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Finanza / Opinioni

Sempre più indebitati per affrontare la crisi

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Crescono i segnali di un disagio profondo, in particolare da parte di chi ha redditi medio-bassi. Ma la “cura” della Bce non è efficace. L’analisi di Alessandro Volpi

Tratto da Altreconomia 266 — Gennaio 2024

Nel 2023 il credito al consumo in Italia ha superato i 160 miliardi di euro, confermando una crescita che è stata molto sostenuta a partire dal 2020: significa che un italiano su due si indebita (per acquistare beni e servizi) e che l’indebitamento medio delle famiglie italiane nei confronti di banche e società finanziarie raggiunge i 22mila euro, con un rilevante aumento dell’ammontare degli interessi da pagare. Questi dati si spiegano in buona misura per il fatto che l’inflazione ha tolto a ogni cittadino quasi settemila euro in un solo anno in termini di capacità d’acquisto.

Naturalmente si tratta di valori medi, che nascondono quanto l’inflazione e l’indebitamento abbiano colpito duramente i redditi medio bassi. In quest’ottica esiste un rischio molto concreto riconducibile al fatto che per coprire una parte della spesa finalizzata a rinnovare le “una tantum” per i redditi fino a 35mila euro nella Legge di Bilancio per il 2024 (nella sua versione di metà dicembre 2023) si riducono sensibilmente le indicizzazioni e le pensioni delle fasce di reddito titolari di retribuzioni e pensioni nette di poco superiori a quella soglia. In altre parole, si costruisce una manovra che corre il pericolo di mettere i poveri attuali contro quelli, depauperati, di domani.

Ma l’elemento più stonato del processo di impoverimento in corso è costituito dal fatto che l’inflazione è dipesa, in larghissima misura, dalla speculazione finanziaria e dagli extra-profitti di settori in cui la condizione di monopolio ha consentito di scaricare su utenti e consumatori un onere ben più alto dei costi sostenuti.

Nonostante questo, il gettito delle imposte sui profitti nel nostro Paese risulta assai limitato e, soprattutto, gli utili più alti sono stati quelli delle banche che sono stati destinati in maniera paradossale -proprio per effetto dell’imposta sugli extraprofitti- a riserva e quindi non pagati.

L’importo medio in euro dei debiti contratti dalle famiglie italiane nei confronti di banche e società finanziarie per l’acquisto di beni e servizi è di 22mila euro

La situazione non pare destinata a migliorare. La presidente della Banca centrale europea (Bce), Christine Lagarde, ha sottolineato nuovamente con forza che i tassi di interesse non scenderanno e ha aggiunto che non è detto che non possano aumentare ancora. A fronte di queste dichiarazioni, ribadite con pervicacia nonostante l’economia dell’Eurozona sarà in fase di piena stagnazione nel 2024, la stessa Bce ha presentato il rapporto sulla “stabilità finanziaria” dove ha affermato che proprio gli alti tassi minacciano la stabilità finanziaria europea e soprattutto mettono in crisi l’economia dell’Europa, impoverendola.

In sostanza stiamo assumendo una medicina tanto pesante da generare effetti devastanti e il medico sembra esserne perfettamente consapevole. Peraltro, ancora la Bce fa notare, in modo surreale, che gli alti tassi potrebbero indurre gli istituti di credito ad alzare ulteriormente il costo per gli utenti dei loro prestiti, aumentando il rischio di insolvenza della clientela con conseguenze pesanti sul piano sociale; un pericolo testimoniato da due ulteriori sintomi costituiti dalla riduzione della propensione al risparmio (scesa del 3,6% nei primi sei mesi del 2023) e dal crescente ricorso alla cessione del quinto dello stipendio.

C’è poi lo spettro più grande rappresentato dalla diffusione dell’usura che ha raggiunto un valore complessivo non lontano dai cento miliardi di euro. I segnali di un disagio profondo stanno diventando davvero troppi.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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