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Finanza / Opinioni

Meraviglie della finanza e narrazioni tossiche che non fanno capire la gravità della crisi

© Peter Hulce - Unsplash

Le banche centrali alzano i tassi ma ne beneficeranno i fondi speculativi. Intanto l’Italia rafforza il suo ruolo di paradiso fiscale in tema di imposta sulle successioni. E chi festeggia l’aumento del Pil italiano dello 0,5%, gonfiato dall’inflazione, ha poco riguardo per chi ha un reddito basso. Il punto della situazione di Alessandro Volpi

Prima meraviglia. Le banche centrali stanno alzando i tassi, rendendo più costoso il debito pubblico e più difficile il credito. Dei tassi alti beneficiano però i fondi speculativi che operano “allo scoperto”, in pratica senza bisogno di capitale, e comprano asset di imprese in difficoltà proprio per l’alto costo del finanziamento delle loro attività. Le regole, e le “strategie monetarie”, rendono così l’economia reale più difficile, obbligando le imprese vere a pagare più interessi e a svalutare i loro crediti, mentre continuano a permettere ai grandi fondi hedge di operare senza risorse reali. In realtà, poi, per effetto dei rendimenti altissimi che riescono a ottenere con la speculazione, tali fondi finiscono per drenare fette di risparmio, persino di natura istituzionale, sottraendolo al credito alla produzione e al consumo.

Seconda meraviglia. Nella disattenzione generale, l’Agenzia delle entrate ha diramato una circolare che sembra favorire decisamente i “trust” formati dai grandi patrimoni familiari per mettersi al riparo dalla successione ereditaria e per ridurre il carico fiscale, a cominciare da quello su alcuni titoli finanziari. L’Italia era già un paradiso fiscale in termini di imposta sulle successioni, ora questa “interpretazione” tende a rendere decisamente più favorevole la creazione di trust che, pur distinguendo tra trasparenti e opachi, segna un ulteriore passo verso la riduzione del carico fiscale nei confronti dei grandi patrimoni familiari. In tal modo alla possibilità di spostare la sede fiscale all’estero in termini societari si affianca la riduzione del prelievo fiscale anche in quelli patrimoniali.

Le narrazioni tossiche sono, per altri versi, ugualmente pericolose. Molti giornali italiani hanno aperto in questi giorni con un riferimento, tra il sorpreso e l’entusiasta, all’aumento del Pil dello 0,5%, più alto delle previsioni che stimavano un calo dello 0,2%. Peraltro gli stessi giornali mettono in luce come i dati italiani siano migliori di quelli di altri Paesi europei. A questo riguardo, forse sono utili alcune precisazioni. Primo: la “crescita” del Pil dipende quasi interamente dall’inflazione che gonfia prezzi e risultati. Dunque il maggior incremento del Pil significa, di fatto, un aumento dei prezzi che sta facendo molto male alla popolazione e in particolare a quella a basso reddito. Secondo: l’errore nelle previsioni di Istat e di altri istituti di ricerca dipende dal fatto che ormai, in presenza di prezzi impazziti che non riflettono più in alcun modo il reale andamento dell’economia, fare stime credibili è del tutto impossibile. Ciò comporta la fine di ogni programmazione sia sul versante pubblico sia su quello di famiglie e imprese. Terzo: il confronto con gli altri Paesi è inutile perché hanno tassi d’inflazione in genere più bassi di quello italiano e hanno avuto nel 2020 una perdita inferiore alla nostra.

Dunque ancora una volta siamo di fronte a una narrazione che non aiuta a capire la gravità della crisi sociale. In questi giorni ricorre poi un’altra narrazione tossica. Si continuano a leggere preoccupate dichiarazioni di Confindustria sulla spirale inflazione-salari. Il timore paventato dall’associazione degli industriali consiste nel fatto che un adeguamento dei salari al costo della vita possa generare nuova inflazione. Da questo punto di vista possono dormire sonni tranquilli. L‘inflazione corre al 12% mentre i salari sono “cresciuti” negli ultimi due anni, in media, del 2% e con le attuali regole di indicizzazione il quadro per i lavoratori non sembra destinato a migliorare.

Alessandro Volpi è docente di Storia contemporanea presso il dipartimento di Scienze politiche dell’Università di Pisa. Si occupa di temi relativi ai processi di trasformazione culturale ed economica nell’Ottocento e nel Novecento

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