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Un canale televisivo per rompere l’isolamento delle donne afghane

La “Begum television” trasmette per l’80% programmi di istruzione sia in dari sia in pashtu. Un modo per non far sentire sole e abbandonate le giovani ragazze oppresse dal regime. Abbiamo incontrato la fondatrice Hamida Aman
Diversificare non è un ragionamento economico né una scelta di marketing per la “Begum organization for women”. È l’unico modo che ha trovato per continuare a garantire l’accesso all’istruzione gratuita alle ragazze afghane con più di 12 anni, a cui i Talebani da settembre 2021 hanno proibito di andare a scuola.
“Per noi la priorità era quella di usare tutti i metodi, tutti i diversi modi possibili per raggiungere il nostro pubblico femminile e per mostrare loro che non sono sole”, racconta ad Altreconomia Hamida Aman, fondatrice della Ong che gestisce una piattaforma online chiamata “Begum academy”, un canale televisivo trasmesso via satellite da Parigi e fino ai primi di febbraio 2025 una stazione radio che i Talebani hanno deciso di sospendere.
Hamida Aman da più di vent’anni lavora nel mondo dei media e della comunicazione. È nata in Afghanistan nel 1973 ma all’età di otto anni la sua famiglia ha trovato rifugio in Svizzera, dove è cresciuta e ha studiato. Nel 2002 ha fatto un viaggio nel suo Paese di origine. “Ero giovane e ho deciso di tornare -racconta-. All’inizio era solo per un breve periodo ma all’improvviso mi sono resa conto che non era la Svizzera ad aver bisogno di me. È stata una specie di rivelazione e in quel momento ho realizzato che non potevo più lasciare il mio Paese”. Hamida ha vissuto in Afghanistan fino al 2015 per poi trasferirsi a Parigi. Torna però regolarmente a Kabul, ogni due mesi circa, per lavorare insieme al suo team.
L’8 marzo 2024 ha deciso di dare vita a “Begum television”. “Un canale televisivo via satellite gestito da donne afghane per donne afghane la cui programmazione è per l’80% istruzione”, così la definisce Hamida in poche parole. Ogni giorno, a partire dalle sette del mattino, trasmette vere e proprie lezioni che coprono l’intero curriculum della scuola afghana, dalla settima alla dodicesima classe (corrispondenti nel nostro sistema scolastico alle scuole medie e superiori), in due lingue, dari e pashtu.
Tutti i videocorsi vengono poi ritrasmessi nel pomeriggio e in tarda serata per le studentesse che hanno perso le sessioni mattutine, integrando così l’offerta educativa della “Begum academy”, una piattaforma digitale gratuita lanciata nel novembre 2023 che presenta più di 8.500 contenuti video, sempre nelle due lingue parlate in Afghanistan.
“La priorità era quella di usare tutti i metodi, tutti i diversi modi possibili per raggiungere il nostro pubblico femminile e per mostrare loro che non sono sole” – Hamida Aman
“Sono quattro anni che le nostre figlie non vanno a scuola. Il tempo passa e giorno dopo giorno i genitori e le famiglie ci riferiscono che le ragazze stanno perdendo la motivazione. Ogni volta che il governo proibisce qualcosa, mina il morale, il loro coraggio e la loro autostima. E lentamente le ragazze iniziano a credere di non avere lo stesso valore dei ragazzi e che la loro vita non ha uguale importanza, che una donna è buona solo per diventare madre, per essere moglie e per stare in casa. La propaganda talebana sta iniziando a diffondersi nella società e a cambiarne la mentalità”.
Per questo è anche necessario un lavoro culturale che “Begum tv” porta avanti trasmettendo nella fascia serale, quella in cui di solito le famiglie si riuniscono di fronte allo schermo, programmi che affrontano temi come i problemi di salute, i traumi psicologici, le questioni di genere e la violenza domestica.
Fumetti per agire (clicca sull’immagine per leggere la storia illustrata da Chiara Piccinno)
La prima serata si articola infatti attorno all’idea di “edutainment” (intrattenimento educativo) con due talk-show realizzati tra Parigi e Kabul che entrano in relazione diretta con le telespettatrici e i telespettatori rispondendo alle loro domande. Il primo è “Tabassoom” (guarigione) che è incentrato sulla salute mentale e il benessere e il secondo è “Matab” (clinica) che offre consulenza sanitaria grazie alla conduzione di due dottoresse. “Oltre a questo, mandiamo in onda interviste a donne afghane che sono diventate famose o che hanno fatto qualcosa che possa essere fonte di ispirazione per altre donne.
E anche serie tv, videoclip e la musica”. Proprio quella musica che invece la radio non poteva trasmettere più, neppure sotto forma di intramezzo tra due programmi, neppure come sottofondo, insieme a temi come la contraccezione, le cattive notizie, la poesia, le risate, la gioia, l’intrattenimento e ovviamente la politica. “Essendo un canale radio dedicato solo alle donne c’è sempre stata tanta attenzione nei nostri confronti, ci hanno sempre tenuto molto sotto controllo”.
La scelta di aprire un canale televisivo è stata quindi dettata dalla necessità di aggirare la censura e la pressione dei Talebani: “La trasmissione via satellite ci dà libertà di parola e la possibilità di affrontare argomenti che non potevamo in radio”. Inoltre, ha permesso di sfruttare le potenzialità di uno strumento basato sul visivo oltre che sul sonoro. “Attraverso la tv possiamo insegnare tutte le materie scolastiche. Ad esempio la radio non è l’ideale per la matematica e per le scienze che devono essere mostrate -osserva Amida-. Conoscevo anche l’impatto e il potere dell’immagine sugli afghani. Le persone preferiscono la televisione, se hanno la possibilità di scegliere tra tv e radio, di solito scelgono la prima, anche se la seconda è molto più diffusa”.

Secondo Hamida il 55% della popolazione afghana ha accesso a quella satellitare. E anche se è ancora troppo presto per valutare il reale impatto di “Begum television” -ha infatti appena compiuto un anno- stimando che anche solo il 5% di chi possiede un’antenna la guardi, si tratterebbe comunque di cinque milioni di persone. Ma c’è di più: “Ciò che era per me molto preoccupante e frustrante è che eravamo totalmente dipendenti dalla decisione governativa dei Talebani e che potevano fermarci in qualsiasi momento”.
Ed è quello che è successo il 4 febbraio 2025 quando gli ufficiali della Direzione generale dell’Intelligence (Gdi), assistiti da rappresentanti del ministero dell’Informazione e della cultura, hanno fatto irruzione nel complesso di Begum a Kabul. Hanno perquisito i locali, sequestrato computer, dischi rigidi, file e telefoni al personale e hanno preso in custodia due dipendenti. Subito dopo, il ministero dell’Informazione e della cultura ha rilasciato una dichiarazione, affermando che “oltre a molteplici violazioni, la stazione stava fornendo contenuti e programmi a un canale con sede all’estero”. Per il momento “Begum organization” non vuole commentare l’accaduto per paura che si aggravi una situazione già molto complessa.
“Abbiamo iniziato a pensare di lanciare questa stazione radio nel 2020 subito dopo l’avvio dei negoziati di Doha, quando gli Stati Uniti hanno cominciato a confrontarsi con i Talebani -racconta Hamida-. Insieme ad altre donne eravamo molto preoccupate per come si sarebbe evoluta la situazione e per quello che sarebbe stato il futuro delle donne. A Doha parlavano di tutto tranne di questo. Abbiamo voluto creare quindi una radio dedicata solo a loro, che potesse essere in qualche modo ‘compatibile’ con il regime, perché sapevamo che sarebbero tornati e noi avremmo avuto meno diritti. Ovviamente, non avrei mai potuto immaginare che le cose sarebbero andate così come sono andate, che tutto sarebbe crollato in un giorno, e tutti sarebbero scappati”.
“Radio Begum” è quindi nata ufficialmente l’8 marzo 2021. “Siamo state la prima stazione radio interamente dedicata alle donne che trasmetteva contenuti educativi e che era presente prima del ritorno dei Talebani, e per questo siamo diventate un simbolo. Mantenerla in vita è stato l’unico modo che avevamo per non arrenderci e per non rimanere in silenzio, come i Talebani avrebbero voluto”.
Anche a costo di accettare alcuni compromessi e di vedere profondamente cambiare il proprio lavoro. “Ora in quanto giornaliste non abbiamo accesso a nessun edificio pubblico e non possiamo partecipare a nessuna conferenza stampa ufficiale. Più in generale le donne sono state quasi del tutto cancellate dallo spazio pubblico. Sono state ridotte al minimo le possibilità che hanno per uscire di casa. Non è solo apartheid di genere, per me si tratta di schiavitù perché la maggior parte di loro non hanno nessuna possibilità di scelta, neppure del partner. Non sono mai veramente libere”.
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