Diritti / Opinioni
“Renzi saudita”: un deficit democratico che ci riguarda
Il legame dell’ex premier con l’Arabia Saudita non ha suscitato reazioni adeguate. L’Italia non crede nella dottrina dei diritti umani. La rubrica di Lorenzo Guadagnucci dal numero di marzo di Altreconomia in uscita
Da una parte Matteo Renzi, dall’altra Mohammad bin Salman, figlio di re Salman dell’Arabia Saudita ed erede designato al trono. Seduti, uno di fronte all’altro, in uno studio televisivo. Il primo, ex presidente del Consiglio politicamente decaduto ma ancora attivo; il secondo, a soli 35 anni, già padrone di fatto del suo Paese, l’autocrazia forse più oscurantista e feroce del Pianeta. Il video che documenta la loro conversazione, nell’ambito della “Davos del deserto” voluta del regime per legittimarsi sulla scena globale, ha sorpreso e scandalizzato. Soprattutto per le surreali affermazioni del senatore fiorentino. Renzi ha parlato del regime di Riad -una dittatura petrolifera asfissiante- come prossimo protagonista di un “nuovo Rinascimento” che avrebbe al centro nientemeno che la fioritura delle città saudite. In un altro passaggio, il senatore a suo tempo inventore del Jobs Act ha lodato il “basso costo del lavoro” in Arabia Saudita, Paese noto per le angherie inflitte a milioni di lavoratori stranieri.
La grottesca conversazione ha esposto Matteo Renzi a un’infinita serie di sbeffeggiamenti ma niente è accaduto sul piano politico. Finita la registrazione, il senatore è rientrato in Italia su un jet privato fornito dal ricchissimo padrone di casa e ha tranquillamente partecipato alle consultazioni al Quirinale, dove ha certificato l’abbattimento del governo Conte. E a chi ha fatto notare il possibile conflitto di interessi del senatore, membro (a pagamento) di Future investment initiative, la fondazione creata dal principe saudita per migliorare la propria compromessa immagine sulla scena globale, Renzi ha replicato che il codice etico del Senato consente ciò che ha fatto.
15 sono i membri delle forze speciali e i funzionari dell’intelligence saudita arrivati a Istanbul la mattina del 2 ottobre 2018 che, secondo le ricostruzioni più accreditate, avrebbero eseguito l’omicidio del giornalista dissidente Jamal Khashoggi
Il caso potrebbe chiudersi così, con la prova definitiva del provincialismo dei nostri leader politici e della loro pochezza sulla scena internazionale, dove le gaffe di Renzi non sono certo sfuggite. Ma c’è anche qualcosa di più profondo. Altrettanto grave dell’imbarazzante performance renziana, è stata la mancata reazione dell’opinione pubblica. In altri Paesi democratici, un’esibizione del genere avrebbe compromesso la carriera di qualunque politico, in Italia non si è nemmeno ipotizzato di aggiornare il codice etico del Senato. E d’altra parte l’ex premier ha potuto addirittura “rivendicare” a mezzo stampa l’intemerata di Riad come atto di cosciente e avanzata politica estera, senza che gli intervistatori lo mettessero alle strette ricordandogli con la dovuta insistenza, per esempio, il caso del collega giornalista Jamal Khashoggi, ucciso e fatto a pezzi il 2 ottobre 2018 nel consolato saudita di Istanbul da un commando di 15 agenti dei servizi segreti partiti appositamente da Riad. Un omicidio del quale il giovane principe è considerato il mandante (almeno) morale.
Il caso Renzi-MbS ha messo a nudo una cruda verità: l’Italia è strutturalmente incapace di affermare una sua dottrina dei diritti umani. È una dottrina nella quale il nostro Paese in verità non crede, nonostante le enunciazioni di principio. Non ci crede la politica, non ci crede il giornalismo, succube più che mai del potere costituito. Il “Renzi saudita”, come l’infelice gestione politico-diplomatica del caso Regeni, per non dire delle consolidate “politiche dell’immigrazione” derivano da questo deficit democratico. La scelta compiuta dal morente governo Conte pochi giorni dopo il duetto Renzi-MbS, con la cancellazione delle forniture di armi a Riad, sembra andare controcorrente. Il tempo dirà se siamo di fronte all’inizio della risalita dagli abissi del cinismo e dell’irrilevanza.
Lorenzo Guadagnucci è giornalista del “Quotidiano Nazionale”. Per Altreconomia ha scritto, tra gli altri, i libri “Noi della Diaz” e “Parole sporche”
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