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Diritti / Inchiesta

Respingimenti alla frontiera con la Slovenia: i dati che smontano gli annunci del governo

Trieste © Francesco Dondi - Unsplash

A fine 2022 il Viminale aveva prefigurato la ripresa delle riammissioni dei migranti, già dichiarate illegittime. Lubiana si è però rifiutata di accettarle nel 90% dei casi. Le autorità di frontiera hanno dovuto perciò virare sui provvedimenti di espulsione: oltre 650 in pochi mesi, di cui 500 a carico di cittadini afghani tecnicamente inespellibili

Le “riammissioni” dei migranti verso la Slovenia annunciate dal governo italiano a fine 2022 sono state un flop. Dati inediti trasmessi dal Viminale ad Altreconomia mostrano infatti che quasi tutte quelle “proposte” dall’Italia tra dicembre 2022 e metà marzo 2023 sono state rifiutate da Lubiana: ben 167 sulle 190 “tentate” dalle autorità di frontiera italiane.
“L’annuncio trionfale delle riammissioni rivela la sua autentica natura -commenta Gianfranco Schiavone, presidente del Consorzio italiano di solidarietà di Trieste e membro della rete RiVolti ai Balcani-: un annuncio politico volutamente vago che celava la consapevolezza che quelle pratiche erano e restano illegali”.

Per comprendere ragioni e proporzioni della bolla propagandistica “esplosa” alla frontiera orientale occorre fare un passo indietro al dicembre del 2022, quando cioè il Viminale diffonde tramite agenzie la notizia di una nuova direttiva finalizzata al “rafforzamento dei controlli sui flussi della rotta balcanica”. Viene prefigurata la ripresa delle riammissioni -cioè dei respingimenti- verso la Slovenia, con tanto di invito rivolto ai prefetti di Trieste, Gorizia e Udine di “adottare iniziative volte a dare ulteriore impulso all’attività di vigilanza sulla fascia di confine”.

Non è il ministro Piantedosi a firmare quella “direttiva” ma la sua capa di gabinetto, la prefetta Maria Teresa Sempreviva. Lo schema sembra voler replicare quanto già visto nella primavera 2020, quando al Viminale c’era Luciana Lamorgese, il suo capo di gabinetto era Piantedosi e il prefetto di Trieste si chiamava Valerio Valenti, appena nominato Commissario governativo “all’emergenza migranti”. Sappiamo come è andata a finire: quasi 1.300 persone riammesse “informalmente”, cioè senza avere in mano alcun provvedimento scritto, tra maggio e dicembre di quell’anno, in forza di una circolare ministeriale a firma di Piantedosi -mai resa pubblica- che si richiamava al contestato accordo bilaterale tra Italia e il Paese di confine datato 1996, mai ratificato dal Parlamento, in contrasto con la Costituzione. Dietro l’espressione burocratica delle “riammissioni” c’erano in realtà veri e propri respingimenti a catena, con le persone, richiedenti asilo inclusi, spostate come pacchi tra le polizie di frontiera, per finire poi scaricate nell’arco di poche ore in Bosnia ed Erzegovina. Nel gennaio 2021, con un’ordinanza di capitale importanza, il tribunale di Roma, per mano della giudice Silvia Albano e sulla base di un ricorso presentato dalle avvocate e socie Asgi Caterina Bove e Anna Brambilla, dichiarò la grave illegittimità di quelle riammissioni-respingimenti, costringendo il Viminale a fare un’imbarazzata marcia indietro: l’Italia aveva consapevolmente esposto le persone a “trattamenti inumani e degradanti” lungo la rotta balcanica e a “torture” in Croazia. E nessuno dei governi che si sono succeduti da allora ha mai riconosciuto il carattere illegale di quelle procedure, come ben racconta anche il film “Trieste è bella di notte” dei registi Andrea Segre, Stefano Collizzolli e Matteo Calore.

Trascorsi nemmeno due anni dall’ordinanza di Roma, a dicembre 2022 arriva come detto l’annuncio della nuova “circolare Sempreviva”, tanto pubblicizzata a bocconi e virgolettati estratti sui media quanto sottratta nella sua interezza all’opinione pubblica. L’accesso civico presentato da Altreconomia nei mesi scorsi è stato infatti negato dal gabinetto del ministro dell’Interno per presunte ragioni di cooperazione di polizia e del “concreto pregiudizio” alla “integrità dei rapporti internazionali” con Slovenia e Austria. Ancora una volta rifacendosi al decreto ministeriale Lamorgese del marzo 2022 che ha dato un colpo durissimo alla trasparenza lungo le frontiere.

I dati ottenuti oggi chiariscono la natura propagandistica di quegli annunci. Ma c’è di più. In questo scenario prossimo alla farsa si inserisce infatti anche Lubiana. Interpellata sulle ragioni del “no” opposto alle riammissioni tentate dall’Italia, la polizia slovena, per bocca del rappresentante Drago Menegalija, ci ha fatto sapere che il “motivo principale del rifiuto di riammissione […] è la mancanza di prove presentate nella richiesta di riammissione alla polizia slovena in relazione al fatto che i migranti avrebbero (precedentemente) soggiornato nel territorio della Slovenia”. Aggiungendo poi che “in base all’accordo tra i Paesi, i rimpatri avvengono continuamente” e che “l’accordo definisce chiaramente i criteri in base ai quali possiamo accogliere solo i migranti che sono entrati in Italia attraverso la Slovenia, che sono stati fermati nella fascia di confine e che non hanno fatto richiesta di protezione internazionale in Italia”.

L’avvocata Caterina Bove aiuta a capire le ragioni del mutato atteggiamento della Slovenia: “Quel Paese non ha alcun interesse a riammettere sul proprio territorio coloro che sono giunti in Italia -spiega-. Il cambio di governo da un lato e l’ingresso della Croazia nell’area Schengen (avvenuto il primo gennaio 2023) dall’altro, consentono ora alla Slovenia di ricoprire un ruolo più ‘leggero’ nel contrasto ai flussi, ricevendo una minore pressione dall’Europa. Questo escamotage le consente di tenere anche i buoni rapporti con l’Italia, senza troppo colpo ferire. Tanto sa che le persone non intendono fermarsi lì”.

La risposta della polizia slovena, pur orientata a preservare le relazioni diplomatiche con l’Italia (“The relations between the police forces of both countries are very good”, si legge nella risposta), fa però trasparire alcuni aspetti importanti. Il primo, secondo Gianfranco Schiavone, è l'”evidente preoccupazione rispetto all’operato della polizia italiana”. “La nota slovena evidenzia infatti come le riammissioni, secondo il diritto interno di quello Stato, non possono avere seguito quando non sia stata provata la provenienza degli stranieri dal territorio sloveno né soprattutto quando gli stranieri abbiano manifestato l’intenzione di chiedere protezione internazionale in Italia. Con tale risposta le autorità slovene mettono una pietra tombale sulla questione, lampante dal punto di vista giuridico, ma mai ammessa formalmente dalle autorità italiane, che è tassativamente proibita la riammissione degli stranieri che intendono chiedere asilo in Italia. L’abnorme numero delle tentate riammissioni chieste da parte italiana, pressoché tutte rigettate, fa emergere un quadro oscuro sull’operato italiano poiché, a seconda degli ordini politici del momento, stranieri che si trovano nella medesima condizione giuridica finiscono per subire trattamenti completamente diversi; così al medesimo cittadino afghano può accadere di accedere alla domanda di asilo oppure di vedersi oggetto di una tentata la riammissione illegittima in Slovenia, o infine essere espulso dall’Unione europea con provvedimento delle autorità italiane benché inespellibile”.

Quella di Schiavone non è una forzatura. Non potendo compiere le riammissioni ordinate dall’alto perché palesemente illegali ma essendo costrette al contempo a dar l’idea del “pugno duro”, le autorità di frontiera hanno dovuto così virare sui provvedimenti di espulsione. Lo dimostrano i dati relativi ai provvedimenti di espulsione e allontanamento trasmessi ad Altreconomia dalla prefettura di Trieste: tra la fine del 2022 e il primo trimestre 2023 ne sono stati adottati oltre 650, di cui oltre 500 a carico di persone in fuga dall’Afghanistan e giunte a Trieste dalla “rotta balcanica”. Un numero impressionante se confrontato con i mesi precedenti e che risponde appunto alla necessità di dar seguito, anche solo sulla carta, alle indicazioni governative. Indicazioni disposte a tutto, anche a negare l’evidente bisogno di protezione di persone tecnicamente inespellibili, e che sollevano forti dubbi sulla corretta attività informativa in tema di diritto d’asilo condotta dalle autorità di frontiera.

Schiavone parla di una dinamica “sconcertante”. “In primo luogo va evidenziata la radicale illegittimità dei provvedimenti di espulsione che sono stati emanati”. Il Testo unico sull’immigrazione prevede infatti che “in nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione”. Di più: la norma aggiunge che “Non sono ammessi il respingimento o l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”. “Questa disposizione è di inequivoca interpretazione dal momento che l’espressione ‘in nessun caso’ rappresenta un divieto assoluto che non ammette eccezioni di sorta -chiarisce Schiavone-. L’indiscutibile condizione di estremo pericolo in cui si trova oggi qualsiasi cittadino afghano che sia fuggito dal suo Paese configura l’assoluta proibizione di emettere nei suoi confronti un provvedimento di espulsione verso il suo Paese. Tutto ciò era pienamente noto alla prefettura di Trieste che però ha agito in contrasto con la normativa e alla quale andrebbe dunque chiesto di fornire precise spiegazioni di tale condotta”.

“Una motivazione che immagino potrebbe essere avanzata da quella amministrazione al fine di sostenere le proprie scelte -non si nasconde Schiavone- è che i cittadini afghani, pur essendo palesemente persone con chiaro bisogno di protezione, non avevano manifestato alle autorità di frontiera la loro volontà di chiedere protezione internazionale in Italia e che, fallita la loro tentata riammissione in Slovenia, l’unica ‘via d’uscita’ per le autorità italiane era stata quella di emettere nei confronti di questi stranieri un provvedimento di espulsione confidando che tutti gli interessati si sarebbero dispersi, come in effetti è accaduto. Una simile motivazione è radicalmente infondata e semmai solleva ulteriori gravi interrogativi su che cosa sia accaduto ancora una volta alla sempre inquieta frontiera italo-slovena nell’inverno 2022-2023. Oltre ai già evidenziati profili di illegittimità dei provvedimenti per inespellibilità degli stranieri verso il loro Paese appare necessario sapere se a quegli stranieri sia stata fornita o no l’assistenza e l’informazione sull’esercizio dei loro diritti che il diritto dell’Unione europea prevede”.

Il presidente dell’Ics di Trieste si rifà al “Manuale comune ad uso delle autorità competenti degli Stati membri per lo svolgimento del controllo di frontiera sulle persone” diramato dalla Commissione europea. È lì dentro, nel cosiddetto Manuale Schengen, che si evidenzia come “un cittadino di Paese terzo deve essere considerato un richiedente asilo/protezione internazionale se esprime in un qualsiasi modo il timore di subire persecuzioni o danni gravi facendo ritorno al proprio Paese di origine o nel paese in cui aveva precedentemente la dimora abituale”. È una sottolineatura importante perché “l’intenzione di chiedere protezione internazionale non deve essere manifestata in una forma particolare”. Non occorre dunque che la parola “asilo” sia pronunciata espressamente: “l’elemento determinante è l’espressione del timore di quanto potrebbe accadere in caso di ritorno”.

Non si può strumentalmente fraintendere l’eventuale silenzio delle persone in transito: “L’attività della polizia di frontiera deve essere orientata perciò a escludere ogni ragionevole dubbio sull’esistenza di una situazione di pericolo verso persone che potrebbero non formulare in modo esplicito la domanda di protezione in modo diretto, perché vogliono ad esempio proseguire il viaggio per raggiungere famigliari o parenti in altri Paesi, come è noto accade per gran parte dei rifugiati che entrano in Italia”, aggiunge ancora Schiavone.

Affinché sia effettivo il diritto di chiedere asilo o protezione alla frontiera (dovrebbe valere via terra così come via mare) e di presentare la relativa domanda il prima possibile, continua il Manuale Schengen, “le autorità di frontiera devono informare i richiedenti, in una lingua che possa essere da loro sufficientemente compresa, delle procedure da seguire (come e dove presentare la domanda), nonché dei loro diritti e doveri, incluse le conseguenze possibili dell’inosservanza dei loro obblighi e di una mancata collaborazione con le autorità”.

Gli fa eco l’avvocata Anna Brambilla: “Che tipo di informativa legale viene fatta a queste persone in arrivo dalla Slovenia e per le quali è adottato un provvedimento di espulsione? Dai dati ottenuti possiamo concludere che delle due l’una: o le autorità italiane non fanno un’informativa adeguata oppure tentano di riammettere nell’altro territorio persone che non dovrebbero essere espulse”.

“Il riferimento all’obbligo di informare gli stranieri delle possibili conseguenze dell’inosservanza dei loro obblighi di cooperazione con le autorità è un elemento cruciale per valutare la corretta condotta delle forze di polizia di frontiera -riprende Schiavone-. Ci sono chiari motivi per ritenere che la condotta della polizia di frontiera terrestre a Trieste nella gestione dell’ammissione al territorio degli stranieri con chiaro bisogno di protezione sia stata impostata su un modus operandi assai lontano rispetto a quello prescritto dalle indicazioni sopra riportate. Non sappiamo come sono stati condotti i colloqui con gli stranieri, se e quanti erano i mediatori in servizio nelle diverse lingue e quale informazione sia stata fornita agli stranieri. Ciò che sappiamo è che nessun osservatore terzo indipendente è mai stato ammesso a quella frontiera e che anche la presenza di funzionari dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati è stata, almeno in alcuni periodi, assai intermittente”.

Quello che è certo è che centinaia di persone alla frontiera hanno affrontato in questi mesi le sorti più diverse. Ma non per l’applicazione di norme -e delle loro relative garanzie- quanto per l’obbedienza a ordini e umori del governo: “La certezza del diritto è totalmente assente -denuncia Schiavone-. Siamo in una sorta di terra di nessuno dove ogni irregolarità diviene sempre possibile e l’arbitrio diventa l’unica certezza”.


Si aprirà giovedì 11 maggio a Trieste, per concludersi il 13 maggio, la nona edizione del Festival Sabir, evento diffuso e spazio di riflessione sulle culture mediterranee nei luoghi simbolo dell’Europa. “Zona di confine, Trieste è geograficamente luogo di incontro e accoglienza, passaggio naturale per chi decide di attraversare la rotta balcanica delle migrazioni”. Qui il programma completo. Ci sarà anche Altreconomia

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