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Riprendersi la nascita
Il parto è un evento naturale che non deve avvenire per forza in un ospedale: in casa nella maggior parte dei casi è altrettanto sicuro. E costerebbe meno “Fuori sta per imbrunire, credo. Non ne sono sicura perché da qualche…
Il parto è un evento naturale che non deve avvenire per forza in un ospedale: in casa nella maggior parte dei casi è altrettanto sicuro. E costerebbe meno
“Fuori sta per imbrunire, credo. Non ne sono sicura perché da qualche ora ho perso la cognizione del tempo. La pressione della testa di Martina che sta per nascere mi fa venire voglia di spingere. Mauri mi tiene le mani. Le stringo e mi danno energia. Ce la stiamo facendo. È una sensazione unica. Anche se brucia, anche se tira tutto. Poi, prima che me l’aspetti, con una spinta Martina scivola fuori e lei e il suo pianto diventano una cosa reale. Due secondi per aspirare il muco, poi Ilaria appoggia la bambina sulla mia pancia e mi aiuta a porgerle il capezzolo. Martina smette di piangere all’istante. Eccola qui mia figlia, finalmente tra le mie braccia”.
Paola è una delle (poche) donne in Italia che hanno scelto di partorire a domicilio. Sua figlia Martina è nata a casa in una splendida serata d’agosto, con l’aiuto delle ostetriche Ilaria Ciofi e Paola Lussoglio, dell’associazione “La Cicogna” di Biella. Paola e Mauri hanno voluto che la loro bambina nascesse lì, perché in casa Paola si sentiva più tranquilla che in una sala parto. Perché desideravano essere loro per primi a prendersi cura di loro figlia, tra i muri di sempre, quelli della vita normale. E anche perché un parto naturale non potrà mai essere facile o indolore, ma in casa è meglio, persino più sicuro. A dirlo non sono puerpere integraliste e fautrici del parto naturale a tutti i costi, ma l’Organizzazione mondiale della sanità: “La donna deve avere la possibilità di partorire in un luogo che sente sicuro, al livello più periferico in cui sia possibile fornire assistenza appropriata e sicurezza. In ordine tali luoghi possono essere la casa, le case maternità, gli ospedali” si legge nelle raccomandazioni dell’Oms in tema di parto. In altre parole, la nascita è un fenomeno naturale e, salvo complicazioni, non c’è ragione di partorire in un letto d’ospedale. È da questi presupposti che all’inizio degli anni 80 sono nati a Firenze, Roma, Milano e Torino i primi gruppi di ostetriche che riportavano in auge il parto in casa. La differenza con il passato stava nella preparazione al parto e nel metodo di assistenza: mentre prima le levatrici andavano nelle case e affrontavano la situazione come la trovavano, le “nuove” ostetriche selezionavano le donne con gravidanze a basso rischio, idonee al parto in casa, sulla base di un protocollo scientifico universalmente riconosciuto dagli esperti del settore, il “protocollo di Kloosterman”. Inoltre avevano una formazione professionale più tecnica e si preparavano al parto con la futura mamma, molto prima del termine. Oggi queste ostetriche hanno fatto scuola, si sono diffuse in varie province italiane (una quarantina di realtà nel Centronord, poche al Sud) e si sono organizzate con l’“Associazione nazionale nascere in casa”. Marta Campiotti è presidente dell’associazione: ha 53 anni e vanta più di 500 parti seguiti in ambito extraospedaliero. Le linee guida di questa nuova generazione di levatrici sono ben precise: alla donna che desidera partorire a casa propria viene garantita la presenza di due ostetriche durante la gravidanza, il travaglio e il puerperio. Dalla 38ma alla 42ma settimana la loro reperibilità è assicurata, a turno, ventiquattr’ore su ventiquattro, anche in caso di improvvisa ospedalizzazione. “C’è però la credenza errata che il giorno del parto sia d’obbligo avere un’ambulanza sotto casa -spiega Piera Meghella, mamma di quattro figli nati in casa e coordinatrice del Movimento internazionale parto attivo (Mipa)- ma si tratta di una falsa informazione, che contribuisce soltanto a rafforzare l’idea che il parto in casa sia pericoloso. Nemmeno in Olanda, dove i parti in casa sono il 38%, è richiesta”. Solo se l’ospedale si trova a più di 40 minuti di distanza viene predisposta un’ambulanza, che rimane presso l’ospedale più vicino, pronta a intervenire. Anche l’ambiente è di poche pretese: qualsiasi casa ben riscaldata, pulita e con acqua corrente è adatta, mentre l’occorrente tecnico viene portato dalle ostetriche allo scadere delle 37ma settimana. C’è di più. L’assistenza a casa continua fino a dieci giorni dopo il parto, con due visite al giorno per i primi cinque giorni e una visita al giorno nei successivi cinque. “La continuità dell’assistenza -spiega Marta Campiotti- garantisce che il rapporto con l’ostetrica sia a misura della futura mamma e la accompagni dalla gravidanza ai primi mesi successivi alla nascita”. Le ostetriche di “Nascere in casa”, per lo più libere professioniste coperte da un’assicurazione a carico loro o della cooperativa o struttura ospedaliera cui fanno riferimento, affiancano la donna attraverso vari momenti: corsi di preparazione alla nascita, visite domiciliari nel periodo del puerperio e dell’allattamento, gruppi di mamme nel primo anno di vita. Tutto molto bello, non fosse che in Italia la gran parte delle gravidanze viene seguita esclusivamente dal ginecologo, privato nel 90% dei casi, e il parto in casa è considerato rischioso. In realtà i risultati delle ultime ricerche condotte in Olanda dimostrano i vantaggi dell’assistenza continuativa alla mamma: la minore incidenza di ospedalizzazione comporta meno spese per la sanità pubblica e il costante sostegno morale alle neomamme riduce l’entità delle depressioni post partum, aumentando le probabilità di allattamento esclusivo al seno. Infine, non ci sono posizioni obbligate, flebo di ossitocina, parti indotti, ventose o forcipi e tanto meno cesarei non necessari (vedi a sinistra). Devono esserci tutte le condizioni indispensabili, valutate dall’ostetrica alla fine della gravidanza. Solo una mamma sana, con una gravidanza compresa tra le 37 e le 42 settimane e un feto in posizione cefalica, può scegliere il parto a domicilio. Se si considera che circa l’85% delle gravidanze ha questo decorso, i parti in casa dovrebbero essere frequenti. Invece in Italia sono meno dell’1%. “Oltre all’ idea sbagliata che possa essere pericoloso, c’è diffidenza dovuta al fatto che il servizio è a pagamento” dice ancora Piera Maghella. Il costo del parto in casa va da 2 a 3mila euro, in molti casi a carico della coppia. In realtà esiste una legge firmata nel 2004 da Giuseppe Palumbo, ginecologo e allora presidente della commissione sanità della Camera, che legittima il parto extraospedaliero quando un ginecologo o un’ostetrica certificano l’assenza di rischi: “Nessuna spesa sarà a carico della partoriente ma del Servizio sanitario nazionale (…) le garanzie di assistenza proseguiranno anche dopo il parto, gratuitamente” dice la legge. Dunque il parto a domicilio dovrebbe essere rimborsato dalle Asl, che risparmiano i soldi del parto ospedaliero. Di fatto, solo alcune regioni lo prevedono: il Lazio, l’Abruzzo, il Piemonte, il Trentino, l’Emilia Romagna, le Marche e la Toscana. Di tutti questi casi, solo il Piemonte, con l’ospedale Sant’Anna di Torino, vanta una struttura ospedaliera che fornisce direttamente un servizio convenzionato per partorire a domicilio. Anche in Lombardia la legge prevede un rimborso per il parto in casa, ma viene disattesa: mentre il parto ospedaliero è completamente gratuito, l’assistenza extraospedaliera è totalmente a carico della coppia. Dunque in Lombardia il parto in casa è un diritto negato. “Questo significa scoraggiare la libera scelta delle donne”, accusa Maria Teresa Vaccaro, avvocato e presidente del Movimento per la difesa del cittadino del Varesotto, che dal 2007 porta avanti con Nascere in casa una campagna per ottenere il rimborso del parto extraospedaliero anche in Lombardia. “Tra l’altro -prosegue Vaccaro- questa operazione favorirebbe il risparmio di denaro pubblico. Un parto in ospedale costa mediamente 4mila euro, il doppio del valore di un’assistenza a domicilio. Lasciare che questi 2mila euro siano a carico della coppia equivale a farne, anziché un diritto, un lusso per pochi”.
Abuso di cesareo
In Canada i ricercatori del British Columbia danno l’allarme perché i cesarei ammontano al 28%. Ebbene, l’Italia è messa anche peggio. Secondo Elisabetta Malvagna, giornalista dell’Ansa, mamma di due bambini nati in casa e autrice di Partorire senza paura (Red! Edizioni, 2008), le italiane non sanno più partorire in modo naturale. I dati parlano chiaro: secondo l’Istat in Italia il numero dei parti cesarei è aumentato esponenzialmente negli ultimi anni, passando dal 29,9% nel 1999-2000 al 35,2% nel 2004-2005. Oggi l’Italia detiene il primato dei cesarei nel mondo occidentale con quasi il 40%, mentre l’Organizzazione mondiale della sanità invita a non superare il 15%. Stando al Rapporto Osservasalute del 2008 nell’ambito materno-infantile, il bisturi in sala parto raggiunge picchi del 50-60% al Sud (Campania 60%; Sicilia 52,4%; Molise 48,9%; Puglia (47,7%; Basilicata 54,4%) mentre al Nord registra valori inferiori ma pur sempre preoccupanti, tra il 24% e il 28%. Non solo: nelle cliniche private in particolare, 7 bambini su 10 nascono col cesareo, al momento del parto una donna su due non ha voce in capitolo, quattro donne su dieci non ricevono informazioni sul loro stato e nel 50% dei casi il motivo del cesareo non viene indicato in cartella.
“Viene il dubbio che alcune strutture utilizzino i rimborsi dei cesarei per risanare i loro bilanci” conclude la Malvagna.
Ci sono anche le "case di maternità"
La via di mezzo tra il parto in casa e il parto in ospedale si chiama Casa di Maternità. È una struttura extraospedaliera e alternativa al domicilio, che mantiene le caratteristiche dell’ambiente accogliente e protetto. Come per il parto in casa, la missione della casa di maternità è affiancare la mamma durante la gravidanza, la nascita e il puerperio, con continuità di assistenza e selezione delle gravidanze a basso rischio. Possono gestire una casa di maternità solo ostetriche specialiste, che lavorano in team di 4-6 per volta. Per i casi di necessità la struttura è collegata a consulenti medici e all’ospedale più vicino. Oltre all’assistenza per gravidanza, parto e puerperio, la casa di maternità offre attività di tipo sociale e culturale, per favorire la condivisione di esperienze umane e multiculturali tra famiglie. In Italia ce ne sono quattro: a Milano, Varese, Como e Bologna.
Info: www.nascereacasa.it, Associazione nazionale “Nascere in casa”; www.mipaonline.com, Movimento internazionale “Parto attivo” (Mipa); www.oirmsantanna.piemonte.it, l’ospedale Sant’Anna di Torino; www.casamaternita.it, la casa di maternità “La via lattea” di Milano; www.nascereacasa.it, quella di Induno Olona (Va)