenti. Variano per esempio la disponibilità di spazi, le possibilità (o l’impossibilità) di remunerare di detenuti e le detenute per il loro lavoro, le modalità di uscita dal carcere, le opzioni di pene alternative, i percorsi di accompagnamento e sostegno dopo la fine della pena.
Se il carcere non deve avere solo una funzione punitiva ma deve offrire anche un’occasione di crescita personale e di reinserimento nella società, è necessario definire meglio le condizioni in cui questo percorso si può realizzare, anche con l’aiuto del teatro. Perché lavorare sulla scena e intorno alla scena offre due lezioni fondamentali. Insegna che sbagliare è possibile e anzi inevitabile, e che dunque è possibile riprovare e rifarlo meglio. E poi capita che alla fine dello spettacolo qualcuno venga a dirti “Bravo!”. E questo, come ci ha raccontato un detenuto del carcere di Krzywaniec, “in tutta la mia vita non me lo aveva mai detto nessuno”.
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