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Diritti / Attualità

Filiera tessile: il salario dignitoso che ancora non c’è. L’appello a H&M dopo le promesse

Una lavoratrice in Bangladesh © GMB Akash per H&M

Gli impegni assunti dalla multinazionale nel 2013 per il pieno riconoscimento dei diritti di oltre 850mila lavoratori sarebbero ancora disattesi. La denuncia della campagna internazionale “Abiti puliti”, che torna a chiedere all’azienda di mantenere la parola

Cinque anni fa, il colosso svedese dell’abbigliamento H&M si era impegnato a garantire entro il 2018 un salario dignitoso a 850mila lavoratori. Ma oggi, “invece di materializzarsi nelle buste paga dei lavoratori, l’obiettivo stesso è scomparso dalla comunicazione aziendale, proprio come i documenti originali sono scomparsi dal sito web”, denuncia la Clean Clothes Campaign. Parte da qui la nuova campagna internazionale “Turn Around, H&M!”, per fare pressione affinché H&M rispetti gli impegni assunti nel 2013 e i diritti dei lavoratori.
“Il prezzo non è correlato alla busta paga”, dichiara l’azienda: la sua politica del fare “moda e qualità al miglior prezzo, in maniera sostenibile” (tramite i marchi H&M, H&M Home, COS, & Other Stories, Monki, Weekday Cheap Monday e Arket) ha fruttato profitti per 2,6 miliardi di dollari nel 2017 e creato “1,6 milioni di posti di lavoro (di cui due terzi femminili) per le persone impiegate dai nostri fornitori in tutto il mondo”.

Ma secondo Dominique Muller di Labour Behind the Label (la Clean Clothes Campaign inglese), rispetto agli impegni assunti nel 2013 sulla dignità salariale, H&M presenta oggi “un quadro molto vago, opaco e non significativo”. Da parte sua, l’azienda dichiara di aver fatto dei passi in avanti nell’elezione democratica dei rappresentanti dei lavoratori nelle fabbriche dei suoi fornitori. “Finora, abbiamo coperto più di 450 fabbriche (che rappresentano il 52% del nostro volume di prodotti) in diversi paesi”, scrive H&M, che starebbe anche implementando “sistemi di gestione salariale trasparenti che facilitino le negoziazioni salariali e salari che tengano conto delle competenze, dell’esperienza e delle responsabilità di ciascun lavoratore”. Un obiettivo cje dice di aver ottenuto finora “in 227 stabilimenti (che rappresentano il 40% del volume dei nostri prodotti) raggiungendo 375mila lavoratori”. Ma i dati sui salari presentati dall’azienda lo scorso aprile, sottolinea Labour Behind the Label, “sono focalizzati sulla differenza tra il salario minimo -che non è mai prossimo ad alcun livello credibile di salario dignitoso- e il salario medio più elevato nelle fabbriche dei fornitori di H&M”.

Per la Clean Clothes Campaign il salario dignitoso nel settore tessile è quello che dovrebbe essere guadagnato in una settimana lavorativa di 48 ore per poter acquistare cibo, pagare l’affitto, l’assistenza sanitaria, l’abbigliamento, il trasporto e l’istruzione, più una piccola quantità di risparmi per gli imprevisti. Secondo l’Asia Floor Wage Alliance (Afwa) i salari di H&M (in Asia, così come in Europa) sono ben lontani dal garantire questi diritti. In Cambogia, ad esempio, i lavoratori di H&M sono pagati in media 166 euro al mese, una cifra superiore rispetto al salario minimo nazionale, ma troppo bassa secondo l’Alleanza, che indica in 396 euro al mese il salario minimo dignitoso. Così, in Indonesia lo stipendio medio mensile di H&M è di 148 euro, contro la stima di 352 dollari di Afwa. In Bangladesh i lavoratori guadagnano 79 euro al mese, “mentre un salario dignitoso dovrebbe essere quasi cinque volte più alto: 374 euro”, dice l’Afwa. E a Bangalore -cuore dell’industria indiana dell’abbigliamento- i lavoratori portano a casa 111 euro al mese, mentre la stima di Afwa è 280 euro.

Inoltre, H&M dichiara di rifornirsi da 1.668 fabbriche in tutto il mondo, che impiegano oltre 1,6 milioni di persone. “Se si considera l’intero processo necessario a produrre un capo di abbigliamento e farlo arrivare al consumatore in negozio o direttamente a casa, stiamo parlando di milioni di persone coinvolte -sottolinea Deborah Lucchetti della Campagna Abiti Puliti-. Non dobbiamo quindi dimenticare tutti gli altri lavoratori che vengono sfruttati nella sua catena di fornitura”.
Così, mentre l’azienda lancia la nuova collezione eco-sostenibile “Conscious esclusive” -realizzata con “econylon” fatto con materie prime 100% rigenerate e argento riciclato proveniente da scarti di metallo- e dichiara che donerà parte del ricavato delle sue vendite a Free & Equal -organizzazione attiva in tutto il mondo per i diritti di genere-, la piena tutela dei diritti dei lavoratori della filiera H&M sembrerebbe però ancora marginale. La campagna “Turn Around, H&M!” (che in tre giorni ha raccolto 75mila firme) vuole rimetterli al centro, per “porre fine allo scandalo dei salari di povertà nella sua catena di fornitura”.

Qui il link per sottoscrivere la campagna, diffusa con gli hashtag #TurnAroundHM e #LivingWageNow.

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