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Ripartire dopo le crepe: l’Appennino romagnolo dopo il terremoto e l’alluvione

Nella piazza principale di Tredozio (FC) gli edifici storici e la chiesa sono chiusi e inagibili, molti sono destinati ad essere abbattuti e ricostruiti © Cecilia Fasciani

Nel settembre di quest’anno il piccolo Comune di Tredozio (Forlì-Cesena), a pochi chilometri dal Parco nazionale delle Foreste Casentinesi, già segnato in primavera dall’alluvione romagnola, è stato colpito da un terremoto. Tra sfollati, inagibilità e ritardi dei fondi, il racconto di una comunità che non vuole appassire

“Adesso voi vedete Tredozio e sembra un paese normalissimo ma in realtà non c’è niente di normale”. Claudia Pierazzoli fa strada per le vie del piccolo centro dell’Appennino romagnolo (provincia di Forlì-Cesena) colpito dal terremoto del 18 settembre 2023. Una prima scossa di magnitudo 4.8 con epicentro nella vicina Marradi, seguita da quattro scosse di assestamento, una di magnitudo tre, a pochi chilometri dal centro. “Sono stati solo sette secondi ma a molti di noi hanno cambiato la vita”, continua Pierazzoli. Alle 5:20 di mattina si è precipitata in strada con il marito e i due figli. “Sentivo cadere gli oggetti, gli armadi che si aprivano”, racconta. “Ci siamo trovati tutti in piazza al freddo, spaventati e in pigiama”. Passata la paura iniziale, Pierazzoli e il marito sono andati a verificare la situazione nella loro attività, l’unico supermercato del paese. “Una scena spaventosa, era tutto a terra”, racconta Claudia, indicando il suo negozio al piano terra di un grande palazzo storico, ora del tutto inagibile. Da fuori si fa fatica a capire lo stato del palazzo, spiega la commerciante, bisogna entrare per vedere i danni strutturali e le crepe “dove passa una mano”.

Non ci sono state vittime, ma, quando a metà ottobre ci rechiamo sul posto, a Tredozio si respira un’aria sospesa. La scossa sussultoria ha distrutto quasi tutti i camini, ora raccolti in cumuli di macerie ad ogni angolo. Tanti gli edifici dichiarati inagibili e transennati: il Comune, il centro culturale, la scuola, la biblioteca, i palazzi storici dei vecchi signori della zona e la chiesa. A questi si aggiungono le case private. Dei 1.100 cittadini registrati, 158 sono ancora fuori casa, ospitati in ostello e in campeggio, e 116 sono gli immobili danneggiati, spiega la sindaca di Tredozio, Simona Vietina. Dall’ufficio improvvisato nella sua casa aggiunge che “purtroppo questi numeri stanno crescendo man mano che le verifiche continuano”. Camminando per il paese Claudia Pierazzoli indica le case inagibili. Per ognuna c’è una storia: qualcuno si è trasferito da amici o dai genitori, qualcuno invece è già andato via. La casa di riposo è compromessa, e sia gli anziani sia il personale si sono spostati a Faenza. Molte seconde case sono rimaste esattamente come il giorno del terremoto e Pierazzoli teme che alcuni proprietari decidano di non investire nella ricostruzione.

“A oggi otto attività commerciali su dieci hanno dovuto chiudere per inagibilità dei locali -dice Vietina-. Non tutte le strutture da fuori appaiono così danneggiate come in realtà sono perché negli scorsi anni abbiamo fatto moltissimi lavori antisismici”. La scuola ad esempio era stata messa in sicurezza solo due anni prima. Le strutture antisismiche hanno funzionato, spiega la sindaca: “Se il terremoto fosse arrivato di giorno, non ci sarebbero state vittime”. “Adesso però è come un airbag scoppiato, ci hanno consigliato di abbattere e ricostruire da capo”, aggiunge. 

Tredozio era già stata colpita duramente dall’alluvione che si è abbattuta sulla Romagna a metà maggio, provocando numerose frane che avevano chiuso le vie di accesso al paese per una settimana. “Ci siamo attivati e abbiamo fatto debiti per i lavori di somma urgenza post-alluvione, ma c’era ancora molto da fare quando il terremoto ci ha colpiti. Ora abbiamo veramente bisogno di aiuti”, commenta Vietina a metà ottobre, quando, a un mese dal sisma, non era ancora stato annunciato lo stato d’emergenza nazionale che avrebbe sbloccato i fondi per la ricostruzione.

Maria Giulia Caravita (segretaria Protezione Civile), insieme a Clara Parrucci (sfollata e volontaria), e Claudia Pierazzoli, si confrontano all’interno di moduli provvisori della Protezione Civile © Cecilia Fasciani

L’annuncio è finalmente arrivato il 3 novembre, con lo stanziamento dei primi sei milioni di euro. I fondi arrivano, però, con oltre un mese e mezzo di ritardo e devono essere divisi tra i sei Comuni colpiti. Secondo la sindaca di Tredozio non sono sufficienti a coprire tutte le spese: “Dai primi calcoli, solo il nostro Comune avrebbe bisogno di circa cinque milioni di euro per l’assistenza alla popolazione e l’affitto di moduli per le scuole e il municipio”, commenta in seguito alla notizia. A queste si aggiungono molte altre necessità, come ricostruire il resto degli edifici colpiti dal terremoto e dare una risposta veloce alle attività commerciali ancora chiuse. “Auspico che presto il governo stanzi risorse anche per questo”, conclude la sindaca. “Dopo 18 anni di attività, io e mio marito abbiamo abbandonato definitivamente l’idea di poter riaprire il nostro supermercato -riprende Pierazzoli-. Purtroppo il tempo passa e non posso rimanere senza stipendio, ho cercato un nuovo lavoro”. Con l’arrivo dell’inverno molti degli sfollati che ora sono nell’ostello o nei bungalow del campeggio verranno trasferiti in alberghi in altre città. Con i servizi che vengono meno e tanti cittadini costretti a spostarsi, Tredozio sarà un po’ più vuota. 

“Ormai resta in Appenino solo chi può permetterselo -spiega Davide Olori, professore all’Università di Bologna e uno degli animatori del progetto di ricerca sul post-sisma dell’Appennino Centrale Emidio di Treviri-. I disastri naturali rappresentano un acceleratore delle disuguaglianze e dei processi di spopolamento. Chi aveva già qualche ragione, intenzione o la possibilità di spostarsi, è spinto a farlo”. “Qui a Tredozio negli ultimi anni si stava un po’ invertendo la rotta, dopo il Covid-19 mi sono arrivate tante chiamate per cercare case in zona”, commenta Maria Giulia Caravita, segretaria della Protezione Civile. Ci accoglie nel quartier generale da cui, anche in gravidanza, ha coordinato gli aiuti alla popolazione insieme ai volontari. “Ma adesso abbiamo paura che si perda questa spinta positiva e si facciano tanti passi indietro”. Per questo, spiega la sindaca Simona Vietina, la prima preoccupazione dell’amministrazione è stata riaprire subito la scuola. “Il terremoto è stato di lunedì e giovedì i ragazzi erano già in classe nelle tende allestite dentro il centro sportivo, sono stati tempi record”, commenta Claudia Pierazzoli, madre di due figli in età scolare. Il più piccolo, di nove anni, è rimasto piuttosto scosso. “È stato molto spaventoso per i bambini, alcuni hanno ancora attacchi di panico. È importante ridar loro continuità”, prosegue la sindaca.

La psicologa Antonella Liverani dell’Asl di Forlì si è occupata di coordinare il supporto psicologico post-terremoto. “Siamo andati su la mattina stessa”, racconta. Nel mese successivo gli psicologi hanno incontrato anche i genitori, gli insegnanti e gli studenti per accompagnarli nell’elaborazione emotiva del post-sisma. “Reazioni fisiologiche di difesa a un evento traumatico, come stress e attacchi di ansia, non devono essere patologizzate”, spiega. “Tredozio è stata una terra molto resiliente, è fitta di tradizioni e impregnata di storia -conclude Liverani-. Nel post-alluvione si sono attivati parecchio, è stato un modo per convogliare la tensione emotiva. Ma il terremoto li ha inginocchiati”. “Vogliamo mantenere Tredozio più viva possibile -dice Clara Parrucci, sfollata e volontaria della protezione civile e membro della Pro Loco locale-, è un bel paesino collinare dal grande valore culturale, abbiamo ad esempio Palazzo Fantini di metà 600 e i suoi giardini all’italiana”. Da quando il terremoto ha reso il suo appartamento inagibile, Parrucci si trova ospite nella casa di amici. “Di solito a novembre facciamo la Sagra del bartolaccio, il nostro crescione tipico, e anche quest’anno non vogliamo mancare”. E l’impegno è stato raccolto anche dai visitatori, che in oltre duemila hanno partecipato alla sagra nel primo weekend di novembre.

Pochi chilometri oltre il paese, si accede al Parco nazionale delle Foreste Casentinesi. A inizio settembre, Matteo Spada, insieme ai soci Bruce Saggese e Enrico Laghi, aveva inaugurato la nuova gestione del rifugio Casa Ponte presso l’omonimo lago. Dopo quasi un anno di lavoro, il 16 e 17 settembre i primi, e per ora unici, ospiti avevano dormito al rifugio, la mattina dopo il terremoto ha colpito. “Quando mi hanno mandato le foto delle crepe ho capito subito che sarebbe stato inaccessibile” ricorda Spada, che però non ha intenzione di abbandonare il rifugio. “Uno spazio come il nostro è un servizio per la comunità locale e per rendere la bellezza di questi luoghi accessibile anche a chi viene da fuori”. Evitare che gli Appennini si spopolino non è importante solo da un punto di vista culturale, spiega Davide Olori, ma anche per la tutela ambientale. “Abitare la montagna significa anche prendersi cura attivamente della terra -riflette il ricercatore dell’Università di Bologna-. L’equilibrio in termini di biodiversità, di tenuta dei suoli e dei versanti si è costruito sull’Appennino nel corso di millenni, grazie alla presenza della piccola e piccolissima agricoltura e della civiltà rurale. Ora è stato scardinato”. “Siamo una piccola comunità che mantiene vivo un territorio -conclude la sindaca Vietina-. Se questo si spopola, e senza attenzioni dal governo nazionale questo è un rischio concreto, non ci sarà più la regimazione delle acque e la cura della terra. I danni che sono avvenuti con l’alluvione potrebbero essere il doppio, il triplo”. 

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