Altre Economie
Orgoglio contadino
“Mangiare è il primo atto agricolo, e abbiamo il dovere di difendere chi produce il cibo”. Parla Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food Incontriamo Carlo “Carlin” Petrini poco dopo il suo sessantesimo compleanno. Ne aveva 40, di anni, nel…
“Mangiare è il primo atto agricolo, e abbiamo il dovere di difendere chi produce il cibo”. Parla Carlo Petrini, il fondatore di Slow Food
Incontriamo Carlo “Carlin” Petrini poco dopo il suo sessantesimo compleanno. Ne aveva 40, di anni, nel 1989, quando Slow Food (l’associazione che aveva fondato nel 1986, vedi box sotto) diventava un’organizzazione internazionale, con battesimo a Parigi.
I traguardi tagliati da allora sono tanti e tali che non ha senso tentare di riassumerli. Oggi come allora, guai a credere che l’universo Slow Food sia un conglomerato di amanti del buon cibo. Piuttosto, siamo di fronte a un movimento culturale che rivendica, attraverso la retorica dell’alimentazione, dell’agricoltura e del sapere tradizionale, concetti fondamentali come sovranità alimentare, sostenibilità, sapienzialità. Attraverso, questo sì, una “riappropriazione” della terra che coinvolga tutti.
Perché oggi dobbiamo “riprenderci la terra”: chi ce l’ha portata via?
“Senza l’uso democratico della terra, non possiamo parlare di democrazia, di nutrizione, di cibo.
Esautorare i contadini dall’esser protagonisti della produzione agricola, l’appropriazione di grandi spazi di terra per uso privato, sta diventando una iattura al Nord come al Sud del mondo. Nel Nord questo si traduce in cementificazione, nel Sud nella concentrazione di proprietà terriere nelle mani di pochi.
Ogni consumatore può essere protagonista di questa riconquista.
Mangiare è il primo atto agricolo. Saperlo ci ricorda che le nostre scelte possono avere un ruolo politico rilevante. E oggi abbiamo la forza di poterlo dire. Da come (e che cosa) mangio dipende l’aiuto che posso dare a un certo tipo di agricoltura piuttosto che a un altro”.
Che peso hanno il commercio e la distribuzione nel determinare i processi agricoli?
“Ridurre le intermediazioni e cercare il massimo dell’informazione è uno degli elementi determinati della ‘rivoluzione’ che la riscoperta dell’agricoltura potrebbe rappresentare. Oggi le regole del commercio ci dicono che dobbiamo comprare al minor prezzo e vendere al più alto.
Un’idea più utile di commercio è che questo sia un servizio per unire produttori e consumatori, dando il massimo di informazione a entrambi. Questo dovrebbe essere il ruolo del commercio: il resto è obsoleto”.
Anche il modello economico va rivisto?
Sono per il superamento di quella dimensione, di quell’idea per cui il sociale, la gratuità e il dono non sono economia. Anche questa è una concezione obsoleta.
Il ruolo che possono svolgere le associazione in questo è determinante. L’economia deve aver rispetto per il sociale, e il sociale deve considerare l’economia. Quando parliamo di cibo ragioniamo proprio di questo.
Siamo tutti bisognosi di creare un nuovo umanesimo, che lasci spazio alla solidarietà, al rispetto della natura e dell’ambiente. Torniamo a parlare di sovranità alimentare, ma anche del valore della diversità. La produzione di cibo è un atto culturale, e se non difendiamo questa cultura siamo soggetti a un impoverimento madornale. Dobbiamo riscoprire il senso del valore del cibo come elemento identitario, culturale. Il dominio di tipo finanziario riduce il cibo a una commodity.
Quali sono i problemi della produzione agricola e di cibo?
Il primo è la carenza di acqua nel mondo, il 70% della quale, non dimentichiamolo, è utilizzata per l’agricoltura. Il secondo, è la proprietà delle sementi: oggi l’80% dei semi è in mano a 5 multinazionali. Siamo in presenza di una perdita sistematica di biodiversità. Infine, l’espulsione dei contadini dalla terra. Le piccole comunità non hanno più potere contrattuale per avere la terra. Se non si ferma questa situazione,
se non si ridà valore alla produzione agricola, sarà sempre più conveniente vendere il terreno agli speculatori.
Il mondo ha milioni di affamati. Eppure potremmo sfamarci tutti tranquillamente.
Oggi i malnutriti nel mondo sono un miliardo di persone. La situazione è drammatica, perché sono saltati i meccanismi che avrebbero dovuto ridurre i sofferenti. Ogni 6 secondi muore un bambino per cause legate alla fame. Più che per Aids e malaria. Eppure, la produzione alimentare è equivalente al fabbisogno di 12 miliardi di viventi. Noi siamo 6,5 miliardi.
Il significato è in questi numeri: più della metà della produzione è sprecata e buttata.
I dati sono sconcertanti: negli Usa ogni giorno 22mila tonnellate di cibo e bibite sono buttate, in Italia 4mila tonnellate. Lo spreco è una forma di violenza.
Nel 2015 Milano ospiterà l’Expo, il cui tema è proprio “Nutrire il pianeta, energia per la vita”.
Il valore di un appuntamento come questo è portare soluzioni, in senso ottimistico. Esposizione, in senso etimologico, vuol dire sostenere una teoria, ma anche mettere in mostra. Il primo aspetto senza l’altro non ha senso. Idee e produzione: questo è nell’etimologia di Expo. Occorre quindi che Milano si predisponga ad accogliere le diversità agricole e culturali del mondo. Che si possano vedere le piante, le tecniche. Agricoltura e cultura, madre natura e uomo. A Milano in quel periodo si dovrà vedere questo, e noi dovremo avere l’orgoglio di mostrarlo. Poi, Milano dovrà riscoprire un nuovo rapporto città-campagna.
Oggi questo rapporto è misero. Eppure Milano è stata per secoli un’economia agricola tra le più prospere del mondo. Non possiamo “nutrire il pianeta”, come è scritto nel logo dell’Expo 2015, se non sappiamo nutrire Milano. L’agricoltura di prossimità è una delle risposte alla crisi. Dobbiamo riscoprire l’orgoglio dell’agricoltura di prossimità.
L’impero del gusto
Nel 1986 Carlo Petrini fonda Slow Food, trasformando il circolo Arci Gola in un’associazione internazionale.
Nata a Bra, oggi conta 100mila iscritti, con sedi in Italia, Germania, Svizzera, Usa, Francia, Giappone, Regno Unito (in ordine di costituzione) e aderenti in 132 Paesi. Da un’idea di Slow Food è nata Terra Madre, il meeting mondiale tra le Comunità del cibo, nel 2010 alla quarta edizione (www.slowfood.it).
Un manifesto per la terra "bene comune"
“La terra non ha prezzo. Di fatto è un patrimonio comune, un bene primario come l’aria o l’acqua, che rischia di diventare una ‘terra di nessuno’ su cui ciascun proprietario a modo suo può esercitare un potere quasi illimitato, in un quadro normativo carente e disgregato”. Riprendiamoci la terra! è il libro che Alessandro Franceschini, presidente della cooperativa Pace e Sviluppo, che fa commercio equo a Treviso e dintorni, ha scritto per noi. Un saggio in formato tascabile (56 pagine, 3 euro) che trovate in tutte le botteghe e nelle librerie, o sul nostro sito www.altreconomia.it.
La terra è un bene che dobbiamo riprenderci, che ha bisogno di consumatori critici che ne intuiscano il valore e la difendano dalla coltivazione intensiva, dalla desertificazione, dalla cementificazione. E che le restituiscano dignità e vita, nelle campagne come in città.
Tre azioni da fare: cercare di valorizzare con i nostri acquisti i comportamenti rispettosi della terra, a partire dall’agricoltura biologica, dai prodotti stagionali, da filiere controllate e corte; mobilitarci perché la terra venga difesa dal cemento; trasformarci da semplici consumatori a produttori, che valorizzano il terreno anche nel cuore di una metropoli. La prefazione è di Carlo Petrini di Slow Food.