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Diritti / Approfondimento

“Più fuori che dentro”: lo stato precario dell’accoglienza a Milano

Il Naga ha condotto un’indagine sul nuovo sistema basato sui Sai. Emergono profonde carenze sui territori e difficoltà ad accedere a casa, corsi di formazione e borse lavoro. Nel capoluogo lombardo circa seimila senza fissa dimora sono giovani stranieri

Richiedenti asilo e persone senza fissa dimora non dovrebbero avere molto in comune. Oggi invece le due condizioni sociali spesso combaciano, accentuando lo spazio di marginalità che viene loro riservato dalle istituzioni. A Milano le persone senza fissa dimora sono aumentate e sono per lo più stranieri sotto i 35 anni, spesso migranti beneficiari di una protezione. È quanto denuncia il rapporto pubblicato il 16 dicembre “Più fuori che dentro” dell’Osservatorio del Naga, storica associazione milanese che dal 1987 fornisce assistenza sanitaria, sociale e legale ai cittadini stranieri.

L’Osservatorio ha condotto un’indagine sul nuovo sistema di accoglienza, messo a punto dal “decreto Lamorgese” di dicembre 2020, basato sui Sai (Sistema accoglienza e integrazione), gli ex Sprar, concentrando poi l’attenzione sulle strategie messe in campo dal Comune di Milano per dare un letto ai senza fissa dimora, condizione che sempre più spesso richiedenti asilo e rifugiati si trovano a dover affrontare all’uscita dai centri (Sai, ex Sprar). Dopo che il decreto Salvini del 2018 aveva smantellato il sistema degli Sprar, il decreto Lamorgese ha tentato di ripristinarlo per garantire un’accoglienza unica e diffusa.

Come ha raccontato alla presentazione del rapporto Emilia Bitossi, volontaria del Naga, “l’introduzione del sistema Sai ha cambiato positivamente la situazione perché ora l’articolazione dell’accoglienza non è più in base allo status giuridico della persona ma in base alla funzione di accoglienza”. Questo significa che oggi richiedenti asilo e titolari di protezione hanno entrambi diritto ai servizi di seconda accoglienza e devono essere accolti dai Sai, eliminando così la discriminazione imposta dal sistema salviniano Siproimi, che limitava l’accoglienza dei richiedenti asilo ai Centri di accoglienza straordinaria (Cas). Centri che oggi invece si mira a eliminare gradualmente.

Ma le leggi non hanno un riscontro nei fatti perché i Sai sono ancora un sistema debole e minoritario. Tra i molti problemi individuati dal Naga c’è il criterio di volontarietà con cui i Comuni decidono di aprire i centri, che implica una loro forte carenza sul territorio. “In Lombardia non bastano a soddisfare le richieste di ingresso dei titolari di protezione. Quindi a maggior ragione non c’è posto per i richiedenti”, si legge nel rapporto. Inoltre la discriminazione tra titolari di protezione e richiedenti asilo non è del tutto eliminata, visto che esistono ospiti Sai “di serie A e di serie B”: i richiedenti asilo non possono accedere ai corsi di formazione e alle borse lavoro, cosa che li espone più facilmente a condizioni di sfruttamento lavorativo, inasprite con gli anni della pandemia. In più le risorse destinate dallo Stato ai Sai sono scarse: il numero degli operatori non è proporzionale agli utenti e mancano completamente strutture adeguate alle persone vulnerabili, con problemi psichiatrici, che negli ultimi anni sono aumentate.

Ma il problema maggiore riscontrato dall’Osservatorio del Naga è l’uscita dai Sai e, in particolare, la questione abitativa. Il motivo più frequente per il quale le persone escono dai Sai è la “decorrenza dei termini”, non il raggiungimento dell’autonomia, cosa che sottolinea l’inefficacia del sistema la cui breve durata dei progetti -di sei mesi con possibile proroga di ulteriori sei mesi- non consente il raggiungimento di una stabilità. Al termine del periodo “tutto quello che è stato fatto fino a quel momento va perso perché la persona con cui ho fatto un progetto per un anno e mezzo si ritrova spesso in mezzo ad una strada”, si legge in una testimonianza di un operatore Sai intervistato dall’Osservatorio: c’è forte carenza di edilizia popolare e social housing e il mercato abitativo milanese è al di fuori della portata dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Ecco perché il Naga ha scelto di concentrare il resto dello studio sulle persone senza fissa dimora. Secondo i dati della Fondazione Rodolfo de Benedetti, a Milano sono circa seimila, lo 0,2% della della popolazione, e la maggior parte è composta da giovani stranieri. Insieme all’associazione Mutuo Soccorso Milano, nell’ambito del progetto Drago Verde, i volontari del Naga hanno monitorato la situazione nelle diverse zone di Milano nel corso degli ultimi due anni, richiedendo inoltre al Comune i dati sul “Piano freddo” per condurre delle analisi sui servizi riservati ai senza fissa dimora durante i mesi invernali. L’amministrazione comunale tuttavia a oggi non ha ancora fornito le informazioni che dovrebbero essere accessibili a norma di legge.

Il “Piano freddo” nel 2020 è stato aperto in forte ritardo a fine novembre, annunciando la messa a disposizione di 2.700 posti letto, numero insufficiente, nonostante le analisi della Fondazione Rodolfo De Benedetti -condotte in collaborazione con il Comune- consentissero di prevederlo. Nell’inverno pandemico del 2020 le richieste del Naga di dati al Comune di Milano continuavano a rimanere senza risposta e le denunce di domande di accoglienza notturna inevase continuavano a crescere. Come si legge nel rapporto, “l’analisi condotta dal Naga Har dal settembre 2020 al maggio 2021 rileva un aumento del 16% delle persone senza fissa dimora tra chi effettuava il primo accesso al centro rispetto agli anni precedenti”. La gestione del fenomeno, ormai strutturale, da parte del Comune è quindi stata giudicata emergenziale e priva di progettualità e monitoraggio.

Infine a chiudere l’elenco delle problematiche sollevate, il rapporto tratta il tema della residenza fittizia, ovvero la possibilità di essere iscritti all’anagrafe di un Comune senza fornire un indirizzo di residenza. “Senza residenza non si può avere la carta di identità, avere accesso al Servizio Sanitario Nazionale e quindi non si riesce ad aprire un conto bancario e ad aderire a offerte di lavoro -ha raccontato Maria Cuomo, volontaria del Naga e coautrice del report- eppure per legge tutti dovrebbero avere questi diritti”.

La residenza fittizia è quindi uno strumento fondamentale per il rispetto dei diritti dei senza fissa dimora, ma anche in questo l’amministrazione milanese ha sottostimato il numero di persone che ne hanno bisogno, fornendo un servizio carente e su tempi estremamente lunghi. Il Naga non risparmia quindi le critiche: “La fotografia che emerge dell’accoglienza offerta dall’amministrazione di Milano e, più in generale, dalla città, è molto distante dall’immagine solidale e accogliente dei media, rivelandosi nel concreto molto spesso respingente per alcune fasce della popolazione”.

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