Diritti / Reportage
Nella scuola montessoriana di Kabul, dove si insegnano pace e convivenza per resistere alla guerra senza fine
Reportage dall’Afghanistan tra i bambini dell’orfanotrofio “House of Flowers”. Seguono la filosofia pedagogica di Maria Montessori, con un set di materiali e un approccio inesistenti nella scuola pubblica del Paese stravolto da 19 anni di conflitto, provando a costruire un futuro diverso
Seduti comodi sul tappeto o sulle sedie, accostate ai tavolini alla loro altezza, i bambini e le bambine della “House of Flowers” cantano la stessa canzoncina in quattro lingue diverse: dari e pashto, le due ufficiali dell’Afghanistan, ma anche inglese e tedesco. “E perché no? -dice la maestra Fatima- Ne impariamo una anche in italiano”. Fatima seduta tra loro ripete le strofe e il ritornello ad alta voce. Insieme provano a ricomporre le frasi della canzone nei due diversi alfabeti, con lettere costruite da loro in legno o disegnate e dipinte su carta. Con i diversi materiali e metodologie che distinguono il Metodo Montessori, questi bambini dell’Afghanistan hanno una marcia in più. Sono orfani (come vengono definiti i bambini senza il padre e quelli che hanno perso entrambi i genitori), condizione che vivono circa 250mila minori. Un numero enorme, che non smette di diminuire a causa del conflitto permanente e degli attentati che destabilizzano il Paese.
La guerra in Afghanistan è iniziata il 7 ottobre del 2001 ed è in corso. Secondo la missione Onu nel Paese, tra gennaio e settembre 2019 le vittime civili sono state 2.563
Maria Montessori -neuropsichiatra ed educatrice italiana, vissuta tra il 1870 e il 1952- aveva cominciato il suo lavoro nel manicomio di Monte Mario, a Roma, con bambini rinchiusi, abbandonati da tutti, concentrandosi sui bisogni educativi prima che su quelli medici. Alla “House of Flowers” i bambini sono gli unici orfani afghani a poter studiare seguendo la filosofia pedagogica di apprendimento che ha reso la Montessori famosa in tutto il mondo. Un set di materiali e un approccio inesistenti nella scuola pubblica afghana, che però devono obbligatoriamente frequentare. “House of Flowers” è stata fondata nel 2002 a Kabul, la capitale del Paese, da una organizzazione canadese di nome MEPO (Medical, Educational and Peace Organization). La coordinatrice, Allison Lide, per anni ha vissuto in Afghanistan, dopo aver studiato il metodo Montessori a Bergamo. Con il certificato dell’Associazione Montessori Internazionale, Allison può insegnare alla scuola primaria. È stata lei per diversi anni a formare le docenti afghane. Ma ormai da tempo sono autonome: le insegnanti, due su tre alunne della stessa Allison, si aggiornano in continuazione e hanno anche tradotto dall’inglese al dari e pashto i libri che lei aveva lasciato loro. All’interno della scuola i bambini sono 30, dai cinque anni fino al massimo ai 18. Con il sostegno di “House of Flowers” molti riescono a essere indirizzati agli studi universitari, privilegio raro per degli orfani traumatizzati dalla perdita e dalla guerra.
L’energia positiva di questo orfanotrofio, la forza delle insegnanti e l’indirizzamento montessoriano all’apprendimento li fa propendere naturalmente verso la continuazione degli studi. “Posso vantarmi: i nostri bambini sono i migliori, le insegnanti della scuola pubblica spesso ci chiedono come fanno, cosa facciamo”, racconta Fatima, 32 anni, da sei insegnante Montessori. “Nella scuola pubblica ci sono solo libri per imparare a leggere e scrivere, non è contemplato materiale interattivo e l’inglese è obbligatorio solo dal quarto anno di scuola, mentre noi lo insegniamo da subito, anche cantando e dipingendo”.
Fatima, dopo la fine del canto multilingue, precisa: “Purtroppo a Kabul le ore di scuola pubblica sono solo tre al giorno e vanno in turni diversi a secondo delle età”. Dopo quasi 19 anni dall’occupazione americana del 2001 e una guerra permanente coi Talebani che avevano limitato fortemente durante il loro dominio l’accesso all’educazione scolastica, molte scuole di Kabul e altrove non sono dotate di un numero sufficiente di aule e di insegnanti. Ogni classe dei cicli primario e secondario è formata da circa 40 studenti, con tre turni da tre ore. I bambini della scuola primaria studiano solo lingua, matematica e religione, mentre i più grandi sei materie (incluse scienza, geografia e studi sociali) spalmate in quelle poche ore. Questo sistema rende assai complicato l’apprendimento in classi affollate e con orari non adatti ai bambini. All’orfanotrofio “House of Flowers” le docenti del metodo Montessori completano con altre tre ore l’insegnamento monco della scuola pubblica, ma di fatto lo stravolgono ed arricchiscono. A loro il doppio compito di insegnare col metodo Montessori quello che troverebbero nei curricula ministeriali e la vera sfida: curare quest’infanzia spezzata dal conflitto senza fine. Nella serenità della classe sembra lontano il tempo di violenza che ognuno di loro ha vissuto.
A pranzo i bambini della “House of Flowers” tornano nella propria stanza per un momento di preghiera. Quindi possono scegliere di uscire a giocare in giardino o di riposare
“Una delle storie che mi ha più sconvolto -ricorda la direttrice Jamila Weissi-, è stata quella di un bambino che ha perso entrambi i genitori in un agguato dei Talebani, mentre si recavano dalla loro provincia alla capitale Kabul: li hanno uccisi solo per rubare la macchina”, dice descrivendo il livello di violenza e impunità dei Talebani, che agiscono come bande criminali nei confronti dei cittadini afghani. E non c’è da stare tranquilli neanche adesso, a quasi 19 anni dalla loro cacciata: di fatto, i Talebani controllano metà del Paese, anche se sotto la loro egemonia rimangono zone rurali e non città, capoluoghi di provincia, che sono in mano al governo centrale. Il 2019 è stato uno degli anni più intensi del conflitto, nonostante i negoziati di pace interrotti e ripresi con ancora un nulla di fatto. “La maggior parte dei bambini sono orfani a causa di attentati suicidi o autobombe esplose nel Paese”, conclude Jamila. “Ne subiamo quasi ogni settimana a Kabul e dietro ogni esplosione sappiamo che ci saranno nuovi orfani”.
Il principio di insegnamento montessoriano privilegia il lavoro manuale: è attraverso l’utilizzo delle mani (Montessori parla della “intelligenza delle mani”) che la sfera intellettuale si attiva. I bambini all’interno della “House of Flowers” sono lasciati liberi tra una lezione e l’altra per pensare e giocare, non hanno i rigidi orari degli altri orfanotrofi nel Paese. Una certa libertà dunque con delle regole di rispetto e cura reciproca e dell’ambiente che trasformano l’orfanotrofio in una piccola comunità. I bambini sono divisi in due gruppi: quello dai sei ai 12 anni, e quello dai 12 ai 18, garantendo in un’unica classe di diverse età il mutuo aiuto e la sensazione di una grande famiglia in cui si collabora tra fratelli. Nour Allah e Abdelkarim fanno lo spelling del loro frutto preferito in inglese, mentre Abdel guarda una mappa geografica a partire dalla quale disegnerà la sua, immaginaria.
La “House of Flowers” è stata fondata nel 2002 da un’organizzazione canadese, MEPO, la cui coordinatrice aveva studiato il metodo Montessori a Bergamo
La maestra Fatima insegna la lingua tedesca, e questo è pensato specialmente per i bambini che un giorno potrebbero avere una chance in più, ma soprattutto perché “l’inglese è obbligatorio, una lingua straniera diversa apre ancora di più le loro menti. Ed è la lingua che io ho studiato e amato, voglio trasmetterla”. La scuola è supportata anche da una organizzazione italiana, Nove Onlus, che ha diversi progetti di cooperazione nel Paese. Razia, una delle bambine orfane di “House of Flowers”, è oggi una delle sue insegnanti montessoriane. Anche lei, a quasi 18 anni ha dovuto lasciare l’orfanotrofio: mentre studiava per gli esami all’Università si è formata come insegnante Montessori. Ora ha 24 anni e continua a sentire casa quel luogo dove da bambina si è ritrovata senza famiglia. “Ho passato l’intera mia infanzia qui, ma non sapevo che ci sarei rimasta pure per la mia giovinezza e in età adulta, con un lavoro che mi rende felice”, esclama Razia. “Quello che provano i bambini l’ho vissuto sulla mia pelle. Alla scuola pubblica molti bimbi parlano di mamma e papà e tu ti senti smarrito. Ma anche grazie alla cura del metodo Montessori, ho superato e sono pronta ad abbracciare questi bambini ogni giorno”.
La terza insegnante, Basira, ha invece una storia più fortunata e ha fatto dei bambini orfani della “House of Flowers” i suoi figli. “Quando mi sono sposata, li ho invitati tutti al mio matrimonio”, racconta con un gran sorriso. “Per loro è stata una bellissima occasione di festa, siamo come le loro madri, come dei genitori, non potevano mancare al mio matrimonio”. I bambini per l’occasione hanno organizzato un gioco e disegnato, e si sono poi lasciati mascherare con l’henna tradizionale, che adorna invitati e invitate alle nozze afghane. Oltre al momento eccezionale di festa, i bambini trascorrono con le tre insegnanti diversi momenti di convivialità quotidiana: il pranzo, ma anche l’ora di pausa in giardino. Spesso si unisce anche la direttrice. Lei e una delle insegnanti portano alla “House of Flowers” anche i loro figli piccoli. “Per noi lavorare è importante e vogliamo dare questo contributo alla società -dice Jamila- ma spesso non sappiamo a chi lasciare i nostri figli, così li portiamo qui: anche loro assorbiranno il metodo Montessori anche se poi andranno alla scuola pubblica”. Per Fatima e Basira, invece, la più grande soddisfazione è poter supportare economicamente la famiglia con il loro lavoro. Un circolo virtuoso beneficia gli orfani che apprendono e le donne che insegnano.
I bambini sono lasciati liberi tra una lezione e l’altra per pensare e giocare, non hanno i rigidi orari degli altri orfanotrofi del Paese
Il ministero del Lavoro e degli Affari Sociali indirizza i bambini orfani alla “House of Flowers” così come agli altri orfanotrofi, seguendo le proprie liste. “La ricchezza di questo orfanotrofio e di molti altri è che ci sono tantissimi gruppi etnici diversi che rappresentano tutto l’Afghanistan”, dice la direttrice Jamila. “Alcuni dei bambini dalla provincia del Nuristan parlavano solo la loro lingua locale ed è stato qua che hanno imparato le due lingue ufficiali dell’Afghanistan, il dari e il pashto”, continua Fatima.
Questa miscela di hazara, pashto, tagiki, baluci, nur e altri permette alle insegnanti di lavorare sulla bellezza della diversità e sulla convivenza pacifica. Ed infine, le uscite in città, una decisione non indifferente sapendo che in ogni momento un’esplosione può rovinare non la giornata ma la vita intera. Le uscite fanno parte del metodo: prendere contatto e orientarsi nel mondo esterno, sentirsi parte di una comunità più grande che è la società, conoscere diritti e doveri. Niente che si può dare per scontato in un Paese ancora martoriato dalla guerra. Ma quell’ambiente di pace che ogni giorno gli orfani montessoriani costruiscono possono essere i frutti da cogliere in un futuro diverso dall’Afghanistan del presente.
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