Una voce indipendente su economia, stili di vita, ambiente, cultura
Diritti / Intervista

“Trasformiamo i sistemi alimentari perché il cibo è un diritto umano”

© stock.adobe.com

Serve un nuovo approccio al cibo basato su reciprocità e cura, contrastando la speculazione finanziaria sui prezzi e i profitti degli oligopolisti. Intervista a Michael Fakhri, Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto umano al cibo

Tratto da Altreconomia 264 — Novembre 2023

Nel grande gioco del cibo ci sono vincitori e i vinti. Michael Fakhri, professore di Legge all’Università dell’Oregon e dal maggio 2020 Relatore speciale delle Nazioni Unite sul diritto umano al cibo, è dalla parte dei secondi. “Nel 2023 il numero di persone che affrontano, o rischiano di affrontare, una condizione di grave insicurezza alimentare acuta è pari a 345 milioni, distribuite in 79 Paesi”, spiega ad Altreconomia.

“Il Global network against food crises -continua- ci dice che si tratta di più del doppio rispetto al 2019, prima della pandemia”. Afghanistan, Burkina Faso, Haiti, Mali, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Sudan e Yemen sono i contesti nel buco più profondo. Fakhri non ha nemmeno problemi a identificare i “vincitori”. Come Cargill, multinazionale alimentare statunitense fondata nel 1865 in Iowa. Nel suo ultimo report annuale ha festeggiato il più alto giro d’affari della propria storia: 177 miliardi di dollari nell’anno fiscale che va da giugno 2022 a fine maggio 2023. Il 7% in più rispetto all’anno precedente, che già aveva fatto segnare il record di ricavi e il primato del reddito netto entrato nelle tasche dei proprietari: cinque miliardi di dollari.

La “c” di Cargill compone l’acronimo “Abcd”, sintesi del cartello oligopolista formato da Archer-Daniels Midland, Bunge, Cargill, appunto, e Louis Dreyfus Company. Le quattro controllano tra il 70 e il 90% del commercio mondiale del grano. Sono squilibri di questo tipo a far dire a Fakhri che “se anche il Covid-19 sparisse domani o le guerre in Ucraina, Siria, Yemen finissero immediatamente, resteremmo comunque immersi in una crisi destinata a peggiorare”. Perché a non funzionare e a non mettere al centro il diritto umano al cibo sono proprio i sistemi alimentari in quanto tali. Ma c’è una luce, racconta il Relatore speciale. “Il clima a livello internazionale negli ultimi mesi è cambiato, grazie soprattutto alla pressione dei movimenti sociali e agli attivisti che si battono per un modello agroecologico, solidale e diffuso”.

Professor Fakhri, nei suoi rapporti all’Assemblea generale dell’Onu sottolinea spesso la necessità di tornare a concepire il cibo in quanto tale. Che cosa intende?
MF Parto da una premessa per farmi capire meglio. È dagli anni Ottanta che un certo global consensus ha premuto affinché il maggior numero possibile di Paesi facesse sempre di più affidamento su mercati “aperti”, sia per l’esportazione sia per l’importazione. Il tutto invece di incoraggiare quegli stessi Stati a investire nella produzione locale ai fini del consumo interno o regionale, cooperando poi su scala internazionale e non concorrendo. Le istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo monetario, la Banca Mondiale o l’Organizzazione mondiale del commercio (Wto) hanno perciò promosso uno schema per il quale contava, e conta ancora oggi, la produzione massiccia per il commercio in sé e per sé, per lo scambio.

Eppure a fronte di una crescita del 300% della produzione di cibo a livello mondiale dalla metà degli anni Sessanta, la malnutrizione continua a ridurre l’aspettativa di vita di milioni di persone. Il problema della fame non è affatto la mancanza di una produzione sufficiente, quanto la disuguaglianza e altri ostacoli sistemici all’accesso a un’alimentazione adeguata. Come dicevo, il modello tradizionale punta su prodotti di base e non pensa più al cibo in quanto cibo, ma solo in termini di materie prime, di “cose” da comprare e da vendere. Canna da zucchero, mais, riso, grano, patate, soia, palma da olio, barbabietola da zucchero e manioca assorbono in termini di peso più del 66% di tutta la produzione vegetale del Pianeta. Condizionando tutto il resto.

Michael Fakhri insegna Legge all’Università dell’Oregon. Dal maggio 2020 ricopre l’incarico indipendente di Relatore speciale dell’Onu sul diritto umano al cibo © FAO/Giulio Napolitano

In che modo?
MF Vincolando ad esempio il paesaggio a modelli agricoli industriali e intensivi, riducendo al minimo le colture in campo, impoverendo la capacità nutritiva dei suoli, privilegiando organismi geneticamente modificati al posto della biodiversità, utilizzando grandi macchinari su larga scala, pesticidi e fertilizzanti chimici. Un approccio estrattivo che viola il diritto a un ambiente sano e sostenibile. Non è teoria, gli effetti sono pratici. I sistemi alimentari mondiali, come ci ricorda il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, producono un terzo delle emissioni climalteranti, dando così un contributo decisivo alla crisi climatica. E drenano risorse: quasi il 90% dei 540 miliardi di dollari di aiuti all’agricoltura ogni anno va a scapito della salute delle persone, del clima e alimenta le disuguaglianze.

I ricavi realizzati dal colosso alimentare Cargill tra giugno 2022 e maggio 2023 ammontano a 177 miliardi di dollari

Dopo l’invasione russa dell’Ucraina è cresciuta l’attenzione verso il prezzo dei beni agricoli. È da lì che arriva l’instabilità?
MF No. I mercati agricoli sono notoriamente instabili quando si tratta di prezzi, e questo da almeno cento anni. Il punto è che con il sistema attuale noi non abbiamo più meccanismi validi per cercare di garantire stabilità, come invece era fino agli anni 70-80. Una delle cause riguarda i mercati finanziari e il fatto che un numero sempre maggiore di prodotti alimentari non solo viene considerato commodity, cioè un bene destinato a essere acquistato e venduto principalmente a scopo di profitto, e viene anche trasformato in strumento finanziario. Le persone investono e comprano grano, zucchero e tutte le altre materie. È come se stessero giocando d’azzardo e c’è pochissima regolamentazione. A partire dal Duemila gli Stati Uniti hanno deregolamentato gran parte del mercato finanziario, attraverso il Commodity futures modernization act e hanno consapevolmente eliminato quegli strumenti che in precedenza consentivano di creare maggiore stabilità e trasparenza nei mercati. Per non parlare della forte riduzione delle barriere commerciali impressa dalla Wto.

È per questo che in meno di 25 anni abbiamo collezionato così tante “crisi” alimentari?
MF È sotto i nostri occhi: 2007, 2008 e poi di nuovo nel 2010, nel 2012. E ancora adesso.

Le multinazionali dell’agroalimentare Archer-Daniels Midland, Bunge, Cargill e Louis Dreyfus Company controllano tra il 70 e il 90% del commercio mondiale del grano © stock.adobe.com

Torniamo però alla guerra in Ucraina.
MF Non tutte le guerre regionali hanno un impatto del genere sui prezzi del cibo. È indubbio che la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia siano grandi produttori di grano e fertilizzanti per i mercati globali, e già questo, se vogliamo, è un problema, ovvero che dipendiamo da un numero ristretto di Paesi per queste materie. Ma il punto vero è che i mercati hanno reagito in modo tale che il prezzo si è impennato, anche del 70%, in una maniera totalmente scollegata dalla domanda e dall’offerta. Se guardiamo alla quantità di grano esportato dall’Ucraina e dalla Russia, è vero che si tratta di una quantità significativa nel mercato globale, ma non è tutto il grano prodotto nel mondo. A dimostrazione che i mercati non riflettono la domanda e l’offerta, o le reali forze del commercio, quanto la speculazione, la paura, il panico. E il desiderio di profitto da parte delle aziende che controllano i sistemi alimentari, quello che ha scatenato le dinamiche inflattive di questi anni. Questo è il problema oggi. Ed è un tema di diritti umani perché l’accesso a un cibo buono, salutare, a prezzi stabili ed equi, per chi non se lo coltiva in autonomia o non va a caccia, dipende proprio dai mercati.

La crescita speculativa dei prezzi del grano nelle prime fasi successive all’invasione russa dell’Ucraina è stata del 70%

Che cosa intende quando dice che per trasformare i sistemi alimentari occorre superare la dipendenza strutturale con la reciprocità?
MF Mi limito a osservare come funziona oggi il modello: insana dipendenza tra Paesi esportatori e importatori, squilibri di potere commerciale ed esposizione ai prezzi instabili che prima ho descritto, dipendenza dei consumatori dalle poche varietà prodotte o animali allevati, vulnerabilità e sfruttamento (anche sessuale) sui luoghi di lavoro di questa catena di montaggio industriale. Io non ho “la” soluzione. Dico però che in giro per il mondo ho incontrato persone che stanno portando avanti una trasformazione dei sistemi alimentari basata sulla reciprocità e sulla cura. La mia intuizione, fondata sulla lettura del pensiero femminista, è che ci sia una relazione tra la violenza sessuale e di genere in tali rapporti di dipendenza all’interno dei luoghi di lavoro e queste relazioni di dipendenza che poi si manifestino su scala globale. Possiamo imparare molto.

“L’accesso a un cibo buono, salutare, a prezzi stabili ed equi, per chi non se lo coltiva in autonomia o non va a caccia, dipende proprio dai mercati”

Nel 2024 l’Organizzazione mondiale del commercio, il simbolo delle ricette neoliberali applicate anche in tema di cibo, compie 30 anni. È cambiata?
MF Oggi all’interno della Wto c’è un diffuso consenso sul fatto che l’Accordo sull’agricoltura entrato in vigore nel 1995 e negoziato durante l’Uruguay Round (1986-1994) sia superato e che le cose non funzionino. Lo dicono diversi governi, non tutti, ma la politica è bloccata. Non si muove. Talvolta si dice “ci vuole la volontà politica”. Non credo sia sufficiente. Ciò di cui abbiamo bisogno è un cambiamento delle dinamiche di potere, creando nuove relazioni, modificando quelle esistenti. E in questo momento i movimenti sociali stanno spingendo tantissimo in termini di diritto al cibo, di cooperazione commerciale, di economia solidale. Stanno guadagnando potere e stanno sviluppando nuove alleanze, mentre allo stesso tempo alcuni governi stanno lavorando insieme sul diritto al cibo. Questo spostamento aprirà uno spazio politico e farà fiorire nuove idee. Su tutte: che la giustizia debba caratterizzare ogni snodo dei nostri sistemi alimentari e che il vero potere sia nelle mani delle persone che producono il nostro cibo, che ci nutrono.

Il 1995 è l’anno in cui è entrato in vigore il contestato Accordo sull’agricoltura discusso in seno all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto)

A ottobre i vertici politici e militari israeliani hanno prima annunciato e poi applicato un assedio totale a danno della Striscia di Gaza, tagliando anche il cibo. Che cosa ne pensa?
MF Usare la fame come arma è un crimine di guerra. E infliggere una punizione collettiva a danno della popolazione civile per via dell’attacco di un gruppo armato ci porta nel campo dei crimini contro l’umanità, se non addirittura del genocidio. La strada della pace, invece, passa dalla fine dell’occupazione. Ad ogni modo la disumanizzazione dei palestinesi -condotta da Israele e dai suoi alleati occidentali- mi ricorda quanto avvenuto in Yemen appena pochi anni fa, quando ci fu un blocco simile voluto dalla coalizione a guida saudita, supportata e armata dai Paesi europei e occidentali. Allora l’indignazione internazionale o la mobilitazione nel sistema delle Nazioni Unite per proteggere le vite, in prevalenza di bambini, fu scarsa. C’è qualcosa di ricorrente perciò in questa svalutazione della vita delle persone dei Paesi arabi e nell’uso del cibo come arma.

© riproduzione riservata

Newsletter

Iscriviti alla newsletter di Altreconomia per non perderti le nostre inchieste, le novità editoriali e gli eventi.


© 2024 Altra Economia soc. coop. impresa sociale Tutti i diritti riservati