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Diritti / Inchiesta

Rimpatri e accordi informali: il “laboratorio” Tunisia visto da vicino

La ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese e il ministro degli Esteri, Luigi di Maio in visita a Tunisi © Oreste Fiorenza - CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Nel 2020, in piena pandemia, il numero dei cittadini tunisini rimpatriati dall’Italia tramite voli charter è aumentato del 40% rispetto all’anno precedente. Inchiesta sulle ragioni di questi ritmi senza precedenti e sulle aziende coinvolte

Tratto da Altreconomia 238 — Giugno 2021

Il Covid-19 non ha fermato i voli di rimpatrio dall’Italia verso la Tunisia: nel 2020, nonostante il blocco aereo dei mesi di marzo, aprile e maggio, il numero dei cittadini tunisini rimpatriati tramite voli charter è aumentato di quasi il 40% rispetto all’anno precedente. Una tendenza significativa confermata anche dai documenti ottenuti da Altreconomia secondo cui nel 2020, su 64 voli utilizzati per l’espulsione degli “irregolari” dal territorio nazionale, ben 53 erano diretti verso le coste tunisine. Elementi che danno conto di come la Tunisia sia diventata un modello per le politiche migratorie europee del futuro.

L’aumento del numero di persone rimpatriate è una diretta conseguenza dell’interlocuzione tra le autorità tunisine e il governo italiano che, fin dai mesi estivi dello scorso anno, si è dimostrato deciso nel voler rendere più efficaci i meccanismi di rimpatrio a seguito dell’aumento degli sbarchi. “Nonostante la pandemia -spiega infatti l’avvocato Maurizio Veglio, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione ( Asgi) – l’accordo con la Tunisia ha funzionato a pieno regime: un accordo, informale, ed efficace dal punto di vista numerico ma al costo di evidenti ricadute sul rispetto dei diritti delle persone che raggiungono l’Italia”. L’avvocato, esperto in materia di difesa di cittadini stranieri che vengono trattenuti nei Centri permanenti di rimpatrio (Cpr) in attesa di essere “espulsi”, osserva come “fino all’emersione della questione dei tamponi, a cui molti trattenuti rifiutano di sottoporsi per evitare il rimpatrio, le partenze dei cittadini tunisini si sono susseguite a ritmi senza precedenti”.

I dati pubblicati dalla polizia di Stato sono eloquenti. Se in termini assoluti i rimpatri sono diminuiti, passando dai 7.350 del 2019 ai 3.666 del 2020, il numero di espulsioni operate utilizzando i charter è rimasto sostanzialmente stabile (76 voli nel 2020, 80 nel 2019) considerati i mesi di stop legati alla pandemia. Delle persone rimpatriate attraverso questa modalità ben 1.831 sono di origine tunisina. Dei restanti, 48 sono egiziani, 47 albanesi, 38 georgiani e 30 nigeriani. Una quadro chiaro del rafforzamento della strategia di rimpatrio verso la Tunisia ma che va letto in una cornice più ampia.

“Se si scomputano dal totale i cittadini tunisini -continua Veglio- i dati dimostrano quanto sosteniamo dall’inizio della pandemia: non ha senso trattenere persone che non possono essere rimpatriate”. Tanto che la percentuale di trattenuti nei Cpr e successivamente rimpatriati resta contenuta: nel 2020 solamente 2.232 su 4.387, ovvero il 51%. Grazie al buon esito della richiesta di riesame al responsabile della corruzione, dopo la mancata risposta all’accesso civico presentato da Altreconomia, è possibile analizzare i costi e le tratte dei servizi di trasferimento appaltati dal ministero e pubblicati sul sito della polizia di Stato.

Nel 2020, il solo noleggio dei charter verso Paesi terzi è costato 2,7 milioni di euro: una cifra al ribasso che presumibilmente supera i tre milioni di euro perché “mancano all’appello” 12 operazioni. Ben l’83% dei voli, 53 appunto, avevano come destinazione la Tunisia; dei restanti, due l’Albania, due l’Egitto, solamente uno la Nigeria e sei per rimpatri congiunti verso Georgia (cinque) e Nigeria (uno). A parità di numero di affidamenti pubblicati, rispetto al 2019, la spesa è inferiore di un milione di euro: questo si spiega con l’assenza, nel 2020, dei costi più alti richiesti dai voli che coprono tratte più lunghe (ad esempio verso la Nigeria).

“Nonostante la pandemia l’accordo con la Tunisia ha funzionato a pieno regime. […] Al costo di evidenti ricadute sul rispetto dei diritti delle persone” – Maurizio Veglio

Si è realizzata, quindi, la promessa dalla ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, fatta nel luglio 2020, di aumentare il numero di charter verso Tunisi: le determine confermano una media di 40 cittadini stranieri e circa 90-110 operatori di polizia per volo con cadenza bisettimanale. Mancano però, come detto, 12 operazioni che, spalmate sui mesi tra agosto e dicembre, farebbero “tornare” i conti.

Il costo totale dei rimpatri verso la Tunisia è stato di 2,2 milioni di euro ma non è l’unica voce di spesa della Direzione centrale dell’immigrazione per implementare questo servizio. Infatti, ben 48 affidamenti riguardano servizi di trasferimenti sul territorio nazionale, nel periodo compreso tra il 4 luglio e il 17 dicembre 2021. La maggior parte dei voli transitano con doppi passaggi a Catania, Palermo e Trapani ripartendo verso città, quali Torino, Trieste, Milano o Brindisi che vedono sul loro territorio la presenza di un Cpr.

“L’importante è che non ci siano automatismi ma venga assicurata la possibilità di richiedere asilo a terra, prima di consegnare il foglio di via” – Elena Adamoli

Più di 1,8 milioni di euro spesi -determine degli affidamenti alla mano- per “l’indefettibile necessità di provvedere al trasferimento di cittadini stranieri destinatari di provvedimenti di allontanamento per il successivo trattenimento presso un Centro permanente per il rimpatrio”. Secondo Elena Adamoli, dell’ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, la movimentazione sul territorio nazionale “si spiega facilmente perché è connessa all’utilizzo delle navi quarantena: al termine del periodo di isolamento, alcune delle persone destinatarie di un provvedimento di espulsione o respingimento vengono trasferite nei centri di rimpatrio”.

Navi quarantena su cui si “gioca” la possibilità, per le persone sbarcate, di richiedere asilo e poter rimanere in Italia. In effetti Catania risulta essere la città dal quale più frequentemente le persone vengono trasferite (31 passaggi nel periodo in analisi) essendo a 30 minuti di macchina dal porto di Augusta, luogo in cui alcune delle navi attraccano per lo sbarco. “L’utilizzo dell’aereo non va stigmatizzato -continua Adamoli- perché gli spostamenti su autobus caricano di stress le persone trasferite: chiaramente, come ripetiamo dalla scorsa estate, l’importante è che non ci siano automatismi ma venga assicurata la concreta possibilità di richiedere l’asilo a terra prima di consegnare un foglio di via”.

3.666 il numero di cittadini stranieri rimpatriati dall’Italia nel corso del 2020. Erano 7.350 nel 2019

Considerando che non c’è un elenco comprensivo di date e luoghi di sbarco delle persone isolate sulle navi quarantena, non è possibile incrociare tali informazioni con le date per cui vengono noleggiati i charter. Anche perché, spesso, le procedure di sbarco durano per più giorni: diverse testimonianze riportano che le persone, negative al test del Covid-19, vengano fatte scendere a gruppi di 50. Di questi, ad alcuni viene riconosciuto il diritto di richiedere asilo, ad altri viene notificata l’espulsione o il respingimento differito: in questi casi, talvolta, il questore predispone degli ordini di allontanamento e trattenimento. “Non è chiaro -spiega Maurizio Veglio- su quale base siano selezionate le persone che verranno trattenute in un Cpr. Sicuramente vengono svolte verifiche sui profili di sicurezza pubblica, ma al di là di questo sembra regnare una grande discrezionalità”.

L’accesso al Cpr, tra l’altro, come sottolineato dai documenti di Asgi, comporta ulteriori limitazioni in termini di difficoltà di accesso alla procedura d’asilo, diritto all’informazione e alla difesa. Sotto questo punto di vista, i numerosi spostamenti interni potrebbero significare anche trasferimenti giustificati per motivi di ordine pubblico. “Viste le grandi tensioni di questo periodo, gli spostamenti di persone trattenute tra diversi Cpr possono essere motivate da ragioni che non hanno a che fare con identificazione e rimpatrio -sottolinea Veglio-. L’assenza di meccanismi di pubblicità e trasparenza non consente di conoscere le giustificazioni dei trasferimenti, che hanno anche pesanti ricadute sulla qualità della vita dei trattenuti e sui rapporti con i difensori”.

La “regina” nella fornitura dei servizi necessari per i rimpatri e i trasferimenti interni è la “Pas – Professional aviation solution srl” che si è aggiudicata 62 affidamenti per un totale di 2,5 milioni di euro. La società, con un capitale sociale di 10mila euro, è registrata in Italia (Milano) e partecipata al 50% dalla “Pas – Professional Aviation Solution GMBH”, società con sede a Bergish Gladbach (Germania). È attiva sul territorio nazionale dal febbraio 2019: nel primo anno di attività si era aggiudicata noleggi per un totale di due milioni di euro. L’ultima nota di bilancio disponibile sul sito della Camera di commercio, datata 31 dicembre 2019, dichiara un valore della produzione pari a cinque milioni di euro: si stima un calo di fatturato per il 2020, complice la pandemia, ma quel che è certo è che, almeno per i servizi di rimpatrio, tale flessione non si verificherà. L’attuale procuratore unico della “Pas srl”, fino al marzo 2018, ha rivestito la stessa carica per l’azienda “Air Partner Srl” la seconda compagnia ad aggiudicarsi i restanti bandi. La società, controllata al 100% dalla “Air partner Plc” con sede a Londra, si è assicurata 47 noleggi per un totale di 1,9 milioni di euro.

Il valore della produzione dichiarato al 31 gennaio 2020 era di 26,5 milioni di euro con una perdita pari a 435mila euro: per ovviare alle difficoltà economiche, il socio unico ha assicurato un finanziamento a fondo perduto di 750mila euro per ricapitalizzare la società. “Egyptair”, con un noleggio da 37mila euro e “Alitalia”, che ha fornito un veicolo per un trasferimento interno per un valore di 32mila euro, si spartiscono le restanti forniture. La trasparenza e la conseguente possibilità di monitoraggio delle attività restano fondamentali nella “partita” dei rimpatri, per far sì che, tra interessi privati e interessi di Stato, non vengano calpestati i diritti fondamentali delle persone.

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