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Protezione umanitaria e “decreto Salvini”: la sentenza della Cassazione spiegata bene
La Corte ha riconosciuto che l’abrogazione del permesso per motivi umanitari voluta dal governo riguarda solamente coloro che hanno fatto domanda di asilo dopo il 5 ottobre 2018, data di entrata in vigore del provvedimento. Gli effetti sulla pubblica amministrazione e sull’accoglienza. Intervista all’avvocato Livio Neri, socio di ASGI
Il 19 febbraio è stata depositata una sentenza della Corte di Cassazione (Prima sezione civile, 4890/2019) che riguarda molto da vicino il cosiddetto “decreto Salvini” (DL 113/2018). In particolare, quella norma del provvedimento che ha cancellato di fatto la protezione umanitaria. Le 22 pagine firmate dai giudici Maria Acierno (estensore) e Stefano Schirò (presidente) -la decisione della camera di consiglio risale al 23 gennaio 2019- rappresentano in qualche modo uno “spartiacque” importante nel quadro stravolto dall’intervento governativo. L’avvocato Livio Neri, socio dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi, www.asgi.it), spiega perché e ragiona sugli effetti del pronunciamento della Corte.
Avvocato Neri, partiamo dall’inizio, ovvero dalla “questione” esaminata.
LN La questione che era sottoposta alla Corte di Cassazione era quella del carattere “intertemporale” della norma contenuta nel decreto legge 113 che abrogava il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Bisognava cioè capire se quell’abrogazione aveva effetti immediati con l’entrata in vigore del decreto anche per le procedure pendenti oppure se riguardava solo le domande di protezione internazionale che venivano proposte dopo l’entrata in vigore del decreto, dopo il 5 ottobre 2018. La risposta che ha dato la Cassazione -e che peraltro si conforma a tutta la giurisprudenza di merito, ovvero Tribunali e Corti d’Appello che si sono pronunciati in questi mesi- è appunto la seconda: l’abrogazione del permesso per motivi umanitari rileva solamente per quelli che hanno fatto domanda dopo il 5 ottobre scorso.
Su quali elementi si è concentrata la Corte?
LN I presupposti sono due. Il primo: nel codice civile (art. 11 delle preleggi) è prevista una norma per la quale la legge dispone solo per l’avvenire e non regola quindi vicende passate. È il principio della irretroattività. Nel diritto civile -contrariamente a quello penale- questo principio non è inderogabile. Cioè la legge può, a certe condizioni, regolare vicende diciamo così “concluse” e intervenire sul passato, però deve farlo espressamente e rispettando alcuni principi. In questo caso la legge non lo ha fatto: non c’è nessuna norma nel decreto Salvini che abbia una “volontà” di essere retroattiva.
Il secondo punto fermo, del tutto pacifico, è che questo tipo di procedimento (l’esame della domanda) è tecnicamente ricognitivo. Cioè le commissioni territoriali o il tribunale non “costituiscono” un diritto, non è la decisione amministrativa o giudiziale che costituisce il diritto alla protezione internazionale o al permesso per motivi umanitari. Quindi l’autorità amministrativa o giudiziaria “accertano” che quando la persona ha fatto la domanda di protezione aveva diritto a che gli fosse riconosciuta. Questo significa che non avrebbe senso -anzi, sarebbe “irragionevole”- dare una risposta positiva al permesso per motivi umanitari da parte della commissione che è stata rapida e ha deciso dopo un mese, magari a settembre o ad agosto, su una domanda presentata alcuni mesi prima, e invece non darlo -perché intervenuta questa legge- da parte della commissione che ha impiegato un anno e che magari invece il mese scorso ha deciso che la protezione umanitaria non esiste più e quindi non può essere riconosciuta.
Qual è la portata del principio di irretroattività?
LN La questione giuridica è molto complessa e difficile da sintetizzare. In due parole riguarda il cosiddetto “fatto generatore”, tema elaborato in dottrina dagli studiosi di diritto costituzionale e civile. Qual è cioè il fatto generatore del diritto? In questo caso sono quelle vicende che hanno in qualche modo reso vulnerabile la persona che fa domanda di asilo. E quindi non si può intervenire oggi con una norma modificando la disciplina che consegue a quel “fatto generatore” che è passato, anche se riguarda una vicenda che non può dirsi del tutto conclusa nel passato.
Quali sono gli effetti di questa sentenza?
LN Chiariamoci: questa è una decisione che non contraddice l’interpretazione più diffusa e quasi del tutto consolidata e granitica dei Tribunali e delle Corti d’Appello. Anzi, con motivazioni simili, questi ci erano già arrivati da subito, da pochi giorni dopo l’entrata in vigore del decreto legge. Quindi poco cambierà nella giurisprudenza, salvo sporadiche eccezioni di alcune Corti. Da questo punto di vista possiamo dire “Avevamo ragione noi”.
Dove invece la sentenza si farà “sentire”?
LN Quello che deve accadere, al contrario del piano giurisprudenziale, è che anche l’autorità amministrativa prenda atto di questo. La pubblica amministrazione deve applicare la legge e deve applicarla come interpretata dalla giurisprudenza, cioè non può interpretarla in modo del tutto autonomo senza che la giurisprudenza della Cassazione -il giudice di legittimità- possa influenzare la sua interpretazione. Quindi le commissioni territoriali non possono far finta che questa decisione non ci sia. Se oggi esaminano la domanda di asilo presentata mesi fa -prima del 5 ottobre 2018- devono poter riconoscere anche la protezione umanitaria. E questo invece le commissioni territoriali non l’hanno più fatto dal 5 ottobre, ritenendo che quella norma avesse invece effetti retroattivi. Sono stati smentiti prima dai Tribunali di tutta Italia e oggi dalla Corte di Cassazione, con una sentenza importante proprio per come è motivata. Spero che la pubblica amministrazione non voglia continuare a decidere come se non esistesse più la protezione umanitaria anche per chi ha fatto domanda prima.
Perché?
LN Perché tutti farebbero ricorso e tutti lo vincerebbero, fino appunto in Cassazione.
Risultato?
LN Qualcuno dovrà rispondere dei danni causati alle persone e all’erario. Tutti ci lamentiamo del fatto che la giustizia costa, ma se è la pubblicazione amministrazione, per prima, a costringere ad azioni giudiziarie, in contrasto con l’interpretazione delle leggi data dalla Cassazione, allora quei funzionari pubblici dovranno rispondere del costo della giustizia di questi anni. Per essersi cioè posti così in contraddizione con la Corte.
Sul fronte dell’accoglienza invece che cosa comporta la sentenza?
LN Premetto che questo non era un tema affrontato dalla Cassazione perché altri erano i profili sottoposti, ma certamente c’è una connessione fortissima. Fino ad oggi l’amministrazione pubblica ha dato per scontato che ad esempio i titolari di permesso per motivi umanitari non avessero più accesso all’ex SPRAR. Da oggi forse anche questo va messo in discussione perché i principi di cui sopra sono gli stessi. La Cassazione dice in sostanza che si applica la normativa vigente al momento della domanda di asilo. Bene, lo stesso principio vale anche per la domanda di accoglienza, proposta contestualmente alla domanda di protezione internazionale, negli stessi moduli, tramite la dichiarazione di mancanza di mezzi di sostentamento sufficienti. Dunque quella richiesta di accoglienza va valutata con le leggi di allora e che prevedevano pacificamente l’accoglienza nello SPRAR, per un certo periodo, anche dei titolari di protezione umanitaria.
E invece le prefetture…
LN Lo negano e rifiutano l’accoglienza ai titolari di protezione umanitaria, i quali cessano l’accoglienza nei CAS dove fino ad allora erano in attesa di collocamento nello SPRAR. La pubblica amministrazione, i prefetti e il Servizio centrale SPRAR, infatti, ritengono che queste persone non possono essere collocate nel Sistema di protezione e ne dichiarano cessata anche l’accoglienza nei centri “straordinari”.
In un passaggio della sentenza, la Cassazione afferma la “intima connessione” del permesso umanitario con “il diritto d’asilo costituzionale”, qualificandolo di nuovo quale “diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale”. Come si pone questa definizione in relazione alla scelta governativa di cancellare la protezione umanitaria?
LN Quello che si sta sostenendo da alcuni mesi è che possa essere ritenuta incostituzionale la norma che l’ha abrogato. Ora però, proprio per come ha deciso la Cassazione, la questione non si può porre, perché non è rilevante. Se io oggi ho una persona a cui viene negata la protezione umanitaria, alla luce di questa sentenza, so che posso andare in Tribunale e ottenerla. Quindi il Tribunale non potrà fare un’eccezione di incostituzionalità perché in quel caso la legge che si applica è quella “vecchia”, ci dice la Cassazione.
E un domani?
LN Quando la domanda sarà invece presentata dopo il 5 ottobre 2018 forse si potrà sollevare l’eccezione di incostituzionalità della norma che ha abrogato il permesso per motivi umanitari. E questa è un’opzione. L’altra opzione è quella che invece i tribunali ritengano non incostituzionale questa norma perché direttamente vigente e applicabile l’articolo 10 comma 3 della Costituzione, il cosiddetto “asilo costituzionale”.
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