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Diritti / Opinioni

Sull’inferno tra Israele e la Striscia di Gaza: “La lotta per i diritti umani non fa distinzioni”

Gaza © Mohammed Ibrahim - Unsplash

Il commento di Avner Gvaryahu, direttore della Ong Breaking the silence che riunisce veterani israeliani che hanno prestato servizio nell’esercito e che si battono contro l’occupazione. “Continueremo a lottare contro le punizioni collettive, le uccisioni, le pericolose politiche di ‘mantenimento dell’occupazione’ e i cicli di guerra senza fine”

Ci sono alcune cose da mettere in chiaro: Hamas ha commesso crimini che dovrebbero far inorridire qualsiasi persona perbene. Come persone che quotidianamente criticano con fermezza la politica israeliana nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania, è nostro dovere morale dire le cose come stanno: questo fine settimana Hamas ha palesemente violato le norme morali fondamentali dell’umanità.

Come persone che da vent’anni lottano contro l’occupazione e l’apartheid, dobbiamo affermare inequivocabilmente che è impossibile giustificare il massacro di centinaia di civili a un festival di musica, o l’assassinio e il rapimento di innumerevoli uomini, donne e bambini -anche in nome di una lotta anticoloniale o popolare-. È impossibile costruire giustificazioni teoriche per il rapimento di madri e dei loro figli, di anziani, di adolescenti.

La lotta per i diritti umani non fa distinzioni di sangue, tra persone di religioni, etnie e nazionalità diverse, ed è nostro dovere essere coerenti. La lotta per i diritti legittimi di una nazione non può essere una scusa per decimare i diritti di un’altra. Questo è un principio fondamentale: non solo del diritto internazionale, ma della semplice decenza morale. Senza questo tutto ciò che resta è un ciclo di vendetta cieca e indiscriminata.

Coloro che trovano una sorta di logica teorica contorta per giustificare un massacro non stanno lottando per i diritti umani e allontanano ulteriormente l’obiettivo della liberazione.

Quasi tutti noi conosciamo qualcuno che è stato ucciso, che è stato preso in ostaggio, che è scomparso o che ha passato ore chiuso nei rifugi temendo per la propria vita. Molti non hanno idea di dove siano i loro cari, a più di 48 ore dall’inizio dei combattimenti. Siamo in ansia per il benessere delle nostre famiglie, così come per il benessere dei nostri partner palestinesi e per i civili innocenti che vivono in questa terra, dal fiume al mare.

Dedichiamo le nostre vite alla lotta per porre fine all’occupazione e all’assedio di Gaza perché nessun essere umano dovrebbe vivere sotto la tirannia e perché il sangue di nessuno è più rosso di quello degli altri. Ogni singola persona che vive in questa terra merita di vivere una buona vita, sicura e libera. Per questo lottiamo -e continueremo a lottare- contro le punizioni collettive, contro le uccisioni, contro le pericolose politiche di “mantenimento dell’occupazione” e i cicli di guerra senza fine. Per questo continueremo a lottare, come facciamo da anni, contro le politiche di fuoco indiscriminato a Gaza. La nostra posizione è chiara: ogni essere umano merita una vita di sicurezza e libertà. Sia i palestinesi sia gli israeliani.

Nel suo ultimo articolo per Haaretz, il nostro consulente legale, l’avvocato Michael Sfard, ha ricordato a tutti noi una verità semplice ma importante: “Gli israeliani devono mantenere la loro umanità anche quando il sangue bolle”. Sfard è uno specialista delle leggi di guerra e del diritto internazionale dei diritti umani ed è attivo da decenni nella lotta contro l’occupazione.

Non abbiamo ancora iniziato a elaborare lo shock e il dolore degli ultimi giorni, ma sappiamo che dobbiamo mobilitarci immediatamente per riportare a casa gli ostaggi vivi. Aggiungete il vostro nome alle decine di migliaia di persone che hanno già firmato la petizione (in ebraico) per riportarli a casa. La campagna è stata organizzata dai nostri partner di Zazim.

Avner Gvaryahu è il direttore della Ong Breaking the silence, che riunisce veterani delle forze militari israeliane che hanno prestato servizio nell’esercito a partire dalla seconda Intifada. È stata fondata nel 2004 per denunciare le violazioni compiute dai soldati in Cisgiordania. Raccoglie e pubblica testimonianze anonime di militari e organizza tour a Hebron per mostrare gli effetti dell’occupazione. Il testo, tradotto a cura della redazione, è tratto dall’ultima newsletter inviata l’11 ottobre 2023 dall’organizzazione ai propri contatti

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