Diritti / Opinioni
Se l’economia decide il lockdown dei diritti fondamentali. Senza limiti o scadenze
Dallo Stato di diritto sospeso in Ungheria e Polonia al caso Regeni. E poi gli interessi esclusivi sul vaccino o l’aggressione del Polisario. Il diritto è “in ginocchio”, spiega Gianni Tognoni del Tribunale permanente dei popoli
Sono trascorsi pochi giorni dal 10 dicembre, giorno di memoria e perciò di celebrazione della Dichiarazione universale dei diritti umani. Nessuna traccia significativa di “festeggiamenti” tuttavia nella cronaca, che fotografa come sempre la normalità di quanto succede nel mondo reale. È stato curioso (o forse no) ritrovare già nella neutra normalità di una qualsiasi rassegna stampa, sintomi-echi che danno all’interrogativo del titolo una attualità molto “didattica”, che val la pena esplorare, almeno con qualche esempio.
“Sembra” che la scorsa settimana a Bruxelles si sia trovato un accordo europeo sull’approvazione e la gestione del grande pacchetto di miliardi che dovrebbe accompagnare la “Next generation” in una Europa rinata e aperta al futuro. Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha festeggiato su Twitter, “Deal”, richiamando una antica battuta: “Del viaggio aveva ricordato tutto, salvo il naufragio”. L’accordo ha avuto successo grazie al fatto di aver rimandato, cioè dichiarato non “fondante” per l’Europa, la posizione di Polonia ed Ungheria sui diritti fondamentali: si può aspettare, senza fretta, un giudizio della Corte europea. I soggetti “umani” di diritti fondamentali per la democrazia di quei Paesi (e perciò dell’Europa) non sono “vittime” di una violazione esplicita, indiscutibile nella sostanza, riconosciuta nella sua formalità-obbligatorietà da tutti, tanto da essere stata oggetto di controversie infinite.
Paradossalmente, uno stand-by del diritto (“in ginocchio”, come ricordava il titolo del recente festival dei diritti di Napoli) di fronte alle “ragioni” strettamente ricattatorie dell’economia accentua la gravità. Dice che se ne può fare a meno: come un tampone, che può essere un falso positivo. Diritto sospeso pur di fronte a una evidenza di tradimento dei principi stessi di una Europa “culla dei diritti” e con vocazione costituzionale che sfida ogni ragionevole dubbio. Dice che il diritto non è il garante presente e futuro dei soggetti reali, ma, se va bene il giudice che presenterà, prima o poi, le scuse: a chi?
Continuando con la cronaca. “Sembra” poi che qualcosa si sia mosso nello scenario (ormai quanto “antico”, se la cronologia segue i tempi delle persone reali e non degli “equilibri” politico-giuridici?) egiziano-italiano del ruolo del diritto: le indagini hanno portato a documentare il coinvolgimento di quattro “responsabili” nel caso Regeni. Non si sa come (non) si andrà avanti. Anche qui l’economia (con altri nomi, attori, interessi privati e pubblici) ha da tempo detto la sua. E così la politica. L’Egitto è troppo importante. E poi, non si può scherzare o essere radicali: un concorrente pericoloso come Macron ha negli stessi giorni riconosciuto, con la massima onorificenza, il dittatore dell’Egitto che in quanto a competenza nella violazione criminale dei diritti umani e dei popoli non teme proprio nessuno. Sono ormai solo ricordi i dittatori per i quali il diritto aveva in fondo sviluppato strategie di “mai più!”.
E i “desaparecidos” erano divenuti il simbolo di tempi “non-umani”, inaccettabili come crimine imponibile almeno tra società “democratiche”? Ma se l’Europa sceglie uno stand-by con i suoi piccoli dittatori interni, senza timore di violare-negare la propria identità, si può essere tolleranti quando si parla di rapporti più delicati, internazionali, con “stranieri”, strategici per politiche energetiche o militari?
Torniamo un momento nel nostro Paese. La cosiddetta “abolizione” dei decreti di sicurezza, già approvata con ritardi che hanno prodotto sofferenze incredibili, alla Camera, non è poi così, oltre che necessaria, dovuta: le procedure ed i calendari parlamentari devono tener conto di tanti particolari. In fondo far “slittare” un poco i diritti di un popolo così “diverso” come i migranti-rifugiati non può essere considerato una priorità per il Senato. E poi (come anche il caso dell’Egitto insegna) è l’Europa che dovrebbe dare il buon esempio: anche là, al centro decisionale del Parlamento e della Commissione, la “migrazione” è stata, nel nuovo Patto europeo, “riconosciuta” solennemente come un diritto inviolabile ed indicatore di una civiltà di accoglienza: ma solo per poi “decidere” che in un’agenda di lavoro così impegnata con i fondi da distribuire, un posto serio per questo capitolo è difficile trovarlo.
Non possiamo non parlare del virus. “Sembra” che la soluzione sia ormai affidata al vaccino: questione di tempo, di soldi, di promesse di sistemi sanitari efficienti ed esenti da corruzione, capaci di fare del vaccino una scuola di democrazia. Anche qui con un problema: il 10 dicembre 2020 la World Trade Organization ha detto che sul problema dei brevetti e della prospettiva di fare del vaccino un bene comune non hanno nessuna intenzione di scherzare: ascoltano, sanno che ci sono tanti disaccordi ed opposizioni, ma il problema è sempre quello: pretendere che il diritto degli umani prenda, anche solo per un momento così tragico come la pandemia, il controllo del mercato significa non capire che il mercato non può accettare “sospensioni”. Come per il Recovery fund, da cui si è partiti, è il diritto che deve “capire” e adattarsi. E se arrivano altri competitori, il diritto di accesso al “bene comune della sanità come espressione del diritto alla vita” sarà definitivamente dichiarato “variabile dipendente” delle politiche economiche e strategiche di Stati, attori privati, “benefattori globali”. E sarà chiaro che, in quanto “dipendente” non avrà nulla da dire sul destino degli esclusi. La sanità-salute, che “era”, ma continua ad essere dichiarata, il simbolo del diritto come prossimità e cura , diviene strumento di una diseguaglianza travestita oggi da vaccino, e domani dal rispetto della inevitabile priorità degli interessi privati in un Servizio sanitario nazionale che avrà come scenario le competenze geografiche, finanziarie, politiche delle Regioni, e non certo la epidemiologia dei bisogni inevasi delle popolazioni marginali. Ed è tragicamente logico in questo scenario che l’Italia stia rigorosamente assente e silenziosa anche sulla scena globale del vaccino come bene comune.
Si potrebbe seguire nella scoperta di quante cose “sembrano” segnalare un inginocchiamento perfettamente flessibile del diritto di fronte alle non-ragioni molto potenti e diversificate della economia. Lo scenario di quanto ed in quanti modi diversi il diritto non solo sembra, ma è “in ginocchio”, potrebbe arricchirsi di altri esempi, sempre restando nella settimana dell’anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani. Imprescindibile almeno uno. Un ex-Presidente degli Stati Uniti sta “educando” tutti i poteri del mondo globale alla irrilevanza della “legittimità” con la sua interpretazione (impunibile e violenta) di una democrazia che continua ad essere “di riferimento” per il mondo globale: per celebrare la Dichiarazione proclama la inesistenza del diritto internazionale. Benedice infatti l’accordo tra Marocco ed Israele, regalando per gratitudine al primo il diritto a considerare come propri i territori (il popolo che ne è titolare da sempre non merita neppure di essere nominato) del Sahara Occidentale. Nulla di nuovo: cronaca giornaliera di un pezzo di mondo tormentato. Colpisce la tempestività con la celebrazione della Dichiarazione universale, la continuità con quanto aveva fatto per Gerusalemme capitale e gli insediamenti. Il silenzio praticamente assoluto a livello della comunità degli Stati. La presentazione della ripresa delle armi come un atto di aggressione del Polisario. La documentazione che il diritto può arrivare a condannare formalmente i trafficanti di esseri umani, ma non considera che la compra-vendita dei popoli sia argomento di interesse, che siano i Palestinesi o i Rohingyas spostati a forza in un’isola artificiale, perfettamente isolata, e di cui si vuolecsperimentare la resistenza o meno ai monsoni.
La cronaca di una settimana ordinaria si è fatta lunga. Il tono “constatativo” del titolo non ne vuole evidentemente dire la definitività o la non resistenza. Come rappresentante anche del Tribunale permanente dei popoli (lo si è provato anche a documentare nel nostro libro “Diritti dei popoli e disuguaglianze globali“) è in un certo senso ovvia una posizione fortemente preoccupata e pro-attiva rispetto alla polarizzazione (trasversale a tutti gli ambiti del quotidiano, politico, istituzionale, culturale) tra dichiarazioni-principi del diritto e decisioni operative-gestionali dell’economia: con il diritto in prevalente posizione “in ginocchio”. La normalità con cui questa sottomissione del diritto viene data per acquisita è tuttavia, giorno dopo giorno, più preoccupante. È una cultura più contagiosa e paralizzante della pandemia. Il lockdown che vuole l’economia equivale ad una “zona rossa” permanente, senza eccezioni. Accettata con la stessa obbedienza a bollettini “comunicati” dall’alto, con giustificazioni affidate a numeri mirati a creare sottomissione o rabbia, mai a generare interlocutori. Gli esempi dati, presi da una settimana, praticamente un solo giorno, l’11 dicembre, lo dicono chiaramente: soprattutto con il silenzio e l’assenza di alleanze concrete, strette e diffuse, tra economisti e giuristi critici (rappresentanti non solo dottrinali, ma operativi-gestionali, a livello istituzionale) nel monitorare e “far vedere” come insostenibile per la democrazia la separatezza tra analisi e dati economici, e loro verifica di validità-compatibilità da parte di un diritto che riprenda la sua autonomia reale. Per essere presenti e percepibili anche nell’opinione pubblica. Con linguaggi, esempi, progetti che “rendano visibile” la complementarietà dei tanti campi trattati come eterogenei (tutti i settori strategici per la democrazia) in cui si gioca la sfida tra “i diritti” degli umani (e della vita della natura e dell’ambiente) e “le regole” del commercio delle cose.
La ricerca di una via di uscita dall’attuale lockdown non è dietro l’angolo, anzi: sempre di più, e non di meno, sarà lo snodo per la Next generation. Post-umana nei termini dell’ultimo libro di Marco Revelli, e perciò non-bisognosa e non-soggetto di diritti umani, come anticipava Upendra Baxi, un filosofo del diritto, indiano, dal suo osservatorio non solo geograficamente “altro”?
Gianni Tognoni è stato direttore scientifico del centro di ricerche farmacologiche e biomediche della Fondazione Mario Negri Sud. È il Segretario generale del Tribunale permanente dei popoli
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