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Aziende più grandi e meno giovani: come è cambiata l’agricoltura in Italia

© Maximilien T. Scharner © unsplash

Negli ultimi quarant’anni nel nostro Paese sono scomparse due aziende agricole su tre. Tra il 2010 e il 2020 il calo è stato particolarmente forte al Sud (-33%) e nelle Isole (-32,4%). Il Censimento generale dell’Istat è un documento prezioso che aiuta a comprendere, oltre ogni retorica, lo stato dell’arte

Negli ultimi quarant’anni in Italia sono scomparse due aziende agricole su tre. A ottobre 2020 risultavano attive in Italia 1.133.023 aziende agricole e la riduzione è stata più accentuata negli ultimi vent’anni: il numero si è infatti più che dimezzato rispetto al 2000, quando era pari a quasi 2,4 milioni. Il 28 giugno l’Istituto nazionale di statistica (Istat) ha reso pubblici i primi risultati del settimo Censimento generale dell’agricoltura, svolto tra gennaio e luglio 2021, con riferimento all’annata agraria 2019-2020. Nel decennio 2010-2020 la riduzione del numero di aziende è maggiore nel Sud (-33%) e nelle Isole (-32,4%): il calo più deciso si è registrato in Campania (-42%)

Il Censimento rappresenta un documento fondamentale perché aiuta a comprendere, oltre ogni retorica, lo stato dell’arte e a rispondere ad alcune delle “domande-tormentone” che ciclicamente ritornano: davvero stiamo assistendo a un ritorno alla terra? Questo ritorno riguarda sopratutto i giovani? Il primo elemento che emerge dalla lettura del report è che le flessioni della Superficie agricola utilizzata (Sau, -20,8%) e della Superficie agricola totale (Sat, -26,4%) sono state molto più contenute rispetto a quella che ha riguardato il numero di aziende.

Questo significa, ovviamente, che la dimensione media delle aziende agricole è più che raddoppiata sia in termini di Sau (passata da 5,1 a 11,1 ettari medi per azienda) sia di Sat (da 7,1 a 14,5 ettari medi per azienda). Tra il 2010 e il 2020 oltre la metà delle piccole aziende con meno di un ettaro hanno chiuso; lo stesso hanno fatto oltre un terzo di quelle che coltivavano una superficie inferiore ai due ettari e un quarto di quelle che ne avevano a disposizione meno di tre. Una vera emorragia, che riguarda in misura minore le aziende più grandi. Manca, nei dati diffusi finora, una declinazione territoriale, elemento importantissimo per capire se e in che modo queste chiusure toccano il territorio delle aree interne, le vallate alpine e la dorsale appenninica.

Per effetto delle dinamiche descritte, nel 2020 solo poco più di due aziende agricole su dieci hanno meno di un ettaro di superficie agricola utilizzata contro circa tre su dieci del 2010 e più di quattro su dieci nel 2000. È cresciuta invece l’incidenza del numero di aziende agricole con una Sau tra i 10 e i 100 ettari (passata dall’8,9% al 20,2%), mentre quella delle aziende agricole con almeno 100 ettari è rimasta sostanzialmente invariata (da 1,5% a 1,6%).

Sempre tra il 2010 e il 2020 sono sensibilmente diminuite le aziende agricole che coltivano terreni esclusivamente di proprietà: la flessione ha riguardato sia il numero assoluto di aziende (da 1.187.667 nel 2010 a 664.293 nel 2020), sia il peso relativo dei terreni di proprietà rispetto al totale (da 73,3% a 58,6%). Nel 2000 la gestione di terreni esclusivamente di proprietà del conduttore rappresentava la grande maggioranza dei casi (85,9%) mentre nei venti anni successivi si è molto ridotta (-27,3 punti percentuali nel 2020).

La figura del capo azienda coincide spesso con quella del conduttore, cioè il responsabile giuridico ed economico. Ciò si verifica soprattutto nelle aziende familiari, che sono le più rappresentative dell’agricoltura italiana. I capi azienda fino a 44 anni, che erano il 17,6% nel 2010, sono il 13% nel 2020. Una presenza ancora limitata ma, soprattutto, in calo.

Un aspetto interessante dell’annata agraria fotografata dal settimo Censimento dell’agricoltura è l’incidenza della crisi economica causata dal Covid-19, che ha avuto un impatto su tutte le attività produttive. Durante l’emergenza sanitaria il settore agricolo è stato considerato come “essenziale” e, in quanto tale, non soggetto alle misure restrittive ed è risultato piuttosto resiliente: meno di un’azienda agricola su cinque (17,8%) ha dichiarato di aver subito effetti dall’emergenza sanitaria.

Elemento interessante, per i lettori di Altreconomia abituati a leggere storie di filiere corte solidali, è che la dimensione aziendale ha rappresentato un fattore discriminante per la resilienza delle aziende agricole. Considerando la dimensione in termini di manodopera, la percentuale di aziende con almeno dieci Unità di lavoro (Ula, che non misura il personale ma il numero di giornate annuali da 8 ore necessarie) che hanno dichiarato effetti dalla pandemia è stata del 58,8%, cinque volte più alta rispetto a quella rilevata per le aziende più piccole, fino a 1 Ula (11,6%). I piccoli, cioè, hanno saputo resistere meglio, e questo potrebbe essere legato anche all’inserimento all’interno di meccanismi di scambio non vincolati alla Grande distribuzione organizzata. Le conseguenze della pandemia sono state ovviamente maggiormente percepite dalle aziende agricole multifunzionali, come fattorie didattiche (78,9%) e agriturismi (73,4%), sulle quali ha influito la chiusura al pubblico dell’attività.

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