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“Per qualche dollaro in più”. Così l’assicuratore Lloyd’s specula sulla crisi climatica

La sede di Lloyd’s nella City di Londra © Michal Gadek - Unsplash

La corporazione assicurativa inglese, che oggi è il più grande mercato assicurativo al mondo con una capacità di oltre 10mila miliardi di dollari, ostacola la decarbonizzazione rifiutandosi di adottare policy di esclusione severe per la copertura di progetti dannosi per il clima. E allo stesso tempo trae profitto dagli eventi estremi, incrementando il prezzo delle polizze. Il report di Reclaim finance

La corporazione dei Lloyd’s di Londra, il più grande mercato assicurativo al mondo con una capacità di oltre 10mila miliardi di dollari, conficcato nel cuore della City, sta ostacolando la decarbonizzazione per via del suo ininterrotto sostegno all’espansione dei combustibili fossili.

Lo denuncia il report “Per qualche dollaro in più” pubblicato a fine ottobre 2024 dalla Ong francese Reclaim finance che ha analizzato le politiche climatiche dei 51 agenti gestori (managing agents) incaricati di controllare l’operato dei sindacati che gestiscono il mercato. Di questi, ben 46 (che corrispondono al 93% del potenziale di Lloyd’s) non hanno policy di esclusione per nuovi progetti di petrolio e gas e ben 28 non hanno alcuna limitazione a al finanziamento di combustibili fossili, carbone incluso. Il tutto nonostante le evidenze scientifiche per le quali le nuove estrazioni di combustibili fossili non sono affatto compatibili con la transizione ecologica. E in netto contrasto con l’obiettivo di neutralità climatica dichiarato dallo stesso gruppo.

“I Lloyd’s di Londra amano presentarsi come sostenitori della transizione -ha spiegato Ariel Le Bourdonnec, Insurance and reinsurance campaigner di Reclaim finance-, ma in realtà permettono all’industria dei combustibili fossili di continuare a espandersi. Hanno il potere e la responsabilità di controllare il proprio mercato, ma hanno scelto di non farlo, dando ai propri agenti di gestione la possibilità di trasformare il patto di neutralità climatica in una promessa vuota. Di conseguenza, sono diventati l’assicuratore di riferimento per l’espansione dei progetti fossili. Se il mercato dei Lloyd’s vuole essere preso sul serio come protagonista della transizione, i suoi gestori devono adottare subito delle politiche adeguate”. 

Esiste un fortissimo legame tra assicurazioni e crisi climatica. Per il quarto anno consecutivo, le perdite assicurate derivanti da catastrofi naturali hanno superato la soglia simbolica dei 100 miliardi di dollari. “Ciò che un tempo era eccezionale è diventato la norma. Sebbene queste cifre possano sembrare significative, sono solo la punta dell’iceberg”, ricorda Reclaim finance. Il costo per la società dovuto agli eventi estremi nel suo complesso è molto più elevato e supera i 300 miliardi di dollari con appena il 31% delle perdite assicurate, secondo le stime delle società di assicurazione Aon, Swiss Re e Munich Re.

Un rischio di cui i Lloyd’s sono da tempo consapevoli: già nel 2015 l’allora governatore della Banca d’Inghilterra Mark Carney aveva lanciato un monito al colosso inglese proprio nel cuore del palazzo dei Lloyd’s: “una volta che il cambiamento climatico sarà diventato una questione determinante per la stabilità finanziaria, potrebbe essere già troppo tardi”, aveva avvertito. “Si poteva pensare che l’aumento dei sinistri dovuti a catastrofi naturali avrebbero indotto il settore, e i Lloyd’s, a reagire e a prevenire i rischi climatici nel lungo periodo -continua Reclaim finance- Ma è andata diversamente. Nove anni dopo la stessa istituzione a cui Mark Carney aveva lanciato il suo avvertimento rimane un luogo privilegiato per l’assicurazione dell’espansione dei combustibili fossili”. 

La scelta del gruppo è stata quella di trarre vantaggio dall’aggravarsi delle condizioni climatiche estreme decidendo di aumentare in modo significativo il costo delle coperture contro le catastrofi naturali. Tra il 2022 e il 2023, il prezzo dei trattati di riassicurazione delle catastrofi sono aumentati ovunque nei principali mercati, con un incremento di oltre il 20% nel Regno Unito e addirittura un raddoppio per quelli sottoscritti da assicuratori statunitensi. Con oltre il 30% dei suoi 52 miliardi di dollari di premi provenienti dalla riassicurazione, il mercato dei Lloyd’s sta beneficiando di queste condizioni commerciali “favorevoli”. “Dovremmo vedere il clima come un’opportunità e non come una minaccia. Il clima è la più grande opportunità che vedrò nella mia carriera assicurativa, sia dal lato della sottoscrizione sia da quello degli investimenti”, aveva dichiarato John Neal, amministratore delegato di Lloyd’s nel 2021 in un’intervista alla rivista Insurance Insider. 

Un business plan che si riflette sulle scelte in termini di progetti coperti. Se alcuni dei principali assicuratori europei come Munich Re, Allianz e Swiss Re hanno timidamente iniziato ad attuare prime misure preventive in favore del clima, questa tendenza sembra non avere attraversato la Manica.

Dal 2020 Lloyd’s invitava i suoi agenti gestori a non coprire più nuovi impianti e miniere di carbone, sabbie bituminose e attività di esplorazione energetica nell’Artico, ma in modo facoltativo e non vincolante. Non sorprende quindi che l’analisi della Ong francese trovi insufficienti le politiche climatiche di 46 dei 51 gestori.

Sono solo cinque (che insieme coprono appena il 7,1% del mercato) i gestori considerati “innovatori” che non solo hanno escluso qualunque sottoscrizione di rischio per miniere e impianti a carbone ma anche per i giacimenti di gas fossile e petrolio. Si tratta di Argenta syndicate management, Axa XL underwriting agencies, Munich Re syndicate, Probitas managing agency e SCOR managing agency, che in molti casi seguono le regolamentazioni delle loro compagnie di appartenenza (come nel caso del colosso francese Axa). Altri 18 enti hanno vietato il sostegno al carbone ma permettono l’assicurazione di progetti oil&gas, i rimanenti 28 non hanno alcuna policy in materia.  

Tuttavia nemmeno uno dei 51 gestori ha implementato policy di esclusione per nuovi terminal per l’esportazione di gas “naturale” liquefatto (Gnl) nonostante anche questi progetti, secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), siano una minaccia per il raggiungimento del net zero al 2050. Questa grave mancanza a portato al finanziamento di progetti dannosi non solo per il clima ma anche per la salute delle comunità locali. È il caso del Freeport LNG terminal per l’esportazione di gas liquefatto degli Stati Uniti. Con tre treni di liquefazione e una capacità di circa 16 milioni di tonnellate (Mtp) all’anno, si tratta del terzo punto di esportazione di Gnl del Paese ed emette circa 75 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno (MtCO₂/anno).

Si prevede che queste cifre aumenteranno fino a 21 Mtp all’anno di Gnl e 100 MtCO₂ l’anno se il quarto comparto previsto verrà messo in produzione. L’investimento su Freeport non è solo pericoloso per l’ambiente ma rappresenta anche una minaccia per la salute delle comunità che vivono nelle vicinanze. Nel 2024 la Commissione per la qualità ambientale del Texas ha multato Freeport LNG per 150mila dollari per aver violato le norme statali sull’inquinamento atmosferico emettendo ripetutamente livelli eccessivi di gas tossici tra il 2019 e il 2021. Nel giugno 2022, un’esplosione nell’impianto ha causato una gigantesca combustione di metano, rilasciando tonnellate di gas tossico nell’aria.

Tutto questo non ha impedito a un ampio pool di assicuratori di fornire al rischioso sito di esportazione un’assicurazione di responsabilità civile che lo copre da potenziali richieste di risarcimento fino a 400 milioni di dollari. E tra questi ci sono proprio operatori legati a Llyod’s.

“Lloyd’s è responsabile del controllo del tipo di rischi ammessi nel proprio mercato e avrebbe tutto il potere di regolamentare i propri agenti di gestione. Tuttavia -conclude Recalim finance- ha deciso di affidarsi esclusivamente a iniziative su base volontaria per attuare gli impegni climatici”. Una pessima polizza per il Pianeta.

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