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“Nodo alla gola”, i suicidi mostrano il sistema allo sbando delle carceri italiane
Antigone ha presentato il XX rapporto sulle condizioni di detenzione con un focus dedicato ai suicidi. Oltre cento in poco più di un anno, sintomo del malessere che si vive nei penitenziari, sempre più affollati e tossici. Intanto il governo punta a smantellare il reato di tortura che ha portato a 192 agenti indagati dal 2017. Una violenza che riguarda da vicino anche i minori. Il caso dell’Ipm “Beccaria” di Milano
Quota 100: è la soglia tragica raggiunta dai suicidi nelle carceri italiane in poco più di un anno, da gennaio 2023 a marzo 2024. Numeri che hanno spinto Antigone, l’associazione che monitora lo stato di salute dei penitenziari italiani, a intitolare “Nodo alla gola” il suo consueto rapporto annuale e ad accompagnarlo con uno specifico dossier di approfondimento sul tema. “Ogni caso di suicidio ha una storia a sé fatta di personali sofferenze e fragilità -sottolineano i curatori del rapporto- ma quando i numeri iniziano a diventare così alti, non si può non guardarli con un’ottica di insieme”.
L’ambiente carcerario acuisce situazioni di pregressa difficoltà: le biografie di chi si è tolto la vita raccontano “situazioni di grandi marginalità”. L’età media è di quarant’anni, con ben 17 suicidi commessi però da giovani tra i 20 e i 29 anni. Il tasso è “significativamente maggiore” nelle persone detenute di origine straniera (in totale 42) e avviene soprattutto a ridosso dell’ingresso in struttura o in scadenza di pena: almeno nove persone erano entrate in carcere “solo da una manciata di giorni” e come minimo 15 avevano una pena residua breve o erano prossime a richiedere una misura alternativa”. In carcere ci si toglie la vita ben 18 volte di più rispetto che all’esterno.
E dai pochi dati disponibili, raccolti da Antigone soprattutto da notizie di stampa, sembrerebbe che almeno 22 delle 100 persone che si sono suicidate soffrissero di patologie psichiatriche. “Oltre a favorire percorsi alternativi alla detenzione intramuraria, soprattutto per chi ha problematiche psichiatriche e di dipendenza -si legge nel report– è necessario migliorare la vita all’interno degli istituti, per ridurre il più possibile il senso di isolamento e di marginalizzazione”.
Una quotidianità, quella all’interno dei penitenziari, che peggiora sempre di più. Nel 2023 a fronte di una riduzione dei delitti commessi del 5,5%, la crescita delle presenze in carcere è stata in media di 331 unità al mese. Un trend che, se confermato, porterebbe a superare le 65mila presenze entro la fine dell’anno: la soglia che portò alla condanna dell’Italia nel 2013 da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo per trattamenti “inumani e degradanti”. Crescono i numeri e si raggiungono così tassi di affollamento record pari al 125%: dei 61.049 detenuti al 31 marzo 2024, ben 13.500 non avevano, stando alla capienza regolamentare, un posto disponibile.
Quali sono le cause che portano a questo aumento di presenze? Secondo Antigone sarebbero riassumibili in tre fattispecie: “Maggiore lunghezza delle pene comminate, minore predisposizione dei magistrati di sorveglianza a concedere misure alternative alla detenzione o liberazione anticipata e introduzione nuove norme penali e pratiche di polizia che portano a un aumento degli ingressi”.
Il piano di edilizia penitenziaria, a più riprese annunciato negli ultimi anni, non è quindi una soluzione. “Ci vorrebbero almeno cinque miliardi di euro”, ricorda Antigone. Per coprire il fabbisogno ci vorrebbero almeno 40 nuove carceri per un costo totale di 1,2 miliardi di euro a cui si aggiunge “la necessità di assumere altre 12mila unità di polizia penitenziaria” oltre alle altre figure professionali, dagli educatori agli psicologi. Cifre da capogiro che andrebbero dirottate su altro, considerando che i penitenziari già esistenti (con numerosi padiglioni che necessitano di ristrutturazione) sono estremamente “anziani”: 21 su 99 sono stati infatti costruiti prima del 1900. E nel 2022 sono arrivati agli uffici di sorveglianza italiani 7.643 reclami per condizioni disumane e degradanti. “In 28 istituti sui 99 visitati c’erano celle in cui non erano garantiti tre metri quadrati calpestabili per ogni persona -si legge nel rapporto- in nove c’erano celle senza riscaldamento e in 47 celle senza acqua calda. In 48 c’erano celle senza doccia e in sei (Fermo, Lucera, Pordenone, Rimini, Trani e Trieste) c’erano celle in cui il wc non era in un ambiente separato”.
Di fronte a questa situazione l’associazione sottolinea come 22.180 detenuti abbiano da scontare meno di tre anni di pena, la soglia per accedere alle misure alternative. Questa sarebbe la vera strada per svuotare le carceri che, secondo il rapporto, farebbe risparmiare 438 milioni di euro all’anno se applicata su 12mila persone. Un altro dato significativo, sotto questo aspetto, riguarda nuovamente i reclusi per violazione della legge sugli stupefacenti: più di 20mila in aumento del 6% rispetto al 2022. Come presenze sono terzi dietro ai detenuti per reati contro la persona (32.050, più 6,5%) e contro il patrimonio (26.211, con una crescita del 7,4%).
Continuano a mancare gli operatori dell’area trattamentale: allarmanti i casi di Regina Coeli a Roma dove vi è un educatore in servizio ogni 163 detenuti mentre a Novara il rapporto sale addirittura a uno ogni 178. In media sul territorio nazionale sono meno di uno ogni 60 detenuti: rispetto alla pianta organica, però, ne mancherebbero appena 19. Invece c’è un agente ogni due detenuti, a fronte di una previsione di 1,5. Tra le Regioni italiane questo rapporto varia fra l’1,2 e il 2,5 detenuti per ogni agente e suggerisce una distribuzione disomogenea del personale.
La tortura nelle carceri italiani esiste. Secondo i dati inediti ottenuti da Altreconomia e citati dal rapporto sarebbero 192 gli agenti indagati per tortura e dimostrano la “ragionevole capacità di impatto” del reato introdotto nel 2017 nell’ordinamento italiano, oggi messo in discussione dal governo. Due disegni di leggi sono stati presentati per modificare il delitto di tortura (numero 314 del 2023) o addirittura abrogarlo (numero 661). Le violenze a danno dei reclusi riguardano anche gli Istituti penali minorili (Ipm): lunedì 22 aprile la procura di Milano ha eseguito 13 custodie cautelari per agenti tutt’ora in servizio al “Beccaria” di Milano. Secondo diversi organi di stampa le accuse sono maltrattamenti, concorso in tortura e una tentata violenza sessuale su un detenuto. In totale sono 21 gli indagati. Un quadro preoccupante -che abbiamo già descritto qui- a fronte di un numero di ingressi in Ipm nel 2023 pari a 1.143 unità, un dato mai così alto negli ultimi dieci anni.
Sul tema delle violenze, Antigone sottolinea che “quasi sempre” sono gli spazi per l’isolamento a fare da “scenario agli episodi di violenza da parte degli agenti”. Lo raccontano i casi di Asti, San Gimignano, Santa Maria Capua Vetere, Viterbo e Lucera. Un motivo in più per limitare il ricorso a uno strumento “troppo utilizzato” che aumenta laddove più del 50% dei detenuti sono stranieri (13,9 casi ogni cento reclusi). “L’isolamento è un dispositivo di controllo maggiormente utilizzato nei confronti di persone appartenenti a gruppi svantaggiati e popolazioni vulnerabili”, sottolinea Antigone che ha dedicato uno specifico approfondimento sul tema all’interno del rapporto.
Un’altra categoria di persone sanzionate illegittimamente con l’isolamento disciplinare è quella dei soggetti con disabilità mentale o affetti da disagio psichico. Il tema della salute mentale continua a essere un tema centrale. “L’uso massiccio di psicofarmaci -scrive Antigone, che ha collaborato con Altreconomia nella pubblicazione dell’inchiesta ‘Fine pillola mai’- rimane lo strumento principale con cui in carcere viene ‘gestita’ la salute mentale”.
A fronte di appena seimila persone con una diagnosi psichiatrica grave (un aumento del 2% rispetto al 2022) oltre 15mila persone detenute (il 20% del totale) fanno regolarmente uso di stabilizzanti dell’umore, antipsicotici e antidepressivi, cioè di quella tipologia di psicofarmaci che possono avere importanti effetti collaterali; il 40% (30mila persone) fa uso di sedativi o ipnotici. “Si tratta di numeri molto rilevanti -sottolinea Michele Miravalle in uno specifico approfondimento contenuto all’interno del rapporto- che non trovano minimamente corrispettivo nella popolazione libera e che indicano che la strada verso ‘carceri psichiatrizzate’ sembra ormai senza ritorno”.
Infine, dopo il dibattito scaturito dal “caso Cospito”, il regime del 41-bis sembra essere tornato in quella che i curatori del rapporto definiscono la “tradizionale collocazione nell’ombra” che investe anche le 733 persone detenute destinatarie del regime speciale in 12 diverse sezioni carcerarie. Di questi 12 sono donne (recluse a L’Aquila) e sette internati presso la Casa circondariale di Tolmezzo. Gli ergastolani sono meno del 30% dei detenuti sottoposti al regime 41-bis. “Ci sarebbe piaciuto titolare diversamente il rapporto -spiegano i curatori nell’editoriale- usando altre parole come innovazione, modernità, riforme, solidarietà, empatia, speranza, fraternità, dignità, normalità, socialità, responsabilità, autonomia, rispetto, affettività, sessualità. Tutte parole che dovrebbero costituire l’essenza della pena e del modello penitenziario prescelto. Spesso parole ignorate, rimosse nella quotidianità detentiva”.
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