Ambiente / Attualità
Perché la centrale nucleare slovena di Krško riguarda anche l’Italia
L’impianto sorge su un’area a rischio sismico a 130 chilometri da Trieste ed è privo di un deposito per smaltirne i rifiuti. Il governo di Lubiana ha deciso di raddoppiare la struttura invece che puntare sulle rinnovabili. Roma tace
A circa 130 chilometri da Trieste c’è una centrale nucleare -quella di Krško, in suolo sloveno-, costruita in una zona a rischio sismico medio-alto. Ed è l’unica in Europa a trovarsi in questa situazione. La struttura -il cui reattore ha una potenza di 696 MW- è stata progettata negli anni 70 con la tecnologia americana Westinghouse. Messa in funzione nel 1983, avrebbe dovuto essere spenta dopo 40 anni di attività, nel 2023. Il governo sloveno, negli scorsi mesi, ha però deciso di prolungarne la vita fino al 2043. Ma non solo. Il 19 luglio di quest’anno il ministero delle Infrastrutture ha rilasciato un permesso per il raddoppio della centrale, gestita dalla Nuklearna elektrarna Krško, posseduta al 50% dalla società statale slovena Gen-Energija e al 50% da quella croata Hrvatska elektroprivreda. Si tratta di un passo in più verso un ampliamento che è nell’aria già da tempo. Il Paese, nella sua strategia nazionale per il clima, punta sul nucleare come fonte energetica a lungo termine.
“Abbiamo una grossa centrale a carbone, a Šoštanj -racconta Tomislav Tkalec, dell’associazione ambientalista slovena Focus-, che potrebbe venir spenta molto prima del 2033, il termine stabilito per il phase out nazionale. Forse verrà dismessa addirittura nei prossimi due o tre anni”. Al momento, però, solo una minima parte dell’energia slovena viene dall’eolico e dal fotovoltaico. “L’utilizzo delle fonti rinnovabili non è ancora abbastanza diffuso -afferma l’attivista-, così il governo ha deciso di finanziare il nucleare, invece di investire, come andrebbe fatto, sulle alternative sostenibili al fossile”.
Le criticità legate al prolungamento della vita della centrale di Krško e al suo raddoppio sono molto gravi. “Il problema principale è dettato dal fatto che l’impianto è costruito in una zona in cui sono presenti tre faglie attive -spiega il sismologo Livio Sirovich, che ha lavorato in passato per l’Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste-. Al tempo della progettazione non lo si sapeva, ma ora le informazioni ci sono”. L’esperto si occupa da tempo della questione.
Assieme a due colleghi -il dottor Kurt Decker, dell’Università di Vienna, e il professore italo-sloveno Peter Suhadolc, dell’Univesità di Trieste- è stato anche ascoltato in audizione al Senato italiano e al Parlamento europeo sui rischi legati alla centrale. “Nel 2013, quando il governo sloveno ha concepito per la prima volta l’idea di aggiungere un nuovo reattore -racconta-, erano stati chiamati due istituti francesi, l’Institut national de radioprotection et de sûreté nucléaire (Irsn) e il Bureau de recherches géologiques et minières (Brgm), per uno studio di fattibilità. Gli enti avevano concluso che le tre faglie -Orliče, Artiče e Libna- costituivano un pericolo reale e avevano bocciato il sito; il direttore dell’Irsn, inoltre, aveva chiesto alla società proprietaria di attirare l’attenzione dell’Nsa (il servizio sloveno di protezione nucleare, ndr) sulle problematiche di Krško”.
Ma Gen-Energija non ha rinunciato al progetto e ha cambiato consulenti, scegliendo un istituto americano. Che l’area sia soggetta a terremoti, però, è fuor di dubbio; nel 1917, per esempio, a circa sei chilometri dall’attuale reattore c’è stato l’epicentro di un evento tellurico di magnitudo stimata 6, ma -senza andare troppo indietro nel tempo- nel 2015 c’è stato un sisma di magnitudo 4,8 vicinissimo all’impianto. “Gli stress test europei affermano che, nel caso di una scossa con accelerazione superiore a 0,8 volte la gravità, che può verificarsi già con terremoti di magnitudo 6-6,5, non ci sarebbe nemmeno la possibilità di inserire nel reattore le barre di controllo e quindi di mettere in sicurezza il nocciolo”, aggiunge Sirovich. Ma quando in un’intervista al progamma televisivo Tagadà su La7 è stato chiesto al direttore dell’Nsa un commento sul rischio sismico, lui ha risposto con un gesto scaramantico. Piccola rassicurazione quando si parla di possibili incidenti nucleari.
“L’utilizzo delle fonti rinnovabili non è diffuso, così il governo ha deciso di finanziare il nucleare invece di investire sulle alternative sostenibili al fossile” – Tomislav Tkalec
Ma le criticità della centrale sono legate anche allo smaltimento delle scorie radioattive. “Ad oggi -racconta Andrea Wehernfennig, di Legambiente Trieste- non è stato costruito un vero e proprio deposito per i rifiuti dell’impianto, che vengono stipati in una piscina nei pressi della struttura”. L’associazione è impegnata, insieme ad altre realtà in Austria, Slovenia, Croazia e Bosnia ed Erzegovina, nel contrasto alla centrale.
“Gli ambientalisti sloveni, per vie legali, hanno ottenuto l’avvio di una procedura di Valutazione d’impatto ambientale transfrontaliera per il prolungamento della vita dell’impianto, in ottemperanza alla Convenzione di Espoo”, dice Wehernfennig. I diversi governi, però, hanno opinioni contrastanti. La Croazia, per esempio, essendo comproprietaria della struttura, è favorevole agli investimenti sul nucleare. L’Austria, invece, si attesta sulla posizione opposta. “Abbiamo promosso una petizione e abbiamo fatto lobbying sulle istituzioni -racconta Reinhard Uhring dell’associazione ambientalista austriaca Global 2000-. Il nostro governo è ufficialmente schierato contro la centrale”. Insieme, le organizzazioni ambientaliste degli Stati maggiormente esposti ai pericoli della struttura hanno fatto anche attività di sensibilizzazione e di protesta. “A fine giugno -continua Uhring- abbiamo fatto un photoshooting a Krško, da cui ci ha allontanati la polizia slovena”.
“Se la Slovenia sarà costretta a fare costosi adeguamenti per la sicurezza, diventerà più conveniente chiudere l’impianto e puntare sulle rinnovabili” – Reinhard Uhring
L’Italia non ha ancora preso una posizione netta. “I nostri ministri hanno sempre risposto alle interrogazioni dicendo che la centrale di Krško è una delle più sicure in Europa -riporta il sismologo Sirovich-, ma per dichiararlo hanno chiesto informazioni ai loro omologhi sloveni. È come domandare a un oste se il suo vino è buono”. Stimoli, però, arrivano a Roma dalla Regione che sente più vicino i rischi di un incidente atomico, il Friuli-Venezia Giulia. La bora potrebbe infatti portare le radiazioni al di qua del confine in sole due o tre ore.
“Il 26 luglio in Consiglio regionale abbiamo votato all’unanimità una mozione con cui chiediamo al governo di partecipare attivamente alla Via e proponiamo di istituire un tavolo di lavoro permanente sulla centrale”, afferma Massimo Moretuzzo, capogruppo del partito Patto per l’autonomia, che ha sottoposto ai colleghi la questione. “Non era così scontato che fossimo tutti d’accordo su Krško: Renzo Tondo, ex governatore di Forza Italia, aveva espresso a suo tempo la volontà di compartecipare all’impianto e Fabio Scoccimarro, l’attuale assessore all’Ambiente e all’energia, all’inizio del suo mandato aveva opinioni simili”. Fermare la centrale, secondo gli attivisti impegnati nella lotta, è ancora possibile. “Se la Slovenia sarà costretta a fare costosi adeguamenti per la sicurezza -conclude Uhring- diventerà economicamente più conveniente chiudere l’impianto e puntare sulle rinnovabili. Dobbiamo far pressione sui nostri governi perché si interessino al problema”.
© riproduzione riservata