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Paghe basse, sfruttamento e censura. Che cosa c’è dietro il successo delle serie tv turche

© Alexande Dummer - Unsplash

Le produzioni televisive della Turchia hanno superato i confini nazionali raggiungendo 146 Paesi, dall’America del Sud all’Asia e dall’Africa all’Europa, per un mercato che ha toccato il miliardo di dollari. Ma il sistema produttivo è ancora immaturo ed espone gli attori e i lavoratori a turni estenuanti, paghe basse e set pericolosi. Mentre i controlli sono inesistenti il governo cerca di influenzarne i contenuti. Il racconto della sceneggiatrice Ayfer Tunç

Le serie televisive turche hanno ormai conquistato un pubblico vastissimo, raggiungendo 146 Paesi, dall’America del Sud all’Asia, dall’Africa all’Europa. Secondo la Bbc, nel 2023 questo mercato avrebbe raggiunto un valore pari a un miliardo di dollari. Il successo mondiale delle serie tv turche è però solo la punta di un iceberg che cela un sistema di condizioni economiche ingiuste, ritmi di lavoro insostenibili e una censura molto diffusa. 

In un articolo di approfondimento realizzato dalla critica televisiva Sina Kologlu, nel 2022 risultavano attive 45 case di produzione con circa 150 registi che operano esclusivamente nel mondo dello sviluppo delle serie tv in Turchia. 

L’aumento della produzione e l’espansione del mercato risalgono all’inizio degli anni 2000. Le produzioni trovano spazio sia nei canali statali sia in quelli privati e ultimamente soprattutto all’estero. 

Ayfer Tunç è una delle sceneggiatrici più importanti del settore. Ha iniziato la sua carriera quasi 20 anni fa con la serie “Binbir Gece” (“Le mille e una notte”), poi ha scritto 14 libri e le sceneggiature di tre film e 17 serie televisive. I suoi sceneggiati hanno conquistato centinaia di milioni di persone nel mondo. “Sono stata invitata in Cile per ricevere vari premi e ho conosciuto dei genitori che hanno chiamato i loro figli Onur o Şehrazat, ossia i protagonisti della serie ‘Binbir Gece’, per la quale ho lavorato per tre anni”, racconta ad Altreconomia. 

Secondo Tunç la chiave del successo delle serie turche non è una sola: “Prima di tutto, a livello ambientale, in Turchia offriamo delle produzioni molto particolari. Le nostre serie non si svolgono soltanto negli interni ma anche all’esterno, quindi chi guarda ha l’occasione di conoscere le strade, le persone, i colori e i suoni di città che non ha mai visitato”. Infatti, negli ultimi anni, anche grazie alle serie turche, è iniziata da diverse parti del mondo un’ondata di turismo televisivo verso la Turchia. Tunç fa notare che si tratta di un fenomeno per certi versi settoriale: “Le persone decidono di venire a Istanbul, per esempio, proprio per vedere quei luoghi in cui gli episodi sono stati girati”. 

Un altro punto di forza delle serie turche è la struttura drammatica delle sceneggiature. “Le emozioni vengono vissute in modo spettacolare in queste produzioni. I conflitti, gli innamoramenti o le esplosioni di rabbia, tutto è superlativo. Quindi chi guarda si sente assolutamente coinvolto, molto di più rispetto agli sceneggiati europei”, spiega Tunç, sottolineando che non tutte le serie vengono preferite dagli stessi mercati. “Proprio per via di questa particolarità, forse i mercati più difficili sono quello statunitense e quelli dell’Europa centrale e nordica. Invece, nella fascia mediterranea, in Nord Africa e in Sud America, abbiamo un riscontro straordinario”. 

Il giornale online turco Gazete Oksijen riporta che in Europa il secondo mercato più importante per le serie turche, dopo la Spagna, è proprio quello italiano. All’interno della ricerca realizzata dal giornale nel maggio 2023, solamente la serie “Bir Zamanlar Çukurova” (“Terra amara”) in Italia inchioda davanti agli schermi due milioni e 700mila persone. Si tratta di una produzione entrata nel mercato italiano nel 2022, anche se era stata prodotta in Turchia quattro anni prima. 

La sceneggiatrice della serie “Terra amara” è sempre Ayfer Tunç e sostiene che il successo turco in Italia abbia diverse ragioni: “In Turchia ogni puntata dura 150 minuti, ma in Italia viene servito un format diverso, secondo gli standard del mercato. Quindi ogni puntata si riduce a 25 o 30 minuti. Così facendo abbiamo ottenuto 667 puntate. Si tratta di una quantità decisamente elevata, quindi lo spettatore si affilia fortemente alla serie. Inoltre, in Italia, come nel resto del mondo, le nostre serie vengono apprezzate perché hanno un taglio conservatore. In quelle statunitensi c’è sempre un piccolo ‘pericolo’. Nelle serie turche il sesso è quasi inesistente e il bacio dura poco. Quindi sono adatte per le famiglie. Penso che anche per questo in Italia abbiano trovato un riscontro popolare”. 

La sceneggiatrice turca, Ayfer Tunç © Kalem Agency – Canan Asik

Nonostante i numeri giganteschi e una carriera che cresce sempre di più in questi ultimi 25 anni, Tunç specifica che è difficile parlare di una vera industria quando si tratta delle serie turche: “Il settore ottiene un ricavato che si avvicina molto a quello statunitense. Tuttavia, per arrivare a quel punto, è stato adottato un sistema di produzione straordinario. Per esempio, io scrivo ogni settimana per circa 150 minuti e all’anno per 35 puntate. Ciò che scrivo io in un anno corrisponde al lavoro di 17 anni degli sceneggiatori della Bbc. Inoltre, per la vendita all’estero, spezzando le puntate, una serie da 100 puntate ‘turche’ diventa da 300 per l’estero”. Questo sistema di produzione e ricavi ottenuti da fuori dalla Turchia, secondo Tunç, soprattutto tenendo in considerazione le caratteristiche dell’economia turca, porta un notevole guadagno al settore, ma ancora non si può parlare di un sistema che funzioni in modo sano e giusto per tutti. 

Infatti negli ultimi anni con la crescita sfrenata delle produzioni sono emersi diversi problemi, tra cui gli incidenti sui set. Numerosi giornalisti hanno riportato condizioni di lavoro ai livelli di un vero e proprio sfruttamento diffuso. I salari bassi, le misure di sicurezza precarie e le ore di lavoro insostenibili hanno spinto diverse persone che lavorano nel settore a unirsi nel 2010 per intraprendere le prime lotte e nel 2011 è stato fondato il primo sindacato, lOyuncular Sendikası (il sindacato degli attori). 

Il sindacato segue i lavoratori impiegati sui set, sul palco e negli studi. Tra le principali campagne che porta avanti c’è quella di creare uno standard nazionale del lavoro e la lotta contro quello minorile. Ufuk Demirbilek, regista e membro del sindacato, in un’intervista rilasciata a Euronews nel 2022 raccontava così le condizioni di lavoro durante le riprese delle serie turche: “Per una puntata da 120 minuti si lavora sul set per 17 ore, con condizioni di sicurezza molto precarie e controlli inesistenti. Spesso ci sono lavoratori senza contratto e sottopagati. Inoltre, ci sono notevoli ritardi nei pagamenti”. 

Un altro aspetto che ci aiuta a capire il funzionamento del sistema è il ruolo dei produttori. Ayfer Tunç riporta che sono principalmente i canali televisivi turchi, privati o statali, e il funzionamento del sistema si basa su una valutazione molto parziale: “I canali misurano in continuazione l’audience, ma esclusivamente in riferimento alla Turchia e non all’estero. Quindi, se una serie funziona male a casa, è probabile che il canale produttore la interrompa subito, anche se magari all’estero grazie questa serie lo stesso canale guadagna molto. Infatti sappiamo che i canali non ricavano abbastanza dalla vendita domestica, anzi le loro principali risorse provengono dall’estero. Inoltre, lo spettatore in Turchia ormai guarda meno la televisione e più la rete, e per questo i ricavi pubblicitari televisivi domestici sono sempre più bassi. È un sistema che funziona male, per questo servono regole rigide che oggi non esistono”. 

A questo punto le piattaforme online potrebbero essere una soluzione per il futuro delle serie turche, soprattutto considerando che, secondo i dati del World Population Review, l’uso della rete in Turchia raggiunge l’87% della popolazione, superando India, Nigeria, Messico, Belgio e Italia. Tuttavia, Tunç sottolinea che al momento non si può parlare delle piattaforme come di un mercato alternativo: “Prima di tutto, ci sono pochi iscritti alle piattaforme a pagamento (nel 2024 Netflix Turchia dichiara due milioni di utenti su una popolazione pari a 85 milioni). Poi le grandi piattaforme scelgono solo determinati tipi di serie. Infine, queste realtà trattengono una percentuale che, con le condizioni attuali, è insostenibile per il mercato”. 

Infine, la censura e l’autocensura. Le serie turche, nonostante il loro successo globale, non parlano di politica, non avanzano mai critiche contro il governo e spesso promuovono l’uso della violenza. Il tema ha trovato ampio spazio in una relazione parlamentare presentata nel 2019 dalla deputata Gamze Taşcıer, del partito d’opposizione Cumhuriyet halk partisi (Chp): “La pagella della violenza delle serie tv”.

Secondo la ricerca condotta da Taşcıer, in alcune serie ogni puntata presenta in media 20 minuti di violenza fisica e 41 minuti di violenza psicologica. Ayfer Tunç evidenzia che c’è una notevole limitazione della libertà di espressione nel mondo delle serie televisive: “La censura esiste, così come gli interventi politici sulle serie. Esiste l’ente RTÜK che regolamenta la censura e sanziona le trasgressioni. Noi ormai quando scriviamo non pensiamo assolutamente ai contenuti politici, altrimenti rischiamo. Tuttavia le scene con le pistole sono ben accette. Fino a qualche anno fa la critica politica era più libera, ma oggi non ci pensiamo minimamente. L’autocensura è ormai più presente della censura stessa”. 

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