A giugno saranno trascorsi trent’anni dall’entrata in vigore della “Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti”, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1984. L’Italia -che l’ha sottoscritta nel 1988-, ancora sprovvista del reato di tortura, sarà di nuovo inadempiente rispetto all’obbligo di “legiferare affinché qualsiasi atto di tortura sia contemplato come reato nel diritto penale interno” (art. 4 della Convenzione).
Il 17 maggio di quest’anno, il Senato della Repubblica ha licenziato un “nuovo” testo, emendato rispetto a quello approvato dalla Camera dei Deputati il 9 aprile 2015, 48 ore dopo la clamorosa sentenza con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo aveva condannato il nostro Paese per aver violato il divieto di tortura sancito all’articolo 3 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. All’esame dei giudici di Strasburgo erano giunte le violenze delle forze dell’ordine durante il “G8” di Genova del luglio 2001.
Contro il “nuovo” testo del Senato, tornato a Montecitorio per la definitiva approvazione, è stato lanciato un appello sottoscritto tra gli altri da Ilaria Cucchi, Enrico Zucca -pm al processo Diaz- e Lorenzo Guadagnucci -giornalista, vittima di tortura alla Diaz-. La legge è definita una “truffa”, un testo “provocatorio e inaccettabile”, una “norma volutamente ingannevole e quindi pressoché inapplicabile”. La tortura, secondo l’impostazione più aggiornata del legislatore italiano, sarebbe un reato comune e non invece proprio del pubblico ufficiale, tale solo per la pluralità delle “condotte” e a rischio impunità grazie alla prescrizione.
L’appello invita il Parlamento a fare un passo indietro e a tornare al testo concordato in sede di Nazioni Unite, a garanzia di “un equilibrato aggiornamento del codice penale”.
Come due anni fa, abbiamo interpellato sul punto il professor Alessio Bruni, che è membro per conto del nostro Paese del Comitato Onu contro la tortura. Lo stesso organismo che nella 62esima sessione di lavoro in agenda -prevista dal 6 novembre al 6 dicembre 2017- esaminerà il “caso Italia”, insieme a Bosnia ed Erzegovina, Bulgaria, Camerun, Mauritius, Moldavia, Ruanda e Timor Est.
Professor Bruni, ha letto il testo approvato dal Senato. Qual è la sua opinione personale?
AB A fronte di alcuni aspetti positivi ne ho trovati alcuni che destano qualche perplessità.
Quali?
AB Parto dal primo articolo del testo, laddove descrivendo la tortura ci si riferisce a “violenze o minacce gravi”. Che cosa sono le “minacce gravi”, mi chiedo? Mi sembra un termine vago e non riesco a capire che cosa intenda il legislatore. Nel testo della Camera dell’aprile 2015 c’era scritto soltanto “minacce”.
È partito dalle perplessità. Quali sono, se ci sono, i punti positivi?
AB Ho visto che sono sparite le “motivazioni” della tortura. Prima si riferivano gli scopi: “al fine di ottenere informazioni o dichiarazioni”, eccetera, ma non si lasciava la porta aperta, come invece prevede la Convenzione ONU, la quale recita infine “o per qualunque altro motivo”. Ora le motivazioni sono state tolte, il che mi fa dire “meglio così”.
Dal testo del Senato si apprende che è tortura quando “il fatto è commesso mediante più condotte”. Che ne pensa?
AB Anche questa è un’espressione che non capisco. Come non capisco perché la pena massima della reclusione sia stata diminuita da 15 a 12 anni. È un mistero visto che si tratta di un reato gravissimo.
I “difensori” del testo segnalano però aumenti di pena progressivi.
AB Il punto è che manca un riferimento oggettivo. Si prevede infatti che la pena aumenti se ne deriva una “lesione personale grave” o in un altro “gravissima”. Chi stabilisce che cosa?
Altro elemento critico è quello relativo all’istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura. È d’accordo?
AB Prendo atto che nel nuovo testo del Senato si è previsto che l’istigatore debba istigare “in modo concretamente idoneo” a “commettere il delitto di tortura”. Prima questa espressione non c’era. Che cosa significa “concretamente idoneo”? Inoltre c’è da chiedersi perché la pena prevista inizialmente per l’istigatore del reato di tortura da uno a sei anni di reclusione sia stata diminuita a sei mesi fino a solo tre anni.
Il reato di tortura, così com’è scritto, è prescrittibile. Il Senato ha addirittura eliminato il raddoppio dei termini previsto dal testo della Camera.
AB Come dissi anche due anni fa, nella Convenzione ONU non c’è una norma sulla precrittibilità. Però è vero che noi raccomandiamo sempre che il crimine, data la sua gravità, andrebbe preferibilmente reso non prescrittibile.
Segnala un’altra “differenza” rispetto alla Convenzione ONU in materia di immunità ed estradizione. Quale?
AB Il testo del Senato del nuovo articolo 4 va bene ma manca un pezzo. Mi spiego. La legge oggi recita: “Non può essere riconosciuta alcuna forma di immunità agli stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il reato di tortura in altro Stato o da un tribunale internazionale”. La Convenzione ONU però dispone che prima di negare l’immunità il Paese debba “accertarsene” autonomamente mediante un’indagine, verificando cioè che ci siano prove a carico dell’accusato.
L’articolo 14 della Convenzione parla di “diritto ad una riparazione” per la vittima di tortura. La legge è orfana di tutto questo.
AB In tutto il testo manca un riferimento al diritto delle vittime ad avere una riparazione. Quando si introduce un reato di tortura bisognerebbe stabilire che la vittima abbia diritto a risarcimenti e riabilitazione. Ma qui la vittima non compare proprio.
I promotori dell’appello contro la “legge truffa” segnalano che “nulla si dice sulla sospensione e la rimozione di pubblici ufficiali giudicati colpevoli di tortura e trattamenti inumani e degradanti”. Che ne pensa?
AB Raccomandazioni di questa natura noi del Comitato le facciamo sempre anche se nel testo della Convenzione non se ne fa cenno. Ad ogni modo, in presenza di un’inchiesta per sospetto reato di tortura è sempre bene che il pubblico ufficiale venga separato completamente dalla presunta vittima. Se una legge lo specifica tanto meglio.
Alla domanda “Meglio una cattiva legge o nessuna legge?”, il professor Bruni propone una riflessione interessante. Che guarda alla prossima sessione del Comitato ONU contro la tortura cui appartiene, dove uno dei temi più forti del “caso italiano” sarà proprio la valutazione della legge -o della proposta di legge, qualora non fosse stata ancora approvata dalla Camera dei Deputati- sul reato di tortura.
AB In quella sede verrà esaminato il rapporto curato dall’Italia e presentato nel 2015 (avrebbe dovuto farlo nel 2011, ndr). Che ci sia una legge già approvata o un progetto di legge in discussione, in ogni caso gli esperti del Comitato dialogheranno con i rappresentanti e con la delegazione del Governo italiano. E diranno quel che hanno da dire su questo tipo di legge. Specifico che in quanto italiano non parteciperò all’esame.
In che forma lo “diranno”?
AB Attraverso lo strumento delle conclusioni e delle raccomandazioni. Si dirà cioè se la legge sia più o meno valida e in che cosa si debba eventualmente modificare. Ci saranno anche i contributi della società civile per iscritto o in forma orale e tutti i quesiti che abbiamo menzionato riguardo alla legge saranno sollevati dalla società civile.
Come funziona questo passaggio?
AB Il Segretariato inviterà la società civile o le grandi Ong internazionali ad un colloquio con il Comitato a porte chiuse prima di quello ufficiale con i rappresentanti del Governo (in questo caso) italiano. Avranno il tempo di parlare delle loro preoccupazioni, della legge ma non soltanto di quella, e dell’applicazione in Italia della Convenzione contro la tortura dell’ONU.
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