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Economia / Approfondimento

Perché il blocco del transito di gas dall’Ucraina non è la vera ragione dell’aumento dei prezzi

© Eric Prouzet - Unsplash

La speculazione finanziaria torna a garantire i profitti per gli operatori del “mercato” a danno degli utenti, che rischiano a gennaio di ritrovarsi una bolletta quasi raddoppiata a parità di consumi. Il nuovo alibi è l’interruzione del transito del gas di Mosca via Kiev. Ma i dati mostrano uno scenario diverso. La responsabilità di Arera e la via della ripubblicizzazione dei servizi pubblici. L’analisi di Remo Valsecchi

“Gas, prezzo fino a 84 euro con il freddo di gennaio: l’allarme di Goldman Sachs”. “Stop al gas russo, nessun allarme ma il prezzo corre”. “Prezzi del gas al top dal 2023. Bollette, rincari da 300 euro”.

Sono solo alcuni dei titoli letti in questi giorni. Ma sarà vero? Probabilmente sì, la finanza, con la speculazione, è in grado di cambiare la realtà per realizzare profitti astronomici, come del resto è avvenuto negli anni scorsi. Va detto però che le notizie allarmistiche sono un apripista per gli aumenti dei prezzi.

Conoscere il sistema di produzione, importazione e destinazione del gas aiuta a comprendere se veramente il blocco del transito dall’Ucraina abbia un’influenza sulle disponibilità e, quindi, sui prezzi.

In un mercato “normale” i prezzi aumentano quando la domanda è superiore all’offerta e questo accade quando la domanda aumenta o l’offerta diminuisce. Se questo non accade le ragioni sono altre e, quasi sempre, si chiamano speculazioni.

Generalmente i contratti di importazione, di durata pluriennale, anche superiore a 30 anni, fissano un prezzo indicizzato al Brent, ovvero il costo del petrolio, e prevedono nell’anno una consegna mensile costante nei dodici mesi che consente la pianificazione della produzione e, per gli importatori, la destinazione a riserva del gas in esubero nei mesi di minori consumi da utilizzare nei mesi invernali, quando i consumi sono maggiori o per minori disponibilità, legate anche a ragioni geopolitiche come nel caso attuale.

Dal luglio 2023 al giugno 2024 la produzione di gas sommata all’importazione -la linea blu del grafico che segue- è praticamente costante nell’anno, oscillando tra i cinque e i sei miliardi di metri cubi, leggermente inferiore agli anni precedenti per la riduzione dei consumi e delle esportazioni.

La diminuzione dell’importazione di gas russo sino al 4,4% del totale è stata sostituita senza particolari difficoltà; infatti, la linea rossa si colloca sopra alla somma di consumo e stoccaggio, salvo nei mesi invernali quando, per sopperire alla minor importazione programmata, si è prelevato dallo stoccaggio. È quello che avviene da sempre, da quando si è iniziato a importare il gas, cioè dai tempi di Enrico Mattei.

Il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin rassicura i cittadini informandoli che lo stoccaggio sfiora l’80%, senza indicare però la quantità di gas stoccato mentre il Consiglio europeo indica, al 10 ottobre 2024, che il totale delle scorte di gas naturale, in Italia, è di 194,4 TWh, il 97,4% della capacità di stoccaggio, poco più di 18 miliardi di metri cubi.

Nei primi quattro mesi, quelli di maggior consumo, oltre il 40% del totale annuo, dell’ultimo anno normale, il 2019, l’anno prima del Covid-19, il consumo è stato di 31,2 miliardi di metri cubi, 25% più del 2023, e il prelievo dallo stoccaggio, nello stesso anno è stato di cinque miliardi di metri cubi.

Ammesso e non concesso che i consumi nei primi quattro mesi del 2025 siano uguali a quelli del 2019 e che la produzione e importazione nello stesso periodo sia di 23 miliardi di metri cubi, come nel 2023, il prelievo dallo stoccaggio sarà di 8,3 miliardi di metri cubi, meno della metà del gas disponibile, ma con la possibilità, come avvenuto nel 2023, di ripristino delle scorte per 6,5 miliardi di metri cubi nel periodo successivo da maggio a ottobre che, pur togliendo gli 800 milioni di metri cubi importati dalla Russia, garantiscono una disponibilità, per qualche anno, tale da evitare inutili e speculativi aumenti delle bollette.

È una valutazione solo economica e contingente, perché un eventuale aumento delle bollette immotivato sarebbe in contrasto con l’utilità sociale, che prescinde, in questa occasione, dalla transizione energetica che, pure, è centrale e deve essere affrontata in modo reale e concreto e da realizzare in modo compatibile con la questione sociale.

Su alcuni giornali gli “esperti” raccontano che, nonostante la riduzione dell’importazione dalla Russia dal 40%, le tensioni per il blocco del transito dall’Ucraina restano e si ripercuoteranno sulle bollette dei prossimi mesi. Non dicono però che l’importazione dalla Russia era già scesa, nel 2023, al 4,4% e che, per una improvvida scelta e nonostante le sanzioni e la precarietà di un rapporto condizionato dalla situazione geopolitica, a ottobre 2024, è risalita al 9,5% con 4,9 miliardi di metri cubi contro i 2,8 miliardi dell’intero anno precedente.

Nell’ultimo trimestre del 2023 l’importazione dalla Russia è stata di 347 milioni di metri cubi pari al 2,28% del totale.

Qualcuno dovrà pur spiegare ai cittadini perché nel 2024 è stata aumentata l’importazione del gas dalla Russia quando il rischio di quanto sta accadendo era già ipotizzabile. Un aumento, peraltro, compensato dalla riduzione di fonti, come l’importazione dall’Algeria (Mazara del Vallo) e di gas liquefatto, che, pur opinabili in funzione della transizione energetica, hanno consentito la riduzione del costo a 31 euro al MWh del gennaio 2024, un costo alto, in quanto comunque condizionato dal sistema finanziario, ma pari al 65% del costo all’ingrosso del dicembre 2024 e, quindi con un aumento del 53%.

In realtà l’unica logica è stata quella di aumentare i profitti, essendo il prezzo del gas russo, notoriamente, il meno caro per l’importatore ma non per l’utente.

In un mercato realmente libero, cioè regolato dalla concorrenza, ossia dal consumatore, il maggior costo fatto pagare agli utenti sarebbe dovuto spettare all’imprenditore, nel caso specifico le società di importazione del gas, per aver sbagliato le strategie commerciali.

Grazie all’Autorità di regolazione per energia reti e ambiente (Arera), invece, gli errori di gestione si trasferiscono agli utenti. Forse non si tratta di “errori” ma di scelte funzionali agli interessi particolari, cioè di qualcuno, con il beneplacito della politica. È la logica liberista che pretende l’esclusione dello Stato dall’economia a condizione che lo Stato ne garantisca i profitti. Una strana applicazione della teoria liberista che sostituisce il “liberale” con “l’assistenzialismo”.

Gli aumenti sono del tutto ingiustificati perché il prezzo pagato all’importazione non è quello dei mercati finanziari, Ttf o Psv, ma notevolmente inferiore e indicizzato al Brent. La citata Arera, nella relazione annuale del 2024 relativa al 2023, e indirizzata a Parlamento e governo, conferma che il prezzo all’ingrosso con l’indicizzazione Brent è ancora attuale, indicando nell’80% i contratti di importazione con durata superiore a cinque anni e il 67% quelli con durata superiore a dieci anni. Con l’indice Brent, nel dicembre 2024, il prezzo all’ingrosso sarebbe stato di 22,7 euro/MWh con un aumento del 59% rispetto al dicembre 2020 e non del 188%.

Se l’importazione dalle Borse europee, ossia dai mercati finanziari, sempre secondo la relazione di Arera, è pari, nel 2023 al 6,6%, solo 3,8 miliardi di metri cubi, non si capisce perché il prezzo di tutta la vendita all’ingrosso debba essere quello dei mercati finanziari.

Quasi nessuno ha fatto notare sui grandi media che un provvedimento necessario sarebbe quello di impedire che il prezzo di una vendita marginale diventi il prezzo all’ingrosso per tutti gli scambi commerciali di gas.

Arera è un problema. Impostando le tariffe in funzione dell’equilibrio economico e finanziario del gestore, stravolge ogni principio di gestione delle imprese alle quali, se non vogliono essere competitive in un mercato realmente libero, devono organizzarsi per perseguire quell’equilibrio.

In una gestione assistita dove ricavi e profitti sono garantiti dal sistema indipendentemente dall’efficienza, il risultato non può essere diverso dalla vessazione economica degli utenti. Se l’Autorità di regolazione al posto di adottare i prezzi dei mercati finanziari per il mercato a maggior tutela avesse indetto una gara, come è stato fatto per il prezzo Pun dell’energia elettrica, avrebbe ostacolato, se non impedito, le speculazioni dei mercati finanziari.

Che cosa ha determinato l’aumento dei prezzi del gas nel 2021/2022 e si sta oggi ripetendo? La guerra, prima, e il blocco del transito del gas, oggi, non c’entrano nulla. Come abbiamo già raccontato su Altreconomia, nel 2020, causa Covid-19, c’è stato il calo dei consumi, il crollo della domanda e i principali operatori hanno perso o hanno ridotto i profitti: i prezzi sono perciò aumentati per recuperare quegli ammanchi.

Nel 2023 l’ulteriore calo dei consumi, il 18% meno rispetto al 2021, e nonostante prezzi del gas superiori al doppio del 2020, i profitti si sono ridotti in misura consistente e, quindi, per remunerare in modo soddisfacente i propri azionisti, l’unica soluzione è stata l’aumento dei prezzi.

Non è un caso che il prezzo del gennaio 2024, 31 euro/kWh, già a giugno era salito a 36,3 euro/kWh, (più 17%), e ad agosto a 40,5 euro/kWh (più 31%), continuando a crescere nei mesi successivi e sino ad arrivare a 47,6 euro/kWh a dicembre (più 54%). Tre volte il prezzo del dicembre 2020.

Gli utenti domestici non si sono resi conto degli aumenti perché i consumi sino a novembre sono normalmente bassi. A gennaio, però, riceveranno (riceveremo) la bolletta del bimestre novembre-dicembre che sarà molto alta rispetto a quella ricevuta nel gennaio 2024. Oltre all’aumento del gas ci sarà un’Iva che dal 5% passerà al 22%, più il ripristino degli “oneri di sistema” che sino al 31 dicembre 2023 erano stati sospesi.

Sarà una bolletta doppia rispetto a quella ricevuta nel gennaio scorso? A parità di consumi è molto probabile. In questo senso dico che il blocco del transito del gas russo disposto dal governo ucraino è un alibi perfetto per gli speculatori.

Non ce l’ha invece la politica, che dovrebbe in teoria fare gli interessi dei cittadini e non di altri. L’importazione e la produzione di gas naturale, per il ruolo determinante nel sistema energetico, anche nella produzione di energia elettrica, dovrebbe rientrare nella competenza pubblica escludendo la possibilità di vendita all’utente finale. L’importatore e produttore pubblico dovrebbe in questo senso essere l’unico venditore all’ingrosso mentre la vendita al dettaglio, in quanto attività commerciale, dovrebbe essere lasciata ai privati e, con tali modalità, garantire una reale concorrenza nel mercato, estranea a qualsiasi logica finanziaria e speculativa.

Una ripubblicizzazione dei servizi pubblici, sia nelle modalità di gestione sia nella proprietà, per la parte che inevitabilmente è gestita in regime di monopolio, può essere la strada per un reale progresso sociale. Nell’interesse generale e non particolare.

Remo Valsecchi, già commercialista

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