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Perché in Italia i giovani scappano dall’agricoltura

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Un report dell’associazione Terra! racconta il calo degli under 40 nel settore e analizza come le misure nazionali ed europee siano insufficienti ed escludenti. Così gli unici giovani che ce la fanno sono quelli che ereditano l’attività di famiglia. Ci sono però alcune soluzioni: aprire i criteri per l’accesso ai fondi e assegnare terre pubbliche

In Italia sempre meno giovani scelgono di lavorare nel settore agricolo. È la denuncia contenuta nel report “Gioventù frustrata. Se l’agricoltura italiana perde il treno del ricambio generazionale”, curato dall’associazione Terra! e presentato a Roma il 15 febbraio insieme al Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (Crea).

Lo studio parte da una domanda: “Il ritorno alla terra dei giovani spesso narrato dai media è reale? Purtroppo, al di là delle singole esperienze positive, i dati più recenti ci dicono che non è così”, spiega Francesco Panié, ricercatore di Terra! Lo ha rilevato l’Istat: tra il 2010 e il 2020 i capi azienda sotto i 40 anni sono calati dall’11,5% al 9,3%, con una flessione più marcata al Sud e nelle isole dove si sono quasi dimezzati. In numeri assoluti parliamo di 104mila persone contro le 186mila del censimento precedente. Oggi gli over 60 che occupano lo stesso ruolo sono sei volte di più. Inoltre, sottolinea il report, il calo è avvenuto nonostante nello stesso periodo di tempo il totale delle aziende attive in Italia è crollato del 30 per cento. “Con questo trend -commenta il ricercatore- le produzioni saranno sempre più estese e standardizzate mentre quella galassia di agricolture contadine che ha sempre contraddistinto l’Italia andrà perduta”. Una galassia che invece verrebbe favorita dal ricambio generazionale: per Terra! sono proprio i giovani la “chiave imprescindibile” per la transizione all’agroecologia.

In Italia però le condizioni non sono “favorevoli allo sviluppo dell’imprenditoria giovanile in agricoltura”, si legge nel rapporto. Secondo il Crea, la terra costa mediamente il doppio della Germania e il triplo della Francia. L’affitto è il più caro d’Europa. I salari, invece, dal 1990 sono diminuiti e nel 2020 il reddito agricolo è calato tre volte di più rispetto alla media europea. Questo spiega perché la maggior parte dei giovani che entrano in agricoltura ha alle spalle famiglie con attività legate al settore. “Senza risparmi, terreni, macchinari, casali, mezzi di produzione a disposizione, è quasi impossibile avviare un’attività agricola”, sintetizza Panié.

Il problema, per Terra!, è legato anche alla “inadeguatezza degli strumenti normativi che dovrebbero sostenere il ricambio generazionale e dei fondi connessi”, in particolare delle risorse della Politica agricola comune (Pac), che ammontano a 387 miliardi di euro in sette anni, pari a un terzo del bilancio europeo. Con il nuovo regolamento approvato nel 2021, i pagamenti diretti ai giovani agricoltori dovrebbero passare dal 2% degli anni scorsi ad almeno il 3%, sotto forma di sostegno al reddito, agli investimenti o di aiuti per l’avvio dell’attività. In totale, stimano i ricercatori, tra fondi europei e cofinanziamento nazionale si dovrebbe superare di poco il miliardo di euro.

Questi fondi andranno, in parte, al sostegno complementare al reddito per i giovani agricoltori. Per l’associazione le cifre stanziate non solo sono insufficienti, ma vengono anche distribuite con criteri non “ideali per rendere il supporto realmente efficace”, facilitando l’erogazione a “chi ha già un terreno, senza favorire l’accesso alla terra”. Lo ha rilevato anche la Corte dei Conti europea nel 2017: “Il sostegno si basa su una logica di intervento poco definita” e “in assenza di una valutazione del fabbisogno è erogato in forma standardizzata (pagamento annuo per ettaro)”. Per Terra! bisognerebbe abbassare a 20 o 30 ettari la soglia massima per poter accedere al sostegno, che oggi è invece fissata a 90 ettari. Il motivo: “È improbabile che un agricoltore entri nel settore con un’azienda molto più grande, a meno che non subentri al proprio genitore o parente”. Non sostengono il ricambio nemmeno i fondi del cosiddetto premio di “primo insediamento”, destinato agli agricoltori under 40: insufficienti per chi deve reperire sia la terra sia i mezzi di produzione ed erogati in ritardo e con criteri escludenti. “Per accedere a questi fondi bisogna presentare un piano aziendale a garanzia di una produzione standard, aprire una partita Iva e iscriversi all’Inps come imprenditore agricolo professionale. Sono stati inseriti per scoraggiare i ‘finti insediamenti’ ma allontanano i giovani senza mezzi di partenza ai quali viene impedito di sperimentarsi part time, in attesa che l’azienda raggiunga la sostenibilità economica”, spiega Panié.

Infine c’è il capitolo delle misure nazionali, come gli strumenti messi in campo dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo e alimentare (Ismea) per agevolare l’acquisto delle terre: “Anche in questo caso i dati ci dicono che a comprare è soprattutto chi ha un capitale da investire”, spiega Panié che conclude: “Il potenziale inespresso del settore sono le terre pubbliche”. Anche qui c’è un problema: manca un censimento nazionale. Per questo Terra! ha invitato il governo a finanziarlo: “Potrebbero essere offerte in affitto a canone agevolato ai giovani agricoltori con progetti di agroecologia convincenti”.

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