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Non solo direttori dei musei. L’ipocrisia sugli stranieri nella Pubblica amministrazione
Un decreto del 1994 riserva i posti più svariati per gli italiani -dal medico al portiere del Viminale- discriminando gli altri. Piuttosto che prendersela con il TAR, quell’atto poteva essere cambiato con un tratto di penna. L’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione spiega come e perché
“Abbiamo fatto bene a cambiare i musei, abbiamo sbagliato a non cambiare i Tar”, ha scritto su Twitter l’ex presidente del Consiglio, Matteo Renzi, il 25 maggio scorso, a poche ore dalla sentenza del tribunale amministrativo del Lazio sul “caso” dei direttori stranieri di alcuni musei italiani.
Il punto è che non c’è bisogno di “cambiare i Tar” quanto di metter semplicemente mano a un decreto timbrato dalla stessa presidenza del Consiglio dei ministri nel lontano 1994. Un atto amministrativo (DPCM 174/1994) che elenca tutti i posti di lavoro “riservati” agli italiani e che ancora oggi crea situazioni di disparità in netto contrasto con “l’orientamento della Corte di Giustizia europea”, come spiega l’avvocato Alberto Guariso dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (www.asgi.it).
Guariso osserva con una punta di sconforto alle polemiche di queste settimane. Insieme all’Asgi, infatti, è in prima linea da anni nel segnalare bandi pubblici degli enti locali che sono discriminatori e vanno contro la stessa normativa italiana, che dal 2013 ha disposto l’apertura del pubblico impiego, oltre che ai cittadini dell’Unione, anche ai lungosoggiornanti -il 55% degli stranieri in Italia-, ai familiari di comunitari e ai titolari di protezione internazionale.
“Il problema è duplice -chiarisce Guariso- e la confusione tanta. In Italia, oggi, esistono due tipi di ‘posti’: quelli riservati ai soli italiani e quelli ‘aperti’. Partiamo da questi ultimi. Per ‘aperti’ s’intende a tutti, non solo agli europei. Ma ancora oggi ci troviamo a dover segnalare al Dipartimento della Funzione pubblica l’irregolarità di bandi pubblicati da enti locali che escludono dai concorsi i non europei. E tutto questo è contro una legge che già esiste. Tutt’altro problema sono i posti di lavoro riservati ai soli cittadini italiani. Rispetto a questo la legge rinvia al decreto del 1994 che dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, elencare incarichi con funzioni che comportano l’esercizio di pubblici poteri”. Ma quell’elenco è sterminato. “Comprende posti di lavoro dirigenziale quali il medico o addirittura il portiere o un operaio dipendente del ministero dell’Interno”. È un’assurdità che gli stessi enti tendono fortunatamente a non applicare.
“Quel decreto va assolutamente corretto e l’elenco ridotto all’osso -aggiunge Guariso-. Il Governo, anziché piangere, avrebbe potuto farlo all’istante. Occorre un esame analitico dei posti che effettivamente comportano l’esercizio di pubblici poteri, tenendo conto però della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea”. In che senso? “Secondo la Corte devono essere riservati ai cittadini esclusivamente i posti di lavoro che comportino esercizio di pubblici poteri in via continuativa e quale caratteristica essenziale del posto di lavoro”. La chiave è la “via continuativa”. Recentemente, quello di direttore del porto di Brindisi non è stato considerato un posto “riservato”.
La “lezione” del Tar del Lazio ha prodotto buoni frutti? “Non mi pare. Leggo dalle cronache parlamentari della proposta di ‘interpretare’ la legge che riguarda i musei sostenendo che la prassi che illustravo prima non trovi applicazione”. Cioè cambiano la legge nel particolare (i direttori dei musei) piuttosto che uniformare la portata generale del decreto 174. ”Tutto ciò è assurdo”, sostiene Guariso. “Significa che lo straniero potrà essere ammesso a fare il direttore dei musei o il direttore del porto di Brindisi ma non il medico curante, secondo un’interpretazione rigida che le stesse Asl scavalcano, per fortuna”.
“La pretesa di collegare il perseguimento degli interessi pubblici al vincolo giuridico della cittadinanza non ha più senso -ha dichiarato infatti l’Asgi-, anzi rischia di depauperare gravemente il patrimonio di conoscenze della nostra collettività, attribuendo prevalenza a una condizione giuridica rispetto alla valutazione del merito”. Si poteva sfruttare lo scivolone sui musei. “Era una buona occasione -riflette Guariso- ma non mi pare ne stiano approfittando”.
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