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Preparati e motivati, una ricerca fotografa chi “agisce l’accoglienza” in Italia

© Belinda Fewings - Unsplash

Realizzata da Anci, Cittalia e dal dipartimento di Scienze della formazione dell’Università degli Studi di Roma Tre, traccia un interessante identikit dei lavoratori del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai): sono donne, giovani e istruite. E quasi il 50% è impiegata in progetti in aree interne

Quella dell’operatore dell’accoglienza per richiedenti e titolari di protezione internazionale in Italia è “connotata da un elevato grado di complessità” e da una costante necessità di “aggiornamento, approfondimento e capacità trasversali”. E i diretti interessati esprimono la necessità di un maggiore riconoscimento pubblico della propria figura professionale.

È quanto emerge dalla ricerca “Agire l’accoglienza” dedicata proprio ai lavoratori del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) elaborata dall’Anci, dalla sua fondazione Cittalia e dal dipartimento di Scienze della formazione dell’Università degli Studi Roma Tre, la cui sintesi è stata illustrata il 9 maggio presso il rettorato dell’ateneo.

“In vent’anni abbiamo assistito a una professionalizzazione di queste figure che, grazie a formazione continua e a una forte spinta motivazionale, hanno elaborato competenze specifiche”, spiega Marco Accorinti, docente del dipartimento della terza università romana, che ha curato la ricerca insieme a Monia Giovannetti, responsabile del dipartimento Studi e ricerche di Cittalia. La ricerca, continua Accorinti, “è nata con una finalità descrittiva: l’università ha interesse a capire qual è il fabbisogno in termini di formazione” e l’Anci qual è “il ruolo degli operatori del Sai nell’ambito del sistema di welfare locale”. Fin dal 2002, infatti, quando è stato istituito il fu Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) -trasformato in Siproimi nel 2018 e poi in Sai dal 2020-, il ministero dell’Interno ha affidato all’Anci la gestione del “Servizio centrale” con funzioni di informazione, monitoraggio e assistenza tecnica agli enti locali.

Oggi il Sai conta su un totale di 934 progetti, quasi 44mila posti in accoglienza ufficiali, 1.800 Comuni coinvolti e circa 10mila persone impiegate. Per la ricerca ne sono state interpellate quasi 1.200, con una rappresentatività statistica che rispecchia tutte le figure professionali coinvolte, dai coordinatori di équipe agli operatori, la maggior parte delle quali attraverso un questionario strutturato (1.033) e in misura minore con interviste qualitative e gruppi di discussione. Ne è emerso un interessante identikit: sono soprattutto lavoratrici (70,9%), per la maggior parte nella fascia di età tra i 25 e i 44 anni (75%). Il 64,7% lavora per enti del Terzo settore, mentre quasi un terzo per imprese private e solo il 6% per soggetti pubblici. Il livello di studi è alto: il 76% è laureato e la metà ha conseguito titoli di secondo livello come master e dottorati di ricerca. Nonostante questo, solo l’11% ritiene che il proprio percorso di studi abbia fornito nozioni pratiche utili, che invece vengono apprese soprattutto con formazione ed esperienze sul campo. La quasi totalità “reputa vi sia corrispondenza tra la mansione svolta e la propria competenza professionale”, tuttavia, il 62% ritiene di fare più dei compiti assegnati.

Il contesto è quello di un settore professionale che richiede capacità multidimensionali: “Oltre agli aspetti materiali dell’accoglienza quotidiana, l’operatore deve possedere le competenze necessarie a offrire a persone di diversa provenienza culturale servizi di orientamento, informazione, accompagnamento e assistenza, mirati a innescare processi di inserimento e inclusione sociale, favorendo le azioni di integrazione e sviluppo sul territorio in cui la persona vive”, emerge dalla ricerca. Non solo. Gli operatori devono “rimanere aggiornati sul mutevole quadro normativo e geopolitico di riferimento”. In questo quadro, circa il 40% degli intervistati ha manifestato il bisogno di ricevere maggiori informazioni e strumenti. Per Giovannetti, “il lavoro sociale comporta sempre una forte responsabilità, ma quello verso i richiedenti asilo e i rifugiati lo è in modo particolare, sia per l’approccio estremamente multidisciplinare che richiede sia per l’impegno e il coinvolgimento necessari. Ci troviamo di fronte a professionisti caratterizzati da una forte spinta motivazionale”.

La ricerca indaga anche quest’ultimo aspetto. Tre i gruppi individuati: i principi personali, la volontà di mettere in pratica quanto appreso durante gli studi e la casualità correlata al proprio vissuto lavorativo o formativo. A fronte di questo grado di coinvolgimento, la ricerca evidenzia una generale soddisfazione per il proprio lavoro, anche se oltre il 63% ritiene che il trattamento economico non sia adeguato al ruolo svolto, dato che però è in linea con ricerche nazionali in altri settori lavorativi, come sottolinea la sintesi. Quello dell’operatore dell’accoglienza, infine, non è un lavoro di passaggio: oltre la metà delle persone interpellate ha maturato più di cinque anni di esperienza, mentre il 42% ha dichiarato che non si tratta di una scelta temporanea.

Infine lo studio analizza l’impatto sul territorio: la presenza di questi lavoratori è concentrata in Sicilia, Puglia, Lombardia, Piemonte, Campania e Calabria, in linea con la distribuzione dei progetti. Non solo. Analizzando i dati anagrafici di queste persone emerge che sono rimaste a lavorare nei territori d’origine. “Si tratta di figure professionali cruciali non solo per la capacità di presa in carico dell’accoglienza, ma anche per quella di mediazione sociale e istituzionale, e per la creazione di reti con i vari attori del territorio”, aggiunge Giovannetti. Che ricorda: “Quasi il 50% dei Comuni coinvolti è sotto i 5mila abitanti e il 45% afferisce ad aree interne. Queste persone decidono di restare a lavorare in territori considerati fragili”. La ricerca completa verrà pubblicata integralmente a giugno sul sito di Roma TrE-Press. Il 18 luglio, conclude Accorinti, “la presenteremo alla conferenza nazionale degli operatori che si terrà a Roma Tre per confrontare i dati della ricerca con la loro esperienza diretta”.

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