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Turismo lento e pastorizia: così Ormea non è scomparsa

La cartiera di Ormea -la principale attività produttiva del piccolo Comune- raggiunse la sua massima occupazione fra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento. Venne chiusa e abbandonata nei primi anni Duemila © Fabio Balocco

A inizio Novecento il piccolo Comune era uno dei più floridi delle Alpi occidentali, poi il declino e lo spopolamento. La comunità ha saputo rilanciare grazie a una scuola forestale, alla cultura e alla tradizione casearia di qualità

Tratto da Altreconomia 248 — Maggio 2022

“Saranno ancora abitate?”, è la domanda che si fa il viaggiatore che si ritrova a percorrere la Val Tanaro, nelle Alpi liguri, mentre osserva le piccole frazioni del Comune di Ormea (CN) che si snodano su entrambi i versanti della valle. Il nome “Ormea” viene dal latino ulmeta, per la grande quantità di olmi presenti un tempo sul suo territorio, prima che la Grafiosi dell’olmo -una malattia provocata da un fungo- li falcidiasse: oggi ne resiste uno in centro al paese, due se si considera anche un olmo siberiano. Il territorio del Comune è abitato fin da tempo immemorabile (le prime tracce che si trovano sono quelle dei liguri) grazie alle condizioni climatiche eccezionalmente favorevoli: un clima mite, garantito dalla vicinanza al mar Ligure e dal riparo fornito a Nord dalle montagne, alte più di duemila metri.

Nei secoli così crebbe in abitanti e in importanza, diventando marchesato nel 1700, ospitando un lanificio la cui fama scavalcava le Alpi e vivendo all’inizio del Novecento una vera e propria belle époque, che ne fece uno dei Comuni più floridi delle Alpi occidentali. Ormea allora aveva un collegamento ferroviario con Ceva, una florida cartiera e ben 53 esercizi pubblici (14 nelle frazioni) tra cui ben 11 alberghi, compreso un grand hotel. E persino, negli anni Venti del 1900, una dépendance attiva -anche se solo d’estate- del casinò di Sanremo. A Ormea arrivavano turisti benestanti da tutta Europa.

Poi iniziarono le note dolenti. Il turismo, favorito dalla maggiore mobilità, si spostò altrove. La cartiera raggiunse la sua massima occupazione fra gli anni Trenta e Cinquanta del Novecento, per poi iniziare a diminuire in commesse e personale, fino alla chiusura definitiva nel nuovo Millennio. Della ferrovia, sempre meno utilizzata, fu sospeso il servizio pubblico da parte della Regione nel 2012 e fu inserita nel 2017 tra le ferrovie turistiche con legge dello Stato. A nulla valse un tentativo di fare di Ormea una località sciistica negli anni Settanta. Tutto questo si tradusse in un rapido declino demografico e il Comune -dai quasi seimila abitanti del 1871- si ritrovò ad averne 1.723 nel 2011. E alcune frazioni e borgate sono ormai spopolate o pressoché tali. Oggi però Ormea presenta un’immagine di sé tutt’altro che dimessa. “In un secolo ha perso più o meno tre quarti dei propri abitanti, una attività imprenditoriale importante come la cartiera e, non ultima, la linea ferroviaria. Però ha saputo resistere al mutare dei tempi”, spiega il sindaco Giorgio Ferraris. Che sottolinea come lo spopolamento abbia colpito soprattutto le frazioni e non il centro del Comune.

Per quanto riguarda le attività produttive, a Ormea è attiva una succursale dell’acqua minerale San Bernardo, si pratica ancora la pastorizia e permane un discreto flusso turistico, alimentato da una vivace attività culturale, che si concentra soprattutto nei mesi estivi. E poi c’è la Scuola forestale, che ha sede nell’ex grand hotel, fondata nell’anno scolastico 1985-86 a seguito di un accordo tra la Provincia di Cuneo e il Comune di Ormea. “La scuola rappresenta una struttura di eccellenza, unica nel suo indirizzo nel Nord-Ovest e una delle quattro in Italia -spiega Ferraris-. Ha collegamenti sia con il dipartimento di Scienze forestali della Facoltà di agraria dell’Università di Torino sia con tutti gli enti che, a livello nazionale e regionale, hanno competenze e interessi nel settore forestale e più generalmente nell’economia dei territori montani”. L’operato della scuola ha lasciato segni concreti sul territorio del Comune, per gli studi sull’economia legata al castagno o sulla possibile reintroduzione della coltura della vite.

All’interno dell’istituto ha sede anche un ufficio dei guardiaparco delle Aree protette Alpi Marittime: il territorio comunale, infatti, si trova in parte all’interno del Parco regionale del Marguareis. “Questo garantisce un flusso turistico non di grandi numeri ma comunque importante per il nostro Comune”, aggiunge il sindaco. È un turismo dolce alimentato anche dalla realizzazione della Balconata di Ormea, un’infrastruttura concepita dalla sezione locale del Club alpino italiano, e poi sostenuta dall’amministrazione comunale, che consiste nel recupero e nella valorizzazione delle antiche strade che collegavano le frazioni del versante orografico sinistro del Tanaro. “È lunga 40 chilometri, è adatta a tutti e se ne può fruire a tappe -spiega il primo cittadino-. Sempre in funzione turistica, la vecchia stazione ferroviaria, ristrutturata, diventerà sede dell’ufficio turistico: una vera e propria vetrina del territorio”.

“Il mio mestiere è faticoso ma mi consente di continuare a vivere qui a Ormea e di dare anche un lavoro a mio figlio più piccolo se vorrà un giorno seguire le mie orme. E non è poco” – Anna Castagnino

Un territorio che porta le tracce di un’agricoltura di montagna -fatta di arditi terrazzamenti- ormai abbandonati e colonizzati dalla vegetazione. “Però è ancora viva la pastorizia e la connessa produzione di formaggi -rilancia Ferraris-. L’Ormea, in particolare, è un formaggio d’alpeggio a latte crudo sempre più apprezzato, che rientra nell’Arca del gusto di Slow Food”. Accanto al formaggio, poi, c’è un rinnovato interesse per le pregiate castagne, anche trasformate o essiccate. Insomma Ormea, come tante altre località dell’arco alpino occidentale, ha dovuto fare i conti con un’economia in veloce trasformazione. A differenza di altri Comuni sembra però essere riuscita a resistere. Tra coloro che hanno deciso di continuare a resistere -anzi, di rilanciare- c’è Anna Castagnino unica “margara” che produce formaggio di mucca in alpeggio a borgata Cascine (1.230 metri di altitudine). “Non è stato e non è facile per una donna imporsi in un settore quasi sempre appannaggio di uomini. Io ci sono riuscita e ne sono orgogliosa”, racconta. Sulle forme del suo formaggio c’è il simbolo di Ormea: un cuore. “Per tutelarmi dai formaggi farlocchi di pianura -spiega-. Il mio mestiere è faticoso ma mi consente di continuare a vivere qui a Ormea e di dare anche un lavoro a mio figlio più piccolo se vorrà un giorno seguire le mie orme. E non è poco”.

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