Diritti / Attualità
“Picchiati, puniti e respinti alle frontiere dell’Europa”. Il nuovo report del Prab
Il network inter-europeo Protecting rights at borders continua a registrare il ricorso sistematico ai respingimenti da parte dei governi europei a danno delle persone in movimento. Dalla Croazia alla Grecia, passando per i porti adriatici italiani. Raccolte quasi 6mila testimonianze riferite allo scorso anno. “È la punta dell’iceberg”
“Picchiati, puniti e respinti alle frontiere dell’Europa”. Il network inter-europeo Protecting rights at borders (Prab) titola così l’agile report pubblicato a fine gennaio sull’uso sistematico dei respingimenti a danno delle persone straniere arrivate alle frontiere europee nel 2022. Oltre 5.700 i respinti di cui è stata raccolta la testimonianza. “Non solo gli è stato negato il diritto a chiedere asilo -denunciano le organizzazioni parte del network, tra le quali per l’Italia ci sono l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Diaconia Valdese e il Danish Refugee Council- ma sono state anche vittime di violenze, furti e detenzioni arbitrarie”.
È la piccolissima punta dell’iceberg. “Chi viene da Afghanistan, Siria e Pakistan ha riferito di essere stato più spesso vittima di respingimenti e nel 12% degli incidenti registrati sono stati coinvolti bambini”. Il report del Prab smonta ancora una volta il presunto meccanismo di monitoraggio indipendente di quel che accade in Croazia. Uno strumento giudicato inutile, che “non ha posto fine ai respingimenti” e non ha reso minimamente responsabili gli autori dei pushback lungo la rotta balcanica. Del resto è una volontà politico-istituzionale, benedetta e finanziata dall’Ue e dai suoi Paesi membri. Il Protecting rights at borders riporta una significativa testimonianza di due cittadini del Bangladesh respinti dalla Croazia e che è stata raccolta nel luglio 2022.
“Eravamo in Croazia e stavamo camminando, erano le quattro del pomeriggio e siamo scesi per una collina verso un corso d’acqua. Abbiamo sentito dei cani abbaiare nelle vicinanze e poi il silenzio. Abbiamo bevuto e ci siamo rinfrescati. Dopo cinque minuti un drone volava sopra di noi e quasi subito 20-30 agenti di polizia ci hanno circondato. Nessuno di noi 16 è riuscito a scappare, nemmeno abbiamo tentato di farlo. Gli agenti indossavano uniformi e stivali neri, erano armati. Ci hanno ordinato di sdraiarci, di metterci in fila, ci hanno colpito con i manganelli. Abbiamo messo in una loro borsa tutto quel che avevamo: telefoni, power bank, soldi, accendini, sacchetti. Poi ci hanno ordinato di andare verso un veicolo, mentre altri agenti ci colpivano ancora. Ci hanno stipato nel mezzo che non aveva né sedili né finestrini. Gli ultimi che sono entrati sono stati presi a calci, spinti dentro a forza con i piedi. Faceva un caldo soffocante, con l’aria calda sparata. Il viaggio, a zig zag e pieno di curve, è durato 20-30 minuti. Poi, in un luogo remoto, ci hanno fatto scendere. Alcuni stavano ancora riprendendo fiato, si sentivano male, avevano le vertigini. Abbiamo chiesto acqua e i nostri telefoni ma si sono rifiutati di darceli. Ci hanno scacciato. E dopo un’ora di cammino abbiamo raggiunto una casa bosniaca dove ci hanno dato acqua e cibo. Siamo finiti alla stazione degli autobus della cittadina di Velika Kladuša dove alcune organizzazioni ci hanno aiutato e ci hanno dato buoni del valore di 40 marchi (20 euro) per comprare da soli il cibo”.
Come in Croazia, anche in Grecia i respingimenti sono lo strumento di controllo delle frontiere. Tra gennaio e ottobre 2022 sarebbe stato impedito l’accesso al territorio europeo a quasi 231mila persone. E a novembre, con fondi europei, è stato annunciato anche un progetto triennale da 3,7 milioni di euro per l’impiego di droni per “prevenire” l’arrivo di altri “indesiderati” in fuga.
“In Grecia i respingimenti alle frontiere terrestri e marittime rimangono una politica generale de facto, come ampiamente riportato anche dagli organismi delle Nazioni Unite (ovvero il Relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei migranti, Felipe González Morales, ndr) -ha aggiunto Konstantinos Vlachopoulos del Greek Council for Refugees-. Tuttavia, invece di indagare efficacemente su tali accuse, le autorità greche hanno messo in atto un nuovo meccanismo che non assicura le garanzie di imparzialità. Allo stesso tempo, le organizzazioni umanitarie e chi difende i diritti umani che sostengono le vittime dei presunti respingimenti continuano a subire pressioni e a essere presi sempre più di mira”.
Il report del Prab fa il punto anche sull’accesso alla procedura d’asilo in Grecia. “Per coloro che riescono a raggiungere il territorio greco, l’accesso alla procedura di asilo è tutt’altro che garantito -si legge nel documento-. In pratica, l’accesso alla procedura è stato garantito (sulla carta, ndr) nel tempo solo a coloro che sono stati trasferiti in un centro di primo arrivo e identificazione nelle isole o a Evros, l’unità regionale più settentrionale del Paese. Mentre fino all’agosto 2022 l’unico accesso disponibile alla procedura era tramite una piattaforma online, che non funzionava in modo efficiente, dal settembre dello scorso anno una nuova piattaforma è stata lanciata dal governo greco per registrare la domanda dei richiedenti asilo sulla terraferma. La piattaforma, tuttavia, non garantisce l’accesso in quanto i richiedenti incontrano notevoli difficoltà”. Dalla Grecia alla Polonia, dall’Italia all’Ungheria, sono sempre più espliciti, per gli osservatori del Prab, i “tentativi di legittimare i respingimenti”.
Sono citate anche le frontiere italiane. La Diaconia Valdese ha registrato a Ventimiglia e a Oulx rispettivamente 2.703 e 2.583 casi di persone respinte dalle polizie francesi nel 2022. Brandelli di una tela più vasta, come dimostrano gli oltre 17.700 destinatari di “refus d’entrée”. Stessa dinamica si ritrova ai porti adriatici: “Assistiamo a continue riammissioni lungo i porti adriatici dall’Italia alla Grecia e a respingimenti verso l’Albania. Si tratta di trattamenti inumani, come la confisca e la distruzione degli effetti personali, la spoliazione forzata e l’esposizione a temperature estreme. Il governo italiano cerca di negare che ciò avvenga. Ma la situazione sembra peggiorare“, è la denuncia di Erminia Rizzi dell’Asgi. Il quadro sprofonda anche a Nord, alla frontiera italo-slovena, dove il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha disposto a fine 2022 la riattivazione delle “riammissioni informali attive” a danno dei transitanti in arrivo dalla Slovenia, evocandone la presunta legittimità nonostante fossero già state censurate dal Tribunale di Roma a inizio 2021 anche per l’effetto “a catena” verso la Bosnia ed Erzegovina (sul punto è da vedere il nuovo film di Matteo Calore, Stefano Collizzolli e Andrea Segre, “Trieste è bella di notte”, prodotto da ZaLab e Vulcano con la collaborazione della rete RiVolti ai Balcani).
“La pratica di chiudere un occhio sulle violazioni dei diritti umani alle frontiere dell’Unione europea deve essere interrotta -ha spiegato Charlotte Slente, segretaria generale del Danish Refugee Council-. È giunto il momento di sostenere, rispettare e far rispettare i diritti di coloro che si trovano alle porte dell’Europa, indipendentemente dal loro Paese di appartenenza. Tutti hanno il diritto di chiedere protezione internazionale nell’Ue. Per anni abbiamo raccolto prove sulle pratiche di respingimento. Le prove sono innegabili”. Slente suggerisce giustamente di allargare lo sguardo: “Questo schema non deve essere visto in modo isolato. Fa parte di una più ampia crisi dello Stato di diritto. La crisi alle frontiere dell’Ue non è una crisi di numeri. È invece una crisi di dignità umana e di volontà politica, dovuta alla mancata attuazione dei quadri giuridici esistenti e all’applicazione delle sentenze giudiziarie”.
A conferma che si tratti di una precisa strategia -come abbiamo raccontato nel nostro libro “Respinti“- ci sono i due “action plan” licenziati a fine 2022 dalla Commissione europea e che riguardano il Mediterraneo centrale e i Balcani occidentali. Il report del Prab li cita quale esempio dell’ossessione europea per il contrasto ai “flussi irregolari” e al rafforzamento della capacità di gestione delle frontiere anche dei Paesi extra-europei, con l’ausilio e l’impegno anche diretto di Frontex.
Si cita poi il caso della Serbia, dove i respingimenti dall’Ungheria e dalla Romania nel Nord del Paese “sono proseguiti nel 2022 a tassi simili a quelli del 2021”. Scrivono i ricercatori: “I respingimenti sono stati segnalati in gran parte da siriani e afghani, seguiti da cittadini di Tunisia e Marocco. Più del 50% delle persone intervistate ha riferito di aver subito abusi fisici, mentre un terzo degli intervistati ha riferito di aver subito furti o estorsioni. Gli autori della maggior parte degli incidenti sarebbero stati agenti di polizia e soldati ungheresi”. Dalle testimonianze emerge, e non è una novità, la figura dei “border hunters”, forze speciali al confine con l’Ungheria, “particolarmente crudeli nei confronti delle persone in movimento”.
Una donna di 30 anni della Repubblica Democratica del Congo è stata respinta a Subotica, nell’ottobre 2022, e all’Humanitarian Center for Integration and Tolerance, partner serbo del Prab, ha raccontato come è andata. “L’intervistata ha raccontato di aver volato da Atene, in Grecia, a Budapest, in Ungheria. Durante il controllo dei passaporti è stata fermata dai membri della polizia di frontiera ungherese. Ha detto che sono stati verbalmente offensivi nei suoi confronti ma non fisicamente. Ha la pressione alta ed è stata ricoverata per due giorni in Ungheria per ipertensione. Poi è stata espulsa in Serbia, nelle prime ore del mattino dell’11 ottobre 2022”.
Con la violenza e l’illegalità trionfa anche l’ipocrisia. “La situazione non è uguale a tutti i confini dell’Unione”, continuano i membri del Prab. “Esistono infatti due pesi e due misure basate sul profilo etnico ma questo viola il diritto internazionale dei diritti umani”. Il 2022 è stato l’anno in cui l’Unione europea ha fornito protezione –almeno sulla carta- a 4,9 milioni di persone entrate nell’Ue dall’Ucraina. “L’attivazione della direttiva sulla protezione temporanea è stata una decisione storica”. C’è un però. “Nel febbraio 2022 la Polonia ha aperto le sue frontiere per accogliere un gran numero di persone ucraine in fuga dalla guerra. La protezione temporanea è stata concessa a chi era in cerca di protezione dalla guerra. Questo approccio accogliente delle autorità polacche non ha influito però sulla situazione al confine tra Polonia e Bielorussia, dove dall’agosto 2021 continua una crisi umanitaria -ha spiegato Maja Łysienia, esperta di contenzioso strategico del Sip, Stowarzyszenia Interwencji Prawnej-. Lì, le persone provenienti da Paesi terzi vengono quotidianamente respinte con violenza, indipendentemente dalla loro vulnerabilità o dalle loro richieste di asilo“. Senza alcuna pietà anche verso famiglie con bambini, donne incinte, anziani, persone con disabilità.
Nel giugno 2022 la Helsinki Foundation for Human Rights ha osservato un aumento del livello di violenza usato dalle autorità polacche e bielorusse. “Le persone che hanno subito respingimenti hanno riferito di aver patito le seguenti forme di abuso da parte degli agenti polacchi: intimidazione, derisione, minaccia di usare armi da fuoco, spintoni, costrizione ad attraversare una barriera di filo spinato per passare dalla parte bielorussa, inseguimento con i cani, uso di gas lacrimogeni, costrizione a entrare in un fiume nonostante le temperature rigide, rifiuto di offrire aiuti umanitari e assistenza medica, distruzione di telefoni e schede sim, inganno deliberato, trasporto verso il confine bielorusso nonostante le persone fossero infreddolite ed esauste”.
Le associazioni del network concludono il report ricordando come il ricorso ai respingimenti quale mezzo per proteggere i confini degli Stati sia del tutto illegale. “Gli Stati hanno l’obbligo di garantire che le persone possano effettivamente chiedere asilo e di rispettare il principio di non respingimento, in base alla Dichiarazione universale dei diritti umani e alla Convenzione europea dei diritti umani. Inoltre, in base alle norme giuridiche in vigore, gli Stati non possono effettuare espulsioni collettive e devono trattare ogni persona nel rispetto della dignità umana”.
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