Diritti / Opinioni
Lo sgangherato processo alla scuola. Invito a chi l’accusa: entrateci
Si parla molto di classi, bullismo, stato sociale, meno delle risorse (poche) che vengono destinate all’istruzione: pari al 3,9% del Pil, terzultimi nell’area euro. È questo il vero scandalo. La nostra esperienza nelle scuole ci insegna che non dobbiamo lasciarci guidare dai pregiudizi su studenti e professori. L’editoriale del direttore di Altreconomia, Pietro Raitano
Lo sviluppo di un’adeguata educazione economico-finanziaria è stata considerata giusto un anno fa una delle misure “urgenti” per la tutela delle famiglie (attraverso la legge 15 del 17 febbraio 2017). Il governo all’epoca tuttavia stanziò solo un milione di euro: poco se messo a confronto con i miliardi di euro impiegati per il “salvataggio” delle banche. Si è trattata in ogni caso della prima volta in cui l’Italia affrontava un problema storico che affligge il Paese, come è confermato da studi e statistiche che fanno parlare di “analfabetismo economico-finanziario”.
Manco a dirlo, siamo i peggiori del G7, con una percentuale di alfabetizzazione finanziaria ben inferiore rispetto alla media delle nazioni più ricche del Pianeta. E sono i giovani -insieme agli anziani- quelli che ne sanno meno. I dati del Program for International Student Assessment poi mostrano una situazione seria, con l’Italia al penultimo posto tra i 18 Paesi OCSE in tema di conoscenze economico-finanziarie degli studenti delle scuole superiori.
Anche per questo motivo ormai da tre anni i giornalisti della redazione di Altreconomia girano per le scuole superiori -senza distinzione di tipologia- per tenere incontri su globalizzazione, finanza internazionale, mercato del lavoro, finanza personale, consumi critici, debito pubblico, insomma tutti quei temi che vengono trattati nella rivista e nel sito e che riteniamo costituiscano il bagaglio minimo per comprendere come funziona l’economia -e soprattutto perché è necessario (pre)occuparsene. Quello che cerchiamo di spiegare ai ragazzi è che se anche nella vita si dedicheranno a tutt’altro, è importante comprendere i meccanismi economici locali e globali e le loro implicazioni, perché da essi dipendono il futuro del Pianeta, la tutela dei diritti delle persone e il benessere equo cui tutti aspiriamo. Soprattutto, cerchiamo di trasmettere l’idea che tutti possono comprendere l’economia, ovvero che non si tratta di un ambito esclusivo solo di alcuni “esperti” o “tecnici”.
Abbiamo incontrato finora almeno 7mila studenti, perlopiù ragazzi del quarto e quinto anno delle superiori: tanti, ma non abbastanza da pretendere di raccontare una generazione, generalizzare tante vite così diverse, tanti contesti, svariati comportamenti. Abbiamo incontrato, a centinaia, i loro professori. E abbiamo visto le loro scuole, le loro classi. Le statistiche -fonte Eurostat- ci dicono che l’Italia è tra i Paesi europei che spendono meno nel settore dell’istruzione: la percentuale di prodotto interno lordo che destiniamo a scuola e università è il 3,9%, il terzultimo posto nell’area euro e al quintultimo nell’intera Ue. E questo è il vero scandalo. Quello che abbiamo visto noi ci dice che la scuola andrebbe sostenuta e non costantemente accusata, e che molti pregiudizi, nei confronti dei ragazzi e dei loro professori, andrebbero sfatati. Abbiamo visto molte difficoltà ma anche molta umanità e professionalità, passione e intelligenza, entusiasmo e umiltà.
Il nostro lavoro nelle scuole ci sta portando anche lontano, nel Sud Italia. In particolare nelle province di Reggio Calabria e Messina, in un progetto che stiamo realizzando con la Fondazione Vismara e grazie a eccellenti “formatori” locali, Monica Musolino e Gianni Votano. A molti degli studenti che partecipano ai nostri incontri viene regalato un abbonamento alla nostra rivista, affinché possano continuare a leggere dei temi trattati nell’incontro per tutto l’anno.
Ci è capitato di trovare, tra gli indirizzi dei ragazzi messinesi, anche quelli di chi tra loro abita in zone molto emarginate delle città, quartieri informali costituiti da costruzioni informali, risalenti al periodo post terremoto (1908) o post bellico (anni 50), nati come baraccopoli e poi messi parzialmente a posto, e che ancora oggi permangono in situazioni di grande precarietà. Sono posti in cui entrano raramente anche le forze dell’ordine. E per questo motivo ci colpisce che oggi ci entri Altreconomia.
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