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Diritti / Approfondimento

Il prezzo “pagato” dai richiedenti asilo per l’ingresso della Croazia nell’area Schengen

© Ursula Von der Leyen, Twitter

Il primo gennaio 2023 il Paese ha fatto ingresso ufficialmente nella zona di libero scambio e movimento. L’Ue ha dato l’assenso definitivo nonostante le prove delle violenze su persone in transito e richiedenti asilo ai confini esterni e l’impunità degli agenti. Una “gestione della frontiera” supportata in primis dalla Germania

Al valico di Bregana, tra Croazia e Slovenia, il nuovo anno è iniziato con un gesto storico: la polizia ha tolto i cartelli e per l’ultima volta è stata alzata la barriera che divideva i due Paesi. Per celebrare l’ingresso croato nell’area Schengen è stato installato un cartello con la scritta “libero passaggio” a simboleggiare la fine dei controlli alle frontiere. Non per tutti, però. Lo sanno bene i migranti e richiedenti asilo che hanno pagato il prezzo più alto, fatto di violenze e soprusi ai confini con Serbia, Ungheria e Bosnia ed Erzegovina, dell’adesione croata allo spazio unico europeo. “Nel corso degli anni, le istituzioni dell’Ue hanno ripetutamente chiuso un occhio di fronte a prove schiaccianti di violazioni sistematiche dei diritti umani alle frontiere esterne -hanno sottolineato a inizio dicembre 2022 otto organizzazioni umanitarie tra cui Human Rights Watch e Amnesty International-. Sono state premiate le tattiche ‘pesanti’ che hanno rafforzato i confini e impedito alle persone in cerca di protezione di entrare sul territorio europeo”.

L’adesione al Codice frontiere Schengen, formalmente avvenuta il primo gennaio 2023, richiede come prerequisito il rispetto del diritto dell’Unione europea, compresa la Carta dei diritti fondamentali e la Convenzione sui rifugiati in cui è previsto proprio il principio di non respingimento. “Ma la Croazia negli ultimi anni ha costantemente negato l’accesso al suo territorio ai richiedenti asilo con espulsioni collettive e violenti pushback”, osservano le Ong. Il Border violence monitoring network (Bvmn) dal 2016 a dicembre 2022 ne ha registrati 878 per un totale di più di 10mila persone in movimento coinvolte. Nel 90% dei casi si registrano forme di tortura o trattamenti degradanti tra cui l’uso di armi da fuoco, spoliazione forzata e violenza sessuale. Il 39% erano minorenni e nel 59% dei casi le persone hanno richiesto asilo. Tra i casi registrati un “numero significativo” di queste riguardavano respingimenti a catena attraverso più Paesi: anche dall’Italia, a seguito delle riammissioni al confine italo-sloveno che a dicembre il ministro Matteo Piantedosi ha annunciato di aver riattivato. Il Bvmn ha anche raccolto una testimonianza di un ragazzo di 13 anni costretto a spogliarsi come “punizione” per aver cercato protezione in Europa. Questo è l’angosciante contesto in cui si inserisce l’ingresso croato nell’area Schengen. Ma l’occhio socchiuso delle istituzioni europee non è frutto di una svista. 

Uno dei principali Paesi che ha sostenuto l’ingresso croato nello spazio Schengen è stata la Germania. “Un supporto sia politico sia logistico soprattutto per quanto riguarda la gestione dei confini, rispetto a cui Berlino si è impegnata per aiutare il Paese a colmare le lacune e le carenze tecniche individuate dalla Commissione europea”, osservano il Bvmn e l’Ong Pro Asyl che nel dicembre 2022 hanno pubblicato una dettagliata inchiesta sul flusso di fondi e strumentazioni destinati dal governo tedesco al quartier generale del ministero dell’Interno di Zagabria. Dal 2016 a giugno 2021 in totale più di 2,8 milioni di euro tra veicoli, termocamere, strumenti di sorveglianza tecnologica a cui si aggiungono circa 442mila euro per 87 sessioni di formazione degli agenti di frontiera croati e la presenza di almeno 24 poliziotti tedeschi oltre a quelli coinvolti nelle operazioni di Frontex, l’Agenzia che sorveglia le frontiere esterne europee. Un supporto materiale ed economico dai risultati preoccupanti. 

Tra questi, un dato rilevante secondo gli autori dell’approfondimento, è il ruolo di primo piano rivestito dalle autorità tedesche nella formazione della cosiddetta Intervetion police: nei cinque anni presi in esame questo corpo speciale ha ricevuto più di 158mila euro di donazioni in attrezzature e oltre 47mila euro in corsi di formazione. “Whistleblowers e indagini hanno confermato il coinvolgimento della polizia di intervento nei respingimenti violenti e illegali al confine croato, oltre che di aver preso parte all’operazione ‘koridor’ attiva dal 2017 e in parte finanziata da fondi Ue”. Un’operazione nata con l’obiettivo di “fermare” l’immigrazione, “catturando” i potenziali richiedenti asilo.

Tra le sessioni di formazione svolte per questo corpo speciale della polizia croata alcune riguardano l’unità K9 che vede gli agenti accompagnati da cani addestrati. Gli stessi che ritornano più volte nelle testimonianze di respingimento delle persone in movimento raccolte negli ultimi anni dal Bvmn. Ancora: nel 2021 un momento di addestramento è stato dedicato alle modalità di utilizzo del manganello “tonfa”. Lo stesso che, nell’inchiesta realizzata da Lighthouse report e altre testate giornalistiche che hanno registrato 14 operazioni di respingimento al confine con la Bosnia ed Erzegovina, viene utilizzato dagli agenti per colpire le persone. 

Dal quartier generale della polizia federale croata nel 2020 hanno dichiarato che la polizia tedesca è poi un “partner chiave e strategico attraverso finanziamenti e supporto professionale”, e da Berlino, nonostante le numerose accuse, più volte funzionari del governo hanno preso le parti di Zagabria. Nel 2019 l’ambasciatore tedesco aveva accusato Amnesty International di “mancanza di prove” rispetto a uno dei primi report che svelava le violenze degli agenti croati. “La relazione tra Croazia e Germania non è mai stata così forte”, aveva detto allora Robert Klinke. 

Occhi “bendati” sia a Berlino e sia a Bruxelles anche per quel che riguarda il ritardo dell’implementazione di un un meccanismo di monitoraggio dei diritti dei rifugiati e dei migranti. Finanziato nel 2018, ha visto la luce solo nel luglio 2021 a seguito della firma di un ulteriore accordo con la Commissione europea, con un progetto pilota di un anno. “Dall’accordo è chiaro che questo meccanismo non sarà né trasparente né indipendente e quindi estremamente inefficace -ha spiegato Maddalena Avon, attivista del Centro studi per la pace di Zagabria e già membro del programma asilo e integrazione-. Sarà il ministero dell’Interno croato a controllare le eventuali violazioni perpetrate dal corpo di polizia”. Non solo. Il meccanismo è reso “del tutto inefficace” perché le visite di monitoraggio che saranno effettuate al di fuori delle stazioni di polizia e ai valichi di frontiera ufficiali “dovranno essere annunciate in anticipo dal corpo di monitoraggio”. Il 90% delle violazioni dei diritti umani avviene proprio in quei luoghi. “L’unico scopo della Commissione europea è che questo meccanismo esista esclusivamente sulla carta” spiega l’attivista. Il progetto pilota non è stato prorogato. Secondo il Comitato per la prevenzione della tortura del Consiglio d’Europa il ministero dell’Interno croato ha rigettato il 90% delle denunce di violenze da parte degli agenti croati.

Ora che è scattato l’ingresso in Schengen, le Ong chiedono proprio di ripartire dalla riforma di questo meccanismo di controllo per renderlo “indipendente ed efficace” oltre che da una maggiore collaborazione del governo croato “con con gli organi di controllo dei diritti umani delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa”. Altro che “nuovo” inizio per le persone in movimento sulla rotta balcanica, l’ingresso della Croazia in Schengen rischia di essere l’ennesimo déjà vu.

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