Altre Economie / Reportage
Tornare all’ovile per preservare il territorio. Nel selvaggio verde della Sardegna
IT.A.CÀ, il festival del turismo responsabile, si immerge ancora una volta in Ogliastra. Un luogo di centenari, tra scenari potenti di pietre e di verde acceso, dove piantare alberi per il futuro, ascoltare il silenzio tra montagna e nuraghi e scoprire -come invita a fare il pay off del festival- le “radici in movimento”. Senza trasformare territori complessi in bomboniere per chi vuole fuggire dalle città. Il nostro viaggio
Stamattina la punta Lamarmora -a quasi duemila metri di quota- possiamo solo immaginarla. Davanti a noi nuvole e le lame di sole, mentre la jeep procede in salita con la marcia “ridotta” su una sassaia verso l’ovile Erbelathori, nel verde incontaminato dell’Ogliastra, radure, leccete e ginepri secolari, nel vasto territorio del Comune sardo di Villagrande Strisaili, appena sotto il Gennargentu.
Alla guida Gianluigi Bonicelli, ideatore del progetto Selvaggio verde, e istruttore di nordic walking. “La nostra missione è preservare il delicato e meraviglioso ecosistema che la nostra terra offre -spiega con una voce che tradisce la passione-. Per fare questo l’unico modo è offrire questa opportunità solo a piccoli gruppi e magari non asfaltare proprio questa strada, in modo che chi voglia scoprire il paradiso se lo possa guadagnare con tre ore circa di cammino”.
Dopo molti sobbalzi, mucche che compaiono come fantasmi nelle nuvole e un’aquila che plana lontana, lasciamo la macchina accanto al fiume e saliamo a piedi verso l’ovile nel silenzio rotto solo dal mormorare di piccoli rivi. Poi i campanacci delle greggi che pascolano sulle pendici della Porta del Vento, sul Gennargentu, preannunciano l’arrivo all’ovile Erbelathori, seconda metà dell’Ottocento, che si compone di due pinnetti in pietra utilizzati per ultimo da Angelo Cabiddu, pastore e zio di Gianluigi, ritrovati e riedificati da Gianluigi stesso e famiglia, sasso su sasso, senza una sola manata di cemento. A braccia sono stati portati anche i tronchi di ginepro che fanno da tetto.
Secondo la tradizione, il rifugio accoglieva i pastori e i loro uomini (theraccos) durante il periodo estivo: a inizio maggio, lasciando le loro famiglie in paese, salivano con gli animali per poi tornare a ottobre con una transumanza inversa. All’aperto, la tavola è già imbandita con una tovaglia di felci, le panche umide coperte dalla juta, acqua dalla sorgente che sgorga nonostante la stagione siccitosa, mentre sulle braci ardenti in una grande pentola cuoce una minestra di verdure insaporita dal prosciutto; ma in tavola ci sono anche formaggi, pane pistoccu bagnato, focaccette fatte sulla brace, tutto rigorosamente prodotto “in casa” dalla famiglia. “Un piccolo esempio dell’alimentazione che da secoli fa sì che l’Ogliastra sia il luogo dei centenari”.
Dopo pranzo si riflette ancora meglio: “Qui mettiamo il tempo a nostra disposizione e non il contrario -afferma Gianluigi, mentre sale su una suggestiva piattaforma posta su un albero-. Ci si può disintossicare dalla velocità, dal rumore, dai cellulari. Si beve l’acqua di sorgente (e ci si fa anche la doccia), si mangiano cibi genuini fatti con le nostre mani, si dorme in piccole ed essenziali capanne di legno”. La sera davanti al fuoco si scopre la storia dell’ovile e quella dei pastori che vi hanno vissuto e lavorato, per ammirare infine da un poggio appena più elevato, proprio di fronte alla cima Lamarmora, uno dei cieli più bui e stellati della Sardegna.
“Selvaggio Verde”, 50 chilometri complessivi di percorsi nella natura, è solo una delle esperienze inedite che ha regalato la “tappa” in Ogliastra della 16esima edizione di “IT.A.CÀ Migranti e Viaggiatori”, il Festival nazionale del turismo responsabile, qui ospitato dal 13 al 22 settembre in tre diversi Comuni: Lanusei, Villagrande Strisaili e Arzana, nel cuore di una blue zone, una delle cinque aree del Pianeta che detengono il primato della maggior concentrazione di centenari, celebrati con i murales sui muri di Villagrande. L’edizione 2024 di IT.A.CÀ -da maggio a novembre- coinvolge ben otto Regioni per un totale di 15 tappe, da Nord a Sud Italia, da Bologna dove l’evento è nato, a Palermo.
Quest’anno il filo conduttore è “Radici in movimento”: e mai come in questo luogo incantato a noi sembra pertinente, tra i grandi alberi dalle radici esposte e contorte che sembrano una processione in cammino che ci accompagna mentre scendiamo dall’ovile verso la jeep.
E ora? “Dove mai andiamo? Sempre a casa”, direbbe il poeta Novalis interpretando lo spirito di IT.A.CÀ: nel territorio di Villagrande Strisaili -come in quelli di Lanusei e Arzana- c’è un patrimonio storico di straordinaria importanza. In un paesaggio epico, nella vallata di riu Pira ‘e Onni e al cospetto del maestoso massiccio del Gennargentu, si trova il sito nuragico di S’Arcu e is Forros, un complesso archeologico complesso e ricco di fascino, dove accanto ai grandi edifici di culto e agli altri insediamenti è stata trovata un’anfora ansata di tipo cananeo con un’iscrizione in caratteri fenici filistei databile fra IX e VIII a.C.: i suoi grafemi sono uno dei documenti più antichi lasciati da genti del Levante. S’Arcu e is Forros è considerato anche il maggior centro metallurgico della Sardegna nuragica, testimoniato dalla presenza di due grandi fornaci per la riduzione dei metalli e di una vera e propria “officina fusoria” dove forse venivano forgiati i bronzetti votivi.
E ora è tempo di ascoltarne la storia. Gli aedi di questo villaggio-santuario altro non sono che gli operatori di Archeonova Srl, società in house del Comune di Villagrande, che nelle loro visite guidate e nei laboratori didattici raccontano la civiltà nuragica da prospettive peculiari, valorizzando l’unicità dei luoghi e rendendo ogni occasione un piccolo evento. Alessandra è la sacerdotessa che, davanti ai due grandi templi a megaron, officia una sorta di cerimonia narrativa, prima valendosi di un suggestivo testo letterario, poi raccontando nel dettaglio e con orgoglio la storia della civiltà nuragica e dei suoi protagonisti. L’aiutano discipline di recente sviluppo: come l’archeologia del cibo e l’archeobotanica, ovvero le indagini sui resti di cibo animale e vegetale, di ossa e semi che si ritrovano negli antichi contenitori e nei resti umani, offrendo un importante contributo alla ricostruzione dell’ambiente, dell’economia e della società delle civiltà passate.
Se il cibo racconta la storia, poco dopo -mentre la luce digrada e le sfumature di verde si moltiplicano- dalle mere testimonianze si passa all’assaggio delle specialità tradizionali, formaggi e prosciutto, olive, gathulis, anelli fritti a base di patate, farina di semola e formaggi ovini e sa turredda, gustose focaccette, accompagnate da un bicchiere di Cannonau.
In questo scenario potente di pietra e di verde acceso, prima scende il crepuscolo e poi la notte, mentre ascoltiamo le musiche ancestrali del gruppo Iskraria che attinge ad antiche sonorità mediterranee e ci riconsegna alle suggestioni dei popoli del mare e a quelli della antica Ichnusa.
Al mattino seguente, la stradina che percorriamo è una quinta di verde brillante e colline rocciose: l’agriturismo e fattoria didattica Nuraghe Murtarba ci accoglie nel suo orto dal composto disordine, con sullo sfondo una piccola foresta alimentare in divenire e un gregge di capre in rientro dal pascolo a scompaginare i convenevoli. Qui la conduzione è rigorosamente familiare. Franca Cabras, padrona di casa, si presenta e non perde tempo: “Che albero scegli?”, chiede consegnandomi una zappetta. Il progetto di Murtarba all’interno del festival si chiama infatti “Piantiamo un albero per abbattere la CO₂”, e in tutta semplicità invita ogni ospite dell’agriturismo a piantare un albero per ridurre la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera e magari compensare in parte il viaggio fatto per arrivare fin qui.
Scelgo un piccolo limone, Franca misura con cura con una pertica le giuste distanze e fa un segno a terra. È qui che mi metto ad angolo retto e non senza malagrazia scavo un buco come invito alla giovane pianta, ne scarto il pane di terra che copre le radici, lo scrollo e ne tolgo il di più, lo colloco, lo copro con la terra, la compatto, la bagno abbondantemente. Ed ecco che arriva la figlia Angela e, per mia fortuna, mi dà una mano a piantare una robusta canna per sostenere la pianta. Sarà che nella terra c’è un antidepressivo naturale ma mi sento subito meglio.
Angela Melis, che ha imperniato la sua tesi di laurea in Economia e gestione aziendale dei servizi turistici all’Università di Cagliari sul turismo responsabile (“Turismo Responsabile. IT.À.CA, un filo blu”) fa gli onori di casa: “Nuraghe Murtarba è nato da un’idea di mia madre che ai primi anni Novanta ha iniziato a lavorare queste terre, in origine della famiglia di mio nonno. L’attività agricola e di allevamento a 360 gradi -capre e pecore, mucche e maiali, galline e pavoni, cavalli e asini- accarezza il sogno di ricreare un ambiente fondato sul rispetto della natura”. Nel 1996 arrivano i primi viaggiatori in cerca di tranquillità e convivialità: “Le visite sono poi cresciute nel corso degli anni e via via abbiamo apportato migliorie alla nostra casa e all’ospitalità di persone di ogni Paese, amanti della natura e camperisti, a cui proporre le escursioni nei dintorni, dal Lago Santa Lucia alle aree archeologiche, senza dimenticare i piccoli eventi culturali che organizziamo in loco”.
Oggi è inoltre possibile prenotare visite alla fattoria didattica per far vivere ai più giovani l’esperienza di trasformazione delle materie prime, seguire la quotidianità degli animali, scoprire l’ambiente e la flora autoctona. Per la colazione, la degustazione e la cena su prenotazione c’è la rustica sala interna o il portico con la griglia a vista. Il menù di cucina sarda tradizionale, cucinato in prima persona dall’agrichef Franca e dalla sua brigata, è un trionfo del chilometro zero, tra formaggi, salumi, culurgiones, umido di cinghiale e vino, ma serviti con una sobrietà e una cura che ne racconta il valore, oltre il sapore. Tornerò presto a vedere come sta il mio limone.
La quarta tappa del festival si chiude infine nel tardo pomeriggio con la conferenza sul ferrociclo, condotta dalla giornalista Daniela Usai con ospiti amministratori, esperti e operatori turistici: un esempio concreto e futuribile di trasporto lento lungo le linee ferroviarie dismesse che prima erano attraversate dal Trenino verde (ne parleremo presto su Altreconomia). “IT.A.C.À -chiosa la consigliera del Comune di Villagrande Strisaili Laura Mameli, tra i deus ex machina di queste giornate- ci ha fatto capire che una piccola iniziativa se è fatta in rete (con Lanusei e Arzana, ndr) diventa una grande occasione. E forse abbiamo acceso una lampadina a qualche giovane che, sia pure con un basso voltaggio, potrà in futuro illuminare l’Ogliastra di una luce diversa, una luce buona e accogliente, come chi abita questo territorio sa fare”.
“IT.A.C.À continua. Per seguire le altre tappe sul sito”
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