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Crisi climatica / Approfondimento

Revisione del Piano nazionale per l’energia e il clima, tra limiti e prospettive

Entro giugno 2023 gli Stati dell’Unione europea sono chiamati a inviare alla Commissione l’aggiornamento del proprio Pniec con orizzonte 2020-2030. Si tratta di un documento centrale nella definizione delle politiche e del processo di decarbonizzazione. Il think tank indipendente ECCO spiega a che punto è l’Italia

La scadenza è vicina: entro il 30 giugno 2023 tutti gli Stati membri dell’Unione europea sono chiamati a inviare alla Commissione l’aggiornamento del proprio Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec) con orizzonte 2020-2030. Non si tratta di una scadenza puramente formale quanto invece dello strumento con cui i singoli Paesi identificano politiche e misure da mettere in atto per raggiungere entro il 2030  gli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas climalteranti assunti con l’Accordo di Parigi. La tappa intermedia verso un’economia a emissioni nette zero al 2050.

Il Pniec ha dunque un ruolo chiave per definire la strategia di decarbonizzazione di ogni Paese ma, come sottolinea Chiara di Mambro, responsabile delle politiche di decarbonizzazione del think tank indipendente ECCO, “va ben oltre la dimensione dell’energia e del clima”. Il Piano, infatti, coinvolge tutti i settori dell’economia e della società “ed è lo strumento che permetterà di passare da un mondo nel quale sviluppo e benessere erano strettamente determinati dall’utilizzo dei combustibili fossili a uno nel quale questo legame viene abbandonato progressivamente, nei tempi e nelle quantità definite dalla scienza”, continua Mambro.

In altre parole, determinerà per gli anni a venire il grado di sicurezza energetica e climatica dell’Italia, il livello di accesso all’energia a prezzi equi, di competitività del sistema produttivo, di riqualificazione del lavoro e di rilancio dell’occupazione per il nostro Paese. Una trasformazione di tale portata -sottolinea il think tank– deve poter essere pensata e disegnata “con il coinvolgimento e il contributo di tutti gli attori della società”.

Alle prospettive di revisione del Piano da parte dell’Italia, ECCO ha dedicato un dettagliato rapporto, pubblicato il 16 marzo, in cui evidenzia come nella versione vigente venga dato poco spazio alla decarbonizzazione. Una componente che, invece, dovrebbe essere fare da cornice di riferimento per lo sviluppo del Piano stesso, partendo, in primis, dall’energia, impostando in parallelo le basi per la trasformazione di tutti gli altri settori economici: trasporti, civile, fino ai settori più complessi quali l’industria e l’agricoltura.

“Vediamo il rischio che il nuovo Pniec non riesca a raggiungere un sufficiente livello di ambizione e che venga costruito con metodi ‘tradizionali’ delegando gran parte delle decisioni politiche e strategiche al comparto dell’industria energetica, che non può essere l’interlocutore unico di questo cambiamento -riflette Matteo Leonardi, co-fondatore e direttore esecutivo di ECCO-. Gli interlocutori devono necessariamente essere anche la società civile, il comparto industriale nel suo complesso, oltre che la comunità finanziaria”. L’attuale crisi energetica, infatti, rischia di sovra-rappresentare le problematiche del settore energetico, stabilendo investimenti inutili o potenzialmente dannosi (lock-in). In questo senso, i nuovi investimenti in gas fossile dovranno dimostrarsi necessari rispetto alla futura domanda di metano. Allo stesso modo, lo sviluppo delle opzioni tecnologiche della transizione, come le filiere dei biocombustibili, l’idrogeno e lo stoccaggio del carbonio (Ccus) dovrebbero essere valutate nell’ottica del percorso verso la neutralità climatica al 2050.

Il rapporto individua i tre requisiti minimi attorno al quale dovrà essere sviluppato il nuovo Pniec: utilità, trasversalità ed efficacia. Il primo è un richiamo a rimettere al centro la componente della decarbonizzazione al fine di raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030. Questo “consentirà di intervenire in tutti i settori dell’economia e, anche dove non immediatamente applicabili, individuare le soluzioni che possono abilitare la transizione anche di contesti complessi come l’industria manifatturiera -si legge nel rapporto-. Trascurare questo aspetto rischia di generare ritardi nello sviluppo di un’adeguata politica industriale allineata al percorso di decarbonizzazione”.

Il documento sottolinea poi la necessità di svolgere una valutazione complessiva dei rischi e delle opportunità che le politiche di decarbonizzazione possono avere rispetto al tessuto industriale interessato. Senza dimenticare che l’accelerazione dell’innovazione imposta dalla transizione ecologica può essere anche un’opportunità per la creazione di nuove catene dal valore, nuovi processi e nuovi prodotti. “Questa visione complessiva non rientra nella versione attuale del Pniec -si legge nel rapporto-. Il suo aggiornamento può rappresentare un’opportunità per tracciare gli assi strategici sui quali costruire lo sviluppo di nuove filiere e la gestione di quelle non competitive, in un mercato globale che si sta spostando in maniera decisa verso il clean tech”.

Il secondo requisito riguarda la sua trasversalità: deve cioè essere un Piano “per tutti” dal momento che la sua attuazione andrà a impattare sulla vita di ogni cittadino. Per garantire questa condizione è necessario tenere in considerazione tanto la dimensione sociale (a partire dagli impatti occupazionali e dall’accesso a beni e servizi in linea con gli obiettivi di decarbonizzazione) quanto quella economica. La revisione del Pniec, infatti dovrà affiancare alla traiettoria della decarbonizzazione una strategia per finanziarla, attraverso il ricorso a fondi pubblici e privati (a partire da quelli europei) ma che non può prescindere dalla ri-definizione del ruolo di SACE, Cassa depositi e prestiti e Invitalia “in ottica di ‘banche per il clima’ anche in funzione della necessità di attivare la leva della finanza privata”, sottolinea ECCO.

Terzo requisito, la dimensione partecipativa: come già ricordato il Pniec dovrà garantire il più ampio coinvolgimento delle rappresentanze degli attori a vario titolo coinvolti. Dalle autorità locali alle organizzazioni della società civile, dal mondo delle imprese alle rappresentanze dei lavoratori e fino ai singoli cittadini. “Un dialogo che andrebbe inaugurato nella fase di revisione e garantito nella valutazione periodica della strategia -sottolinea ECCO-. Tale confronto consentirebbe adeguata informazione verso tutte le rappresentanze che, a vario titolo, si troveranno ad attuarlo, come Comuni e Regioni, ma anche i singoli cittadini mediante i loro comportamenti”.

La revisione del Piano nazionale energia e clima è tanto più urgente se si pensa che il testo attuale è “uno strumento ancora poco  efficace nell’assicurare l’attuazione della politica climatica”, si legge nel rapporto di ECCO che ricorda come l’Italia non sia in linea con il raggiungimento degli obiettivi che si è data e il semplice aumento delle rinnovabili nel mix di produzione di energia elettrica non è sufficiente. “Il Piano energia e clima è l’occasione per tracciare una nuova visione del Paese e posizionarlo nel contesto globale, concretizzando la decarbonizzazione. Questo momento di aggiornamento è un’opportunità da sfruttare in tutte le sue potenzialità -conclude Matteo Leonardi-. Il Pniec deve diventare strumento strategico e rappresentare la collettività, raccogliendo una molteplicità di visioni. Solo in questo modo potremo assicurare che il nuovo Piano possa trasformare le esigenze di decarbonizzazione in opportunità di crescita e sviluppo per il Paese, di maggiore benessere per famiglie e imprese”.

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