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Palestina: l’ONU traccia un bilancio drammatico di 50 anni di occupazione israeliana
L’agenzia delle Nazioni Unite su commercio e sviluppo ha misurato gli effetti della militarizzazione, dell’espansione degli insediamenti dei coloni e delle restrizioni commerciali: la ricchezza procapite è rimasta ferma ai livelli del 1999 e a Gaza un giovane su due è senza lavoro
Nel 2017 l’occupazione israeliana dei Territori palestinesi compie cinquant’anni. L’agenzia delle Nazioni Unite UNCTAD (United Nations Conference on Trade and Development) ha misurato gli effetti sulla West Bank -compresa Gerusalemme Est- e sulla Striscia di Gaza di quella che ha definito come la “più lunga occupazione della storia recente”. L’ha fatto in un dettagliato report presentato il 12 settembre a Ginevra.
“Cinquant’anni di sottosviluppo, potenziale umano soppresso, diritto allo sviluppo negato”, si legge nell’incipit della ricerca che lega indissolubilmente l’occupazione militare e le restrizioni alle importazioni al disastro umanitario, sociale ed economico dei Territori. Un solo ettaro coltivabile su cinque è utilizzato e oltre il 90% delle terre è privo di irrigazione. Il prodotto interno lordo procapite è in continua erosione. Basti pensare che nel 2016 -grafico del Palestinian Central Bureau of Statistics alla mano- il livello si aggirava intorno a quello del 1999: 1.766 dollari statunitensi (riferimento costante al 2004).
Il tutto mentre Israele, spiega l’UNCTAD, prosegue nell’espansione degli insediamenti dei coloni in violazione della risoluzione 2334 del Consiglio di sicurezza del 23 dicembre 2016. Le relazioni economiche tra occupante e occupato -giunto a un tasso di disoccupazione del 26,9% (nel 1999 era al 18,2)- sono “asimmetriche”. Il primo rappresenta metà del commercio del secondo. I Territori palestinesi, invece, pesano per Israele appena il 3%.
L’agricoltura è tra i settori più colpiti. “Le restrizioni imposte da Israele sull’importazione di fertilizzanti -aggiungono i curatori del rapporto dell’UNCTAD- incidono per oltre 28,6 milioni di dollari sui costi sostenuti dai produttori e tagliano di fatto un terzo della produttività delle terre”.
Gaza è il caso di scuola, purtroppo per i suoi abitanti. Il 56% della popolazione d’età compresa tra i 15 e i 29 anni è senza un lavoro. Il blocco navale, aereo e via terra è durato oltre 10 anni. Il 35% delle terre coltivabili e l’85% delle acque di pesca non sono accessibili per i produttori. Le esportazioni da Gaza sono inferiori del 65% rispetto a quelle di dieci anni fa. Due terzi della popolazione dell’area ha un qualche bisogno di assistenza umanitaria. Oltre metà è in stato di insicurezza alimentare e l’80% riceve cibo sotto forma di aiuto o contributo sociale. Appena metà dei fondi necessari per la ricostruzione (3,5 miliardi di dollari) seguita agli attacchi militari di Israele sono stati stanziati.
L’ostacolo maggiore allo sviluppo dell’economia palestinese e alla realizzazione dell’ipotesi dei due Stati -sottolinea l’UNCTAD- è rappresentato dall’espansione illegittima degli insediamenti dei coloni. Che le risoluzioni ONU -l’ultima, come ricordato, è la 2334- non arrestano minimamente. “Nel 2016 la costruzione di case era in crescita del 40% rispetto al 2015 e al secondo livello più alto a far data dal 2001”. La popolazione degli insediamenti è più che raddoppiata rispetto agli Accordi di Oslo del 1993 e del 1995 ed oggi è compresa tra 600mila e 750mila abitanti. Contestualmente sono stati distrutti insediamenti di palestinesi: 1.094 strutture nel 2016, il doppio rispetto al 2015. E vengono abbattute anche costruzioni realizzate attraverso donazioni (il sostegno “donor” è crollato del 38% tra 2014 e 2016): 292 nel 2016, il 165% in più rispetto al 2015.
La “forme di violenza” colpiscono direttamente le persone e i loro beni. Solo nel 2016, 1.500 alberi d’ulivo sono stati vandalizzati o sradicati dai coloni. In cinquant’anni gli alberi “produttivi” distrutti sono stati 2,5 milioni. Con l’aggravante che per i coloni vale la legislazione ordinaria d’Israele mentre per i palestinesi vale il codice militare.
“È necessario istituire un meccanismo tempestivo, trasparente e verificabile per misurare e mettere fine alla perdita dei ricavi pubblici palestinesi verso Israele -conclude l’UNCTAD-. Nell’ultimo anno abbiamo continuato a fornire assistenza ai cittadini palestinesi sotto forma di servizi di consulenza, di ricerca e di documenti politici, di progetti di cooperazione tecnica e di formazione delle capacità e di formazione per i professionisti palestinesi del settore pubblico e privato”. Ora, però, tocca far valere la parola e gli atti formali delle Nazioni Unite.
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