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Crisi climatica / Attualità

I Paesi del G20 continuano a garantire finanziamenti ai combustibili fossili

© clyde-thomas - Unsplash

Dal 2020 al 2022 i membri del G20 e le loro istituzioni finanziarie hanno destinato fondi a progetti di carbone, petrolio e gas fossile per 47 miliardi di dollari all’anno. Una scelta in contrasto con il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Mentre i finanziamenti alle rinnovabili sono stati indirizzati principalmente ai Paesi ad alto reddito

Tra il 2020 e il 2022 i Paesi del G20 e le loro banche multilaterali di sviluppo hanno garantito almeno 142 miliardi di dollari in finanziamenti pubblici internazionali ai combustibili fossili. Un flusso di denaro decisamente superiore rispetto a quanto destinato alle energie rinnovabili e ai fondi di compensazione per i danni climatici indirizzati ai Paesi a basso reddito.

È quanto emerge dal report “Public enemies”, pubblicato a marzo 2024 e realizzato da Oil change international, centro di ricerca indipendente sulla crisi climatica, in collaborazione con diverse organizzazioni ambientaliste e della società civile tra cui l’italiana ReCommon. “Invece di favorire transizioni giuste che garantiscano a tutti un accesso equo all’energia pulita, molte di queste istituzioni finanziarie pubbliche internazionali continuano a gettare ulteriore benzina sul fuoco, utilizzando i loro finanziamenti per sostenere proprio le industrie che guidano il caos climatico -si legge nel rapporto-. I finanziamenti pubblici non sono scarsi, sono solo mal distribuiti. Si sta destinando denaro ai combustibili fossili nonostante la scienza dimostri chiaramente che lo sviluppo di nuovi progetti Oil&gas è incompatibile con la limitazione del riscaldamento globale a 1,5 gradi”.

La finanza pubblica ha un’influenza enorme sui sistemi energetici, in particolare nel determinare quali tipi di fonti vengono costruite. Questi prestiti, sovvenzioni, investimenti di capitale o garanzie riducono il rischio per gli altri investitori perché sono sostenuti dai governi e spesso forniti a tassi preferenziali inferiori al mercato e con orizzonti temporali più lunghi. Nonostante la necessità di una giusta transizione alle energie rinnovabili, i Paesi del G20 e le banche di investimento da loro guidate hanno destinato circa 47 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2022 in progetti di carbone, petrolio e gas fossile. In particolare sono stati i Paesi più ricchi (il G7 e la Corea del Sud) a fornire il 76% di questi fondi; mentre i primi tre finanziatori ai combustibili fossili tra il 2020 e il 2022 sono stati Canada (10,9 miliardi di dollari), Corea (dieci miliardi), Giappone (6,9 miliardi). Questi dati si inseriscono, però, in una tendenza positiva: tra il 2017 e il 2019 gli investimenti medi annuali sono stati pari a 68 miliardi di dollari, il 45% in più rispetto ai 47 miliardi attuali. “Questa dinamica è destinata a continuare, viste le numerose politiche di divieto di finanziamento internazionale entrate in vigore alla fine del 2022. Tuttavia, questi progressi potrebbero essere minacciati se Stati Uniti, Germania, Italia e Giappone continueranno a non mantenere la promessa di non finanziare i combustibili fossili”, fanno notare i ricercatori. Il maggior successo è avvenuto nel campo del carbone, dove le strategie di disinvestimento e di esclusione hanno quasi azzerato i finanziamenti. Il supporto al combustibile fossile più dannoso è passato dalla media di 10 miliardi tra il 2017 e il 2019 a quella di due miliardi del triennio successivo e toccato il minimo di 22 milioni di dollari nel 2022.

La maggior parte degli investimenti fossili, quindi, è stata nel gas che ha assorbito il 54% di questo denaro pubblico, e un ulteriore 32% è stato garantito per progetti “ibridi” di petrolio e gas. “Questo dato combacia con la nostra analisi delle policy in materia di combustibili fossili applicate dalle istituzioni finanziarie che, anche quando presenti, hanno importanti scappatoie che permettono il finanziamento di progetti basati sul gas fossile”, affermano i ricercatori. Ad esempio, nel 2023, Sace ha approvato otto garanzie di prestito per progetti Oil&gas e petrolchimici per un ammontare di 4,95 miliardi di dollari. Mentre nel 2024 probabilmente approverà centinaia di milioni di euro per progetti di combustibili fossili in Vietnam, Brasile e Mozambico.

Mentre il 46% dei finanziamenti da parte del G20 e delle banche di sviluppo ai combustibili fossili ha sostenuto progetti di trasporto e lavorazione midstream. Questo tipo di opere sono le infrastrutture più costose della catena di approvvigionamento fossile e quindi le più difficili da costruire per il settore privato senza il supporto di finanziamenti pubblici. Nello stesso periodo di tempo, il 17% ha sostenuto progetti di energia, riscaldamento e petrolchimica a valle, l’11% ha riguardato progetti di esplorazione ed estrazione a monte, mentre il 25% ha avuto una destinazione “mista o non chiaramente definita”.

Al contrario gli investimenti alle energie rinnovabili non sono ancora sufficienti. Se dal 2020 al 2020 le stesse istituzioni hanno fornito 34 miliardi di dollari all’anno per le energie pulite, il massimo storico, questo valore è ben al di sotto delle stime delle spese necessarie per mantenere il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi come previsto dall’Accordo di Parigi sul clima. Non solo, questi investimenti sono stati destinati principalmente a Paesi ad alto reddito, mentre solamente il 3% è stato destinato a Paesi a basso reddito e un 18% a Stati a medio-basso reddito.

Per rispettare gli obiettivi in materia di clima e decarbonizzazione è necessario che i Paesi del G20 e le istituzioni finanziarie a loro collegate pongano fine a nuovi finanziamenti pubblici diretti e indiretti a progetti di petrolio, gas e carbone. Queste politiche non devono includere scappatoie per le tecnologie considerate “pericolose distrazioni” che includono la cattura e lo stoccaggio del carbonio (Carbon capture and storage, Ccs) o l’idrogeno di origine fossile. Mentre, oltre ad aumentare drasticamente i finanziamenti alle energie rinnovabili, il loro sviluppo deve essere realizzato garantendo una giusta transizione ai Paesi del Sud globale, compresi un uso sostenibile di suole, acqua ed ecosistemi.

“Mentre i Paesi ricchi continuano a sostenere di non potersi permettere di finanziare una transizione giusta a livello globale, Paesi come il Canada, la Corea, il Giappone e gli Stati Uniti sembrano non avere carenza di fondi pubblici per i combustibili fossili che distruggono il clima -ha affermato Claire O’Manique, analista per la finanza pubblica di Oil change international-. Dobbiamo continuare a chiedere ai Paesi ricchi di rispondere del loro ruolo nel finanziare la crisi climatica, e pretendere che si muovano prima e più velocemente per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili, che smettano di finanziarli e che paghino la loro giusta quota di una transizione globalmente giusta, di compensazioni per i danni causati dalla crisi climatica e di finanziamenti per l’adattamento”.

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